Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15934 del 04/03/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 15934 Anno 2016
Presidente: DE CRESCIENZO UGO
Relatore: TUTINELLI VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TURCO GIUSEPPE N. IL 21/11/1958
avverso la sentenza n. 992/2015 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
02/04/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/03/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO TUTINELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Sovt, 1,7t . SQ lff C/1′
che ha concluso per
A,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 04/03/2016

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 2 aprile 2015, la Corte di appello di Bologna ha
confermato la condanna già irrogata dal GIP presso il Tribunale di Bologna
dell’odierno ricorrente, TURCO Giuseppe alla pena ritenuta di giustizia per il delitto
di rapina aggravata.
2. In particolare, la Corte d’appello ha fondato la propria decisione sulle
dichiarazioni del teste ROMAGNOLI Alessandro, figlio della parte offesa; sugli

riconoscimento fotografico effettuato dal ROMAGNOLI; sugli esiti dell’incidente
probatorio in cui il medesimo ROMAGNOLI ha riconosciuto l’imputato come autore
della rapina in casa della madre; sulla successiva confessione dell’imputato. In
particolare, la Corte ha ribadito la correttezza della qualificazione giuridica del fatto
in termini di rapina impropria in quanto vi era stato un esercizio di violenza (in
particolare uno strattonamento) ai danni del ROMAGNOLI che era sopraggiunto
cercando bloccare le persone entrate a rubare in casa della madre. Si aggiunge
nella motivazione del provvedimento che l’esercizio della violenza era finalizzato a
garantirsi il possesso della cosa sottratta. La medesima Corte territoriale ha
escluso la possibilità di concessione delle circostanze attenuanti generiche, non
potendosi ritenere segno di resipiscenza il fatto che l’imputato si fosse attivato per
trovare un lavoro e non costituendo l’allegazione di menomate condizioni di salute
elemento che fosse mai stato di ostacolo alla commissione di reati; ha ancora
ribadito la rilevanza della recidiva in ragione della presenza di plurimi precedenti
penali – anche specifici – e in considerazione della necessaria presa d’atto del fatto
che i molteplici affidamenti in prova erano stati seguiti da episodi di reati contro il
patrimonio come nel caso di specie.
3. Avverso tale provvedimento propone ricorso per cassazione l’imputato
lamentando:
1. violazione di legge con riferimento all’articolo 3 Cost. in
quanto, in separato giudizio, il complice dell’odierno
ricorrente ha visto riqualificare il fatto in termini di furto in
abitazione, con evidente disparità di trattamento e
violazione delle esigenze di certezza del diritto che,
secondo una logica garantista coerente con il più ampio
dogma

dell’eguaglianza

giuridica

imporrebbero

l’annullamento della sentenza de qua;
2. violazione di legge in relazione all’articolo 62 bis e connesso
vizio di motivazione, dovendosi positivamente valutare il
comportamento

processuale

collaborativo

assunto

accertamenti di PG che avevano permesso di individuare l’odierno imputato; sul

dall’imputato; l’intervenuto risarcimento del danno;
l’irrilevanza dei precedenti penali; l’aggravatasi condizione
fisica; la rilevanza di un tentativo di reinserimento sociale
del reo in un normale contesto economico desumibile dalla
ricerca di un lavoro.
3. Violazione di legge con riferimento all’articolo 94 co. 4 cod.
proc. pen. e connesso vizio di motivazione dovendosi
rilevare che l’unica condanna di cui parla la motivazione è

concessione di liberazione anticipata per l’intero periodo
computabile, secondo una prospettazione che verrebbe a
porre l’imputato in una condizione soggettiva speculare a
quella del soggetto per cui la pena sia estinta a seguito
dell’affidamento in prova al servizio sociale. La difesa
ritiene presente anche nella giurisprudenza di legittimità
un’interpretazione costituzionalmente orientata della
disciplina penitenziaria tesa a equiparare gli effetti positivi
del buon esito dell’espiazione della detenzione domiciliare
a quelli già previsti all’articolo 47 comma 12 Ord. Pen
CONSIDERATO IN DIRITTO.

4. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione di legge conseguente
al diverso trattamento di cui è stato oggetto, in diverso provvedimento, il complice
dell’odierno imputato in conseguenza della riqualificazione del medesimo fatto in
termini di furto in appartamento. Deve preliminarmente rilevarsi che non risulta
applicabile al caso di specie il disposto dell’art. 669 cod. proc. pen. in quanto tale
norma ha come presupposti applicativi che i diversi giudizi riguardino non solo lo
stesso fatto, ma anche la medesima persona. Il ricorrente richiama piuttosto la
necessità di tener conto di un accertamento più favorevole contenuto in diverso
giudicato penale, esplicitamente disatteso. Tuttavia, nell’attuale ordinamento, non
esiste alcuna norma che regoli l’efficacia del giudicato penale in altro procedimento
penale e, trattandosi di una omissione che si è ripetuta nelle varie formulazioni del
codice di rito, deve ritenersi essere conseguente ad una specifica scelta del
legislatore che quindi ha voluto mantenere l’assoluta autonomia degli accertamenti
svolti eventualmente in diverse sedi. A condizione che non si tratti del medesimo
fatto imputato alla stessa persona L’esistenza di tale vincolo, inoltre, è già stata
negata da questa stessa Corte in precedente decisione, per la verità assai risalente
e pronunciata prima dell’entrata in vigore dell’attuale codice di procedura penale.
In quell’occasione, questa Corte aveva affermato che l’accertamento effettuato da
altro giudice in procedimento diverso non spiega alcuna efficacia vincolante in

stata scontata il regime di detenzione domiciliare con

ordine alla valutazione dei fatti ed alla loro qualificazione giuridica, pur potendo
derivarne un contrasto di giudicati (Sez. 2, Sentenza n. 3579 del 21/03/1987 Rv.
175410). Non vi è motivo per discostarsi da tale precedente, peraltro pronunciato
sulla base di previsioni non contenenti norme contrastanti con l’attuale regime.
Nemmeno la difesa indica l’esistenza di norme processuali che permettano di
ipotizzare il richiamato vincolo, limitandosi a generiche prospettazioni in ordine
alla certezza del diritto che in astratto risultano palesemente condivisibili ma che,
in concreto, non assumono nessuna rilevanza, così come non assumono alcuna

dell’uomo che ha affrontato questioni del tutto estranee all’oggetto del presente
giudizio.
Per altro verso, nemmeno può ritenersi che la diversa qualificazione giuridica
offerta nel provvedimento impugnato sia fondata su argomenti illogici.
Correttamente la Corte territoriale evidenzia, secondo criteri assolutamente lineari
e condivisibili (anche in quanto costituenti applicazione di principi espressi dalla
giurisprudenza di questa stessa Corte – cfr. Sezione 2, Sentenza 18 dicembre 2012
n. 3366), che comunque non vi è spazio per qualificare i fatti de quibus in termini
di furto in abitazione in ragione della violenza esercitata per potersi garantire il
possesso della cosa sottratta.
5. In conseguenza di quanto sopra deve affermarsi la manifesta infondatezza
del motivo di ricorso.
6. Con riferimento al secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta l’omessa
concessione delle circostanze attenuanti generiche, deve rilevarsi che del dedotto
risarcimento del danno non vi è traccia nella sentenza impugnata e non vi è in
sede di ricorso indicazione ( e tantomeno applicazione) di alcun elemento da cui
desumere tale circostanza; che la presenza di precedenti penali peraltro specifici
è correttamente richiamata nella motivazione della sentenza in relazione alla
impossibilità di desumere una resipiscenza effettiva dell’imputato; che, per altro
verso, non appaiono sussistere profili ragionevolmente valutabili o che non siano
stati materialmente valutati al fine di escludere la rilevanza dei precedenti
medesimi; che l’unico elemento da cui possa desumersi almeno un corretto
comportamento processuale si esaurisce in una confessione effettuata dopo un
formale e certo riconoscimento effettuato dalla persona offesa non certo valutabile
in termini di spontaneità e rilevanza; che appare logica e immune da censure la
motivazione della Corte territoriale in relazione al fatto che le pregresse occasioni
di reinserimento sociale sono state regolarmente disattese come confermato dalla
commissione di altrettanti reati, con la conseguenza che la ennesima formale
manifestazione di resipiscenza appare non degna di seguito.

3

rilevanza i richiami effettuati alla sentenza Drassich della Corte Europea dei diritti

7. Deve dunque dichiararsi inammissibile in quanto manifestamente infondato
anche il secondo motivo di ricorso.
8. Quanto infine il terzo motivo di ricorso, con cui si prospetta l’equiparazione
del positivo esito dell’affidamento in prova rispetto al fatto di avere scontato in
detenzione domiciliare una precedente condanna con applicazione della liberazione
anticipata (come avvenuto nel caso di specie), deve rilevarsi che il motivo è del
tutto sganciato da qualsivoglia previsione normativa e che persino i precedenti di
questa Corte richiamati in sede di ricorso attengono ad aspetti attinenti

profilo rilevante in questa sede.
9. Ne consegue l’inammissibilità anche dell’ultimo motivo di ricorso.
As. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e
valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in €
1.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000,00 alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2016
Il Consiglier

Il P

l’ammissione all’affidamento in prova senza che si faccia riferimento ad alcun

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