Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15933 del 27/11/2012
Penale Sent. Sez. 1 Num. 15933 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: ROCCHI GIACOMO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) DE LUCA GIOVANNI N. IL 04/01/1957
2) NUCATOLO SALVATORE N. IL 28/03/1974
3) MASULLO STRATO N. IL 31/10/1949
4) NAMIO PIETRO N. IL 11/12/1958
5) PALAZZO MARIO N. IL 06/05/1963
avverso la sentenza n. 1939/2008 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 25/10/2010
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI
Udito il Procuratore G nerale persopa d9.1Dott. (-~1″<-1
che ha concluso per P Udito, per 1 e civile, l'Avv Uditi difensor Avv. ITer54)2 3-34/3-", , P1/91155ggr) Data Udienza: 27/11/2012 4 RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 25/10/2010, la Corte d'appello di Palermo, in parziale
riforma della sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di
Palermo del 24/1/2007, ravvisava, quanto all'imputato Masullo Strato, la
continuazione tra i reati oggetto del processo e quelli giudicati con sentenza della
stessa Corte del 4/5/2005, irrevocabile il 12/1/2006 e rideterminava la pena
complessiva in anni dodici di reclusione ed euro 60.000 di multa; confermava, Salvatore, Namio Pietro e Palazzo Mario.
Il processo ha per oggetto un'associazione per delinquere finalizzata al
traffico di sostanze stupefacenti, della quale sono stati ritenuti partecipi, insieme
ad altri, De Luca Giovanni, Masullo Sgíto, Nucatolo Salvatore e Namìo Pietro,
nonché diversi reati di detenzione, trasporto e commercio di sostanze
stupefacenti, ciascuno di essi contestato a singoli imputati. I fatti risalgono al
periodo marzo - novembre 2001 e risultano commessi in Palermo, Napoli, Africo
e Catania. La Corte territoriale confermava le considerazioni e conclusioni esposte dal
Giudice di primo grado: ribadiva, in primo luogo, l'attendibilità intrinseca,
ritenuta "inattaccabile", del collaboratore di giustizia Pettinato Enrico, che aveva
reso dichiarazioni in incidente probatorio; sottolineava i riscontri provenienti
dalle intercettazioni telefoniche operate nei confronti dello stesso Pettinato a
partire dall'aprile 2001; rilevava che l'efficacia della collaborazione era stata
dimostrata dagli arresti in flagranza di soggetti coinvolti nell'associazione,
sorpresi nel possesso di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti e, più in
generale, dai vari servizi di osservazione svolti dalla polizia giudiziaria.
La Corte respingeva l'eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni per il
ricorso ad impianti esterni a quelli in dotazione alla Procura della Repubblica,
osservando che i decreti di urgenza del P.M., successivamente convalidati dal
Giudice per le indagini preliminari, erano stati adeguatamente motivati, facendo
ciascuno di essi esplicito e testuale riferimento all'indisponibilità, al momento
necessario, di postazioni per l'esecuzione di intercettazioni telefoniche ed
ambientali, essendo tutte quelle in uso alla Procura della Repubblica già
impegnate per altre indagini in corso, come certificato dal competente
funzionario di segreteria; le ragioni di urgenza poste a base del ricorso ad
impianti esterni erano state specificamente indicate ed erano state poi
dimostrate dai sequestri e dagli arresti operati in conseguenza dell'ascolto.
Con riferimento all'apparente criticità delle conversazioni intercettate, la invece, la sentenza appellata quanto agli imputati De Luca Giovanni, Nucatolo possibilità di interpretare il linguaggio convenzionale utilizzato dagli interlocutori
era stato reso possibile dagli accertamenti e i sequestri operati dalla polizia
giudiziaria, nonché dalle dichiarazioni di Pettinato Enrico; si trattava, peraltro, di
linguaggio convenzionale assai trasparente, che non permetteva interpretazioni
diverse da quelle ritenute nella sentenza di primo grado.
La Corte respingeva, ancora, l'eccezione di inutilizzabilità del risultato di
intercettazioni svolte in differenti procedimenti, sulla considerazione che si
trattava di mera occasione per l'inizio delle operazioni nell'ambito del presente presente indagine e la mancata trasmissione dei decreti autorizzativi non
comportava la inutilizzabilità, che può derivare solo dall'illegalità delle
intercettazioni.
La Corte riteneva molto chiare le prove della sussistenza di una struttura
associativa: gli imputati operavano non solo quali concorrenti di molteplici
fattispecie di delitto, ma all'interno di una struttura associativa ben delineata,
che aveva le proprie ramificazioni in Sicilia, Calabria e Campania: i viaggi di
approvvigionamento dei diversi corrieri erano regolari e l'associazione ne faceva
affidamento; i traffici si prolungavano nel tempo stabilmente, il provento veniva
redistribuito tra gli associati, che si davano assistenza reciproca per sfuggire alle
indagini; anche i fornitori, tra cui Masullo Strato, e i corrieri partecipavano
all'associazione, prestando collaborazione continuativa e con la consapevolezza
delle risorse dell'organizzazione. Nel prosieguo dell'esposizione si riportano i motivi di ricorso specificamente
indicati dai vari imputati e le valutazioni, rilevanti per ciascuno di essi, espresse
nella sentenza impugnata. 2. DE LUCA GIOVANNI.
L'imputato è stato condannato per la partecipazione all'associazione per
delinquere (capo 3 dell'imputazione) e per otto imputazioni ex art. 73 d.P.R. 309
del 1990: una di tipo generale (capo 4), che sembra voler comprendere tutte le
condotte di acquisto, detenzione e spaccio poste in essere nel periodo di vita
dell'associazione, e le altre indicanti specifici episodi. Secondo la sentenza impugnata, Pettinato Enrico aveva spiegato che proprio
da lui e De Luca, che erano ottimi amici, era nato il nucleo dell'associazione: essi
avevano avuto la disponibilità di 500 gr. di eroina, spacciata insieme a Giovanni
Montalbano e poi avevano esteso la loro attività. De Luca, secondo Pettinato, si
trovava all'epoca agli arresti domiciliari e utilizzava la sua abitazione per 2 processo; comunque, esse riguardavano fatti connessi a quelli oggetto della - contattare i clienti; in alcune occasioni si era recato presso un magazzino in
disponibilità di Pettinato per aiutarlo a tagliare la droga (approfittando dei r permessi lavorativi concessigli in relazione agli arresti domiciliari). I due erano
soci al SO% e dividevano equamente i proventi derivanti dal traffico di cocaina
ed eroina.
Pettinato acquistava la droga da Montalbano attraverso Stilo Domenica,
nonché da Masullo Strato. Una delle conversazioni intercettate, risalente al
18/4/2001, dimostrava che De Luca conosceva Montalbano. La sentenza rinviava nella sentenza di primo grado. In effetti, il Giudice dell'udienza preliminare aveva affermato l'esistenza di
un rapporto stabile tra Pettinato e De Luca da una parte e Montalbano dall'altra
per la fornitura di droga che i primi due provvedevano a tagliare e aveva indicato
numerosi appostamenti ed intercettazioni di riscontro:
- 31/3/2001: osservazioni all'esercizio di pompe funebri del De Luca:
dimostrava i contatti con Pettinato e Montalbano;
- 18 aprile 2001: De Luca era interessato all'acquisto di un chilogrammo di
droga e dimostrava di ben conoscere Montalbano;
- 28 aprile 2001: De Luca chiedeva a Pettinato 50 grammi di eroina che il
Pettinato gli procurava entro mezz'ora;
- 18 maggio 2001: Pettinato, Montalbano e De Luca facevano criptico
riferimento ad una fornitura che Montalbano avrebbe consegnato il 16 maggio;
cessioni a Cona Gaetano: parlava anche con De Luca, oltre che con
Montalbano e Pettinato, usando il medesimo linguaggio criptico;
- 2/6/2001: Montalbano era pronto a cedere una partita ma solo dietro
pagamento in contanti; Pettinato diceva a Montalbano: "Parla con Giovanni" e,
poco dopo, si riscontrava una conversazione tra Montalbano e De Luca: De Luca
diceva a Montalbano di passare da lui e faceva riferimento a 18 milioni che
doveva dare per una macchina; poi usava la prima persona plurale ("ci
prendiamo il quattro ruote"), a dimostrazione che lui e Pettinato lavoravano
insieme;
- in un colloquio nel mese di giugno Montalbano riferiva a De Luca del
controllo che aveva subito insieme a Stilo Domenica da parte della Guardia di
Finanza e della loro fuga;
- in un colloquio tra Montalbano ed altro soggetto emergeva che il primo
aveva finanziato il viaggio a Napoli in cui era stato arrestato Namio: secondo
Pettinato anche De Luca era nell'affare, a conferma dell'inserimento stabile nel
sodalizio criminoso; ad altre conversazioni telefoniche che, del resto, erano ampiamente riportate - 2/7/2001: si incontravano Montalbano, De Luca e Pettinato per ritirare lo
stupefacente che avrebbe portato Stilo Domenico;
- 5/7/2001: consegna di droga da parte di Carneli Pasquale: De Luca
rassicurava Pettinato del reperimento di denaro per il corrispettivo;
- 18/7/2001 e giorni seguenti: conversazioni in cui era coinvolto anche De
Luca riguardanti il taglio della droga realizzato male; Pettinato gli riferiva di
avere parlato con Montalbano della cattiva qualità della droga. Emergeva che
Montalbano contattava Stilo per risolvere il problema: alla fine giungeva Carneli - 2/8/2001: nuova fornitura proveniente direttamente da Montalbano. La
Guardia di Finanza arrestava due corrieri; del silenzio di Montalbano parlavano
De Luca e Pettinato il 20 settembre;
- 1 ottobre 2001: reperimento di un nuovo canale di approvvigionamento
(Catania, Nucatolo Salvatore): Montalbano avvisava Pettinato e De Luca. La Corte dava atto della missiva con cui De Luca ammetteva di avere
acquistato spesso droga pesante dal Pettinato e di averla spacciata al minuto,
così confermando la propria responsabilità per i reati ex art. 73 D.P.R. 309/90. La Corte negava la concessione delle attenuanti generiche, ad essa ostando i
precedenti, la estrema gravità e reiterazione delle condotte, gli ingenti
quantitativi di stupefacente, mentre nessun elemento favorevole emergeva. Propone ricorso per cassazione De Luca Giovanni, deducendo distinti motivi. In un primo motivo si denuncia la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b)
ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen. e 73 e 74 T.U.
stup..
La Corte aveva recepito le motivazioni della sentenza di primo grado, senza
prendere in considerazione gli specifici motivi di appello. Ciò aveva riguardato le
censure concernenti la credibilità e l'attendibilità del collaboratore Pettinato: gli
approfondimenti richiesti avrebbero infatti evidenziato il suo mendacio e
l'assenza dei riscontri individualizzanti; del resto, le stesse dichiarazioni
permettevano di escludere la partecipazione del De Luca alla contestata associazione per delinquere, trattandosi di acquirente di droga per un uso
personale, come risulta anche dall'unica intercettazione rilevante; del tutto
immotivata era l'attribuzione al ricorrente del ruolo di procacciatore di clienti,
trovandosi egli agli arresti domiciliari ed essendo frutto di travisamento della
prova l'affermazione secondo cui i clienti si recavano presso la sua abitazione. 4 che veniva arrestato con due chili di eroina; Mancava, poi, una cassa comune dell'associazione e l'esistenza di un gruppo
organizzato, così come un programma anche generico di commercio di droga: le
varie condotte devono quindi essere interpretate come episodi di reato ai sensi
dell'art. 73 T.U. stup.; né vi è la prova della consapevolezza e volontà del De
Luca di far parte di un'associazione, condividendone gli scopi e le sorti.
La sentenza era, inoltre, del tutto immotivata con riferimento ai delitti scopo
contestati, nonostante la richiesta della difesa di analizzare i singoli episodi In un secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell'art. 606,
comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen.,
133 e 62 bis cod. pen., con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti
generiche, giustificata dalla Corte territoriale con la mancanza di elementi
particolari che inducano una favorevole valutazione dell'imputato.
Secondo il ricorrente, la lettera con cui De Luca aveva ammesso l'acquisto di
piccole quantità di sostanze stupefacenti e aveva chiarito il contenuto delle
conversazioni intercettate integrava una collaborazione piena e disinteressata,
sufficiente a permettere la concessione delle attenuanti generiche. 3. NAMIO PIETRO.
Al ricorrente è contestata la partecipazione all'associazione per delinquere
(capo 3 dell'imputazione), nonché due delitti di cui all'art. 73 d.P.R. 309 del
1990. Namio era stato arrestato il 21/6/2001 a Palermo al ritorno da Napoli, dove
aveva acquistato due chilogrammi di eroina da Masullo Strato, con il sequestro
dello stupefacente e separato giudizio, con conseguente condanna (trattasi del
capo 6, contestato ad altri imputati). Le indagini precedenti avevano permesso di
monitorare un altro viaggio svolto il 15/6/2001 con modalità identiche.
Non esistevano intercettazioni telefoniche od ambientali che lo vedessero
protagonista. La Corte territoriale, nel confermare la condanna di primo grado, faceva
riferimento alle dichiarazioni di Pettinato Enrico, assai informato sulla condotta
del cognato, che avrebbe diffusamente parlato del suo inserimento
nell'associazione criminosa nonché ai pedinamenti svolti in entrambi i viaggi a
Napoli, che avevano riscontrato l'ipotesi d'accusa.
Veniva rigettata la tesi, secondo cui due trasporti di droga non erano
sufficienti a fondare un'affermazione di responsabilità per il reato associativo: vi 5 oggetto di contestazione. ; è partecipazione quando anche i pochi episodi sono posti in essere
continuativamente e consapevolmente circa le risorse dell'organizzazione,
finendo col maturare la coscienza di far parte di una struttura personale
associata, in modo che l'attività di spaccio rappresenti un contributo volontario
alla realizzazione del fine di profitto dell'intero sodalizio criminoso.
Nel caso del Namio, vi erano una pluralità di fatti di trasporto di
stupefacente, con un contributo rilevante e assai efficace. violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza
o erronea applicazione della legge penale, carenza ed illogicità della motivazione.
La sentenza impugnata era illogica e contraddittoria nel ritenere il ricorrente
partecipe all'associazione per delinquere, pur mancando pedinamenti, fotografie
o intercettazioni ambientali che dimostrassero i rapporti tra Namio e gli altri
coimputati, appoggiandosi alle sole dichiarazioni di Pettinato, il quale, peraltro,
aveva riferito genericamente di due viaggi; analoga censura viene mossa con
riferimento alla conferma della condanna per i reati ascritti ai capi 4 e 5, atteso
che le conversazioni ambientali erano criptiche e le dichiarazioni di Pettinato
mancavano di riscontri individualizzanti. Il ricorso lamenta, poi, la illogicità e contraddittorietà della motivazione con
riferimento alla mancata dichiarazione di prevalenza delle già concesse
attenuanti generiche sulle contestate aggravanti, trattandosi di soggetto che,
come unico precedente, aveva quello riconosciuto in continuazione con i reati
oggetto della sentenza impugnata. 4. NUCATOLO SALVATORE E PALAZZO MARIO
Nucatolo Salvatore è stato ritenuto partecipe dell'associazione per
delinquere e responsabile di quattro diverse imputazioni ex art. 73 d.P.R. 309 del
1990; Palazzo Mario, invece, è stato condannato solo per più acquisti, al fine di
spaccio, di sostanza stupefacente da Enrico Pettinato, ritenuti riuniti per
continuazione (capo 2). Dalla sentenza di primo grado emergeva che Nucatolo era un finanziatore
del secondo viaggio a Napoli (quello concluso con l'arresto di Namio Pietro il
21/6/2011): Montalbano aveva garantito a Pettinato la consegna di un chilo di
droga ("una fotocopia"), aggiungendo che stava lavorando per "l'altro
mancante"; successivamente il 18/6/2011, Montalbano e Nucatolo avevano
parlato della divisione del costo. Pettinato aveva infatti riferito che Nucatolo Ricorre per cassazione Namio Pietro deducendo come unico motivo la lavorava con Montalbano nella cocaina.
Il ruolo dell'imputato emergeva con evidenza dopo gli arresti di Carneli
Pasquale e di due corrieri, quando il gruppo, nel settembre 2001, era alla ricerca
di un nuovo canale di approvvigionamento.
Il 20/9/2001, su richiesta di Pettinato, Montalbano telefonava a Nucatolo,
che trovava i contatti con due catanesi di nome "Massimo" e "Gaetano" (Gaetano
Vitale); Nucatolo fissava l'incontro, al quale avrebbe partecipato anche
Montalbano. Nei giorni successivi, Nucatolo teneva i contatti con i venditori: il Nucatolo si recavano a Catania, dove incontravano Vitale; ma nell'incontro
successivo, avvenuto il 9/10/2001 presso un autogrill, era presente anche
Pettinato e i tre avevano incontrato Vitale.
Pettinato Enrico aveva, infatti, riferito di avere fatto un viaggio con Nucatolo
e Montalbano nel catanese per cercare cocaina, aggiungendo che essi si erano
liberati della droga perché si erano accorti di essere seguiti (in effetti la
perquisizione aveva avuto esito negativo).
Le successive intercettazioni dimostravano che Nucatolo aveva avvertito
Montalbano che la Polizia lo sta cercando, invitandolo a darsi alla macchia; anche
Pettinato era a conoscenza del luogo dove si nascondeva Montalbano: proprio
seguendo Pettinato, la polizia aveva arrestato Montalbano e Di Liberto. Secondo la Corte territoriale, la prova della condotta associativa
dell'imputato si trae dalle dichiarazioni di Pettinato Enrico e da plurime
intercettazioni telefoniche. Pettinato aveva riferito del completo inserimento del
Nucatolo nei traffici di cocaina del gruppo organizzato, pur precisando di non
sapere se egli trattasse anche dell'eroina; aveva poi riferito del viaggio a Catania
per acquistare cocaina, sostenendo che era stato Nucatolo a reperire i venditori.
Secondo la Corte, all'inizio Nucatolo era un importante acquirente del
gruppo, successivamente aveva dato un essenziale contributo all'organizzazione,
soprattutto dopo gli arresti dei corrieri. Le intercettazioni e i servizi di polizia
giudiziaria avevano dimostrato i numerosi viaggi a Catania fatti dall'imputato.
Inoltre egli era stato ascoltato dare indicazioni al latitante Montalbano, a
dimostrazione del legame associativo esistente tra i due.
La Corte riteneva, infine, il Nucatolo organizzatore del secondo viaggio a
Napoli conclusosi con l'arresto di Namio Pietro, richiamando le intercettazioni
esposte nella sentenza di primo grado, da cui emergeva la partecipazione del
Nucatolo all'organizzazione del viaggio e il contributo al finanziamento da parte
del ricorrente. 7 6/10/2001 parlava con Vitale e poi con Montalbano. L'8/10/2001 Montalbano e Quanto a Palazzo Mario, la Corte richiamava le dichiarazioni di Pettinato
Enrico che, in sede di incidente probatorio, aveva confermato di avere venduto
due o tre volte a Palazzo mezzo chilogrammo di cocaina; le due intercettazioni
dell'il e del 12/4/2001 dimostravano che una fornitura era stata eseguita, che
essa era destinata allo spaccio, perché i due interlocutori facevano riferimento ai
clienti dell'acquirente, e che non si trattava della prima fornitura, in quanto i due
commentavano la migliore qualità della droga rispetto alla occasione precedente;
nello stesso mese erano state ascoltate altre conversazioni di contenuto criptico, Secondo la Corte, il quantitativo della droga ceduta impediva il
riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990,
né l'imputato era meritevole delle attenuanti generiche. Ricorre per cassazione il difensore di Nucatolo Salvatore e Palazzo Mario,
deducendo distinti motivi. In un primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 606, comma 1,
lett. 6) ed e) cod. proc. pen. per erronea applicazione della legge penale e
manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla riconosciuta
utilizzabilità delle intercettazioni ambientali ai sensi degli artt. 267, 268 e 271
cod. proc. pen. (questione per la quale si è già esposta la motivazione della
sentenza impugnata nel paragrafo 1).
Il P.M. si era limitato a rilevare l'insufficienza degli impianti installati presso
la sala ascolto della Procura della Repubblica, senza dare conto in maniera
precisa ed esauriente delle ragioni di questa valutazione e facendo riferimento ad
una certificazione del funzionario che non attestava, né l'insufficienza, né
l'idoneità dei citati impianti: si tratta di motivazione ritenuta non sufficiente dalle
Sezioni unite di questa Corte. Il ricorrente ripropone, quindi, l'eccezione di
inutilizzabilità delle conversazioni intercettate ai sensi dell'art. 271, comma 1,
cod. proc. pen.. In un secondo motivo si deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b)
ed e) cod. proc. pen. per erronea applicazione della legge penale e manifesta
illogicità della motivazione in relazione all'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. e
alla non idoneità probatoria delle intercettazioni telefoniche ai fini della prova
dell'appartenenza di Nucatolo all'associazione per delinquere.
Le dichiarazioni di Pettinato Enrico, anche considerate congiuntamente alle
intercettazioni svolte, si presentavano prive di attendibilità intrinseca ed
estrinseca, rivelandosi parziali, incerte, generiche ed approssimative: non 8 ma trasparente. dimostravano in che modo Nucatolo Salvatore, inizialmente mero acquirente
della sostanza stupefacente, fosse divenuto associato. Per un tale passaggio di
ruolo non erano sufficienti i ripetuti acquisti di sostanza stupefacente, poiché è
necessario che gli acquirenti agiscano con la volontà e consapevolezza di operare
quali aderenti ad un'associazione criminale e nell'interesse di questa.
Mancava qualunque prova dell'assunzione del rischio comune nella gestione
dell'attività illecita e, per di più, il dato temporale smentiva la sussistenza Le dichiarazioni di Pettinato erano generiche e non riscontrate anche con
riferimento alla posizione di Palazzo Mario: ad esempio, il collaboratore non
sapeva precisare il numero delle forniture a Palazzo (se due o tre), per di più non
fornendo dati temporali precisi, né precisazioni sulle modalità della consegna.
Le dichiarazioni mancavano di coerenza, di costanza e di spontaneità;
mancavano inoltre elementi individualizzanti. In definitiva, secondo il ricorrente, la sentenza violava tutti i criteri indicati
da questa Corte per ritenere utilizzabile la chiamata in correità ai sensi dell'art.
192 cod. proc. pen., mentre le conversazioni intercettate non riscontravano
affatto la partecipazione all'associazione per delinquere da parte di Nucatolo, non
dimostrando l'esistenza del pactum sceleris. In un ulteriore motivo, si denuncia la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per erronea applicazione della legge penale e manifesta
illogicità della motivazione in relazione all'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. e
alla non idoneità probatoria delle intercettazioni telefoniche ai fini della
dichiarazione di responsabilità per i reati di cui all'art. 73 T.U. stup. dei due
ricorrenti.
Quanto all'acquisto di droga da parte di Palazzo nel mese di aprile 2001, le
due intercettazioni telefoniche menzionate dalla Corte territoriale non
dimostravano alcuna cessione di stupefacente, mentre le dichiarazioni del
Pettinato non erano attendibili; non esistevano conversazioni precedenti che
indicassero un accordo tra i due soggetti per la cessione di droga e nessun
appostamento era stato effettuato dalla polizia giudiziaria; nulla aveva riferito il
Pettinato a riguardo delle due intercettazioni.
Con riferimento ai capi 4 e 6 addebitati a Nucatolo, nessuna prova emergeva
dell'acquisto di droga da parte sua; per il secondo reato una diversa persona era
stata arrestata in flagranza, dato che dimostrava l'estraneità del Nucatolo. 9 dell'organizzazione. In un ulteriore motivo si deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b)
e d) cod. proc. pen. per mancanza di motivazione in ordine alla misura
dell'aumento per la continuazione operato nei confronti di Palazzo Mario con
riferimento ad altre sentenze di condanna: la Corte aveva confermato l'aumento
calcolato dal Giudice di primo grado, di misura eccessivamente elevata,
omettendo ogni motivazione. 5. MASULLO STRATO.
e sodali da Napoli: era stato lui a rifornire Namio Pietro in occasione dei due
viaggi del 15 e del 21 giugno 2001. In relazione a queste condotte il ricorrente è
stato condannato sia per il reato associativo che per distinti delitti di cui all'art.
73 d.P.R. 309 del 1990. La sentenza di primo grado riferiva che il 4/6/2001 Pettinato aveva
concordato con Masullo di incontrarsi a Napoli per un affare; quando era tornato,
ne aveva parlato con Montalbano, riferendogli della quantità e del prezzo della
merce; Montalbano si dimostrava interessato. Il giorno dopo Pettinato aveva
telefonato a Masullo, preannunciandogli l'arrivo in settimana.
Il 14/6/2001, in una nuova telefonata, Pettinato aveva riferito a Masullo di
avere "i documenti pronti". Il 15/6/2001 era avvenuto il primo viaggio in
motonave da Palermo a Napoli di Pettinato e Namio Pietro ed era avvenuta la
prima consegna.
L'esito era stato positivo e già dal 18 giugno, Pettinato e Masullo
organizzavano un secondo viaggio, che, come premesso, avveniva il 21 giugno
2001, giorno dell'arresto di Namio Pietro, in possesso di due chilogrammi di
cocaina.
Pettinato Enrico aveva descritto acquisti ripetuti di droga a casa del Masullo
(due volte con il cognato Namio): ciò era stato confermato dalle intercettazioni
telefoniche e dai pedinamenti, nonché dall'arresto di Namio. I giudici di primo e di secondo grado motivavano la condanna di Masullo per
il reato associativo in forza della stabilità delle relazioni di fornitura con Pettinato,
con cui anche in precedenza aveva avuto rapporti di fornitura di droga. La Corte respingeva un'eccezione di ne bis in idem con riferimento ad una
diversa condanna per reato associativo: Masullo era stato giudicato per
l'appartenenza ad un'associazione differente da quella oggetto del presente
processo, solo in parte sovrapponibile a quella odierna, ma in realtà diversa per 10 Le indagini lo avevano indicato come fornitore di cocaina di Pettinato Enrico struttura, finalità, composizione, territorialità, identità dei correi e epoca di
consumazione delle condotte; era, quindi, possibile solo il riconoscimento della
continuazione fra i reati giudicati nei due processi. Ricorre un difensore di Masullo Strato deducendo distinti motivi.
Il ricorrente denuncia la mancata valutazione delle prove, l'illogicità della
motivazione e la mancata indicazione delle prove a carico con riferimento alla
condanna per il reato associativo. partecipazione di Masullo all'associazione, la Corte territoriale si era limitata ad
esporre le prove della responsabilità per il delitto di cui al capo 6, senza
indicarne alcuna per il reato associativo. In un secondo motivo si deduce la mancanza assoluta di prova per il reato
associativo: l'esame di Pettinato dimostra che tra lui e Masullo esisteva solo un
rapporto di fornitura, mentre il ricorrente non aveva alcun contatto i clienti del
Pettinato. Non esistono, secondo il ricorrente, altri fatti che denotano l'adesione
del Masullo all'associazione: in Masullo era assente l'elemento soggettivo del
reato, la coscienza e volontà di partecipare all'attività criminosa dell'associazione
e di contribuire attivamente alla vita della stessa, cosicché l'assenza di prova
della partecipazione all'associazione si deduce dallo stesso testo della
motivazione. In un terzo motivo si denuncia l'erronea applicazione della legge, per
mancato riconoscimento del ne bis in idem ai sensi dell'art. 649 cod. proc. pen.:
la fornitura di sostanza stupefacente da parte di Masullo Strato a Pettinato nel
mese di giugno 2001 era stata oggetto di altra sentenza del Giudice per
l'Udienza preliminare di Palermo del 16/4/2004.
In quella sentenza il ricorrente era stato condannato per avere fatto parte di
un'associazione diretta al commercio di sostanze stupefacenti e per avere
importato, acquistato, detenuto e commercializzato stupefacente dal 1990 al marzo del 2001, insieme a Pettinato Enrico: nel corso dell'istruttoria si era fatto
riferimento alle dichiarazioni di Pettinato e alle fornitura di cocaina fino al 2001;
quindi il fatto era identico e l'unica condotta rimasta estranea a quella prima
sentenza era quella contestata al capo 6 (fornitura del 21 giugno 2001). In un quarto motivo si denuncia la mancata motivazione, sotto forma di
motivazione apparente, sulla richiesta di concessione delle attenuanti generiche.
Benché la Corte territoriale avesse riconosciuto la continuazione dei reati 11 Benché l'appello avesse contestato la mancanza di prova della oggi giudicati con quelli oggetto della precedente sentenza, non aveva concesso
le attenuanti generiche che, invece, in quella sede erano state riconosciute:
decisione del tutto priva di motivazione. Ricorre anche l'altro difensore di Masullo Strato, deducendo l'inosservanza
ovvero erronea applicazione dell'art. 81 cod. pen. e il difetto di motivazione sul
punto relativo all'applicazione dell'aumento di pena minimo previsto per la
continuazione, nonché il difetto di motivazione sul punto della mancata La sentenza impugnata motiva il mancato riconoscimento del ne bis in idem
rispetto ai fatti già giudicati con la sentenza del 2004 con la considerazione che
l'associazione ivi contestata aveva termine nel mese di marzo 2001, mentre i
fatti associativi oggetto nel presente procedimento hanno termine nel mese di
novembre 2001 (per Masullo nel mese di giugno 2001, con l'arresto di Namio
Pietro e il sequestro dello stupefacente): se, quindi, era un periodo di tre mesi a
giustificare il mancato riconoscimento del ne bis in idem, l'aumento per la
continuazione di anni quattro e mesi sei di reclusione è assolutamente incongruo
ed eccessivo; inoltre risulta ingiustificata la mancata concessione al ricorrente
delle attenuanti generiche. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Appare preliminare la trattazione del motivo di ricorso concernente
l'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche dedotto dalla difesa di Nucatolo e
Palazzo per violazione dell'artt. 268, comma 3, cod. proc. pen..
Il motivo di ricorso è formulato in maniera generica ed è, comunque,
infondato.
Il ricorrente né indica, né tanto meno produce unitamente al ricorso i decreti
del P.M., che aveva disposto il compimento delle operazioni mediante impianti in
dotazione alla polizia giudiziaria, che avrebbero determinato l'inutilizzabilità; si
noti che le omesse indicazione e produzione erano già state censurate dalla
Corte territoriale con riferimento ai motivi di appello (Sez. 4, n. 2394 del
13/12/2011 - dep. 20/01/2012, Russillo e altro, Rv. 251751; Sez. F, n. 32362
del 19/08/2010 - dep. 26/08/2010, Scuto ed altri, Rv. 248141). Nel merito, comunque, i principi stabiliti dalla norma invocata e dalla
giurisprudenza di questa Corte appaiono rispettati dal P.M..
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che l'obbligo di motivazione del decreto del pubblico ministero che dispone l'utilizzazione di 12 concessione delle attenuanti generiche nella massima misura di legge. impianti diversi da quelli in dotazione all'ufficio di Procura non è assolto col
semplice riferimento alla "insufficienza o inidoneità" degli impianti stessi (che
ripete il conclusivo giudizio racchiuso nella formula di legge), ma richiede la
specificazione delle ragioni di tale carenza che in concreto depongono per la
ritenuta "insufficienza o inidoneità" (Sez. U, n. 30347 del 12/07/2007 - dep.
26/07/2007, Aguneche ed altri, Rv. 236754); come ulteriormente chiarito da
questa Sezione (Sez. 1, n. 42892 del 24/02/2011 - dep. 21/11/2011, Alibrico e
altri, Rv. 251505), è necessario che dalla motivazione del decreto emerga nell'ambito dei poteri di cognizione del pubblico ministero (Sez. U, n. 919 del
26/11/2003, dep. 19/01/2004, Gatto, Rv. 226487), in quanto l'art. 15 Cost.,
comma 2, che, nel prevedere che le limitazioni alla segretezza delle
comunicazioni possono avvenire "per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le
garanzie stabilite dalla legge", ha istituito una riserva di giurisdizione oltre che di
legge, non aggirabile mediante la delega al controllo di una delle condizioni
previste dalla legge alla polizia giudiziaria che effettua le operazioni o agli uffici
di segreteria. Di conseguenza, in ordine alla motivazione del decreto, reso dal
Pubblico Ministero ai sensi dell'art. 268, comma 3, cod. proc. pen. è rilevante, a
prescindere dalle espressioni lessicali usate, la deducibilità dallo stesso dell'iter
cognitivo e valutativo seguito e la conoscibilità dei suoi risultati conformi alle
prescrizioni di legge, dovendosi pertanto indicare in decreto i dati materiali e le
ragioni che all'autorità giudiziaria hanno fatto ritenere esistente la fattispecie
concreta considerata e la sua corrispondenza alla fattispecie astratta, che
legittima il provvedimento. Come ampiamente motivato dalla Corte territoriale, il P.M. ha rispettato
questi principi: in ciascun decreto il P.M. ha preso atto dell'indisponibilità di
postazioni in dotazione alla Procura della Repubblica per l'esecuzione delle
Intercettazioni, facendo riferimento alla relativa attestazione della Segreteria e
facendola propria, ma, contestualmente, ha fornito una motivazione delle
obiettive ragioni di urgenza che imponevano l'immediata attivazione
dell'intercettazione sulle singole utenze, così evidenziando il rischio della
irrimediabile frustrazione delle esigenze investigative.
In definitiva, si tratta di decreti che rispettano la riserva di giurisdizione non limitandosi il magistrato a recepire l'attestazione della Segreteria
concernente l'indisponibilità di postazioni, ma esprimendo una autonoma
valutazione propria sulla insufficienza degli impianti della Procura e sulla
sussistenza di eccezionali ragioni di urgenza - ed hanno contenuto conforme al
disposto della norma applicata. 13 "l'esistenza di una obiettiva situazione di insufficienza o di inidoneità", ricadente 2. Il primo motivo di ricorso dedotto dalla difesa di De Luca Giovanni è
infondato.
Contrariamente a quanto lamentato, la Corte non si è affatto limitata a
recepire le conclusioni del giudice di primo grado ma, dando atto del motivo di
appello concernente la richiesta di assoluzione, ha autonomamente valutato
l'attendibilità del collaboratore di giustizia Pettinato Enrico, l'ampiezza delle sue
dichiarazioni concernenti proprio il De Luca e i numerosi riscontri forniti alle sue facendo richiamo all'esposizione della sentenza di primo grado): in effetti il
numero delle conversazioni e dei controlli riguardanti Pettinato e De Luca, nella
prima parte di questa sentenza riassunti, è davvero notevole e il loro contenuto
è assai pregnante.
La Corte riporta anche le dichiarazioni confessorie del ricorrente sui ripetuti
acquisti di droga dal Pettinato e ne evidenzia i limiti e lo scopo effettivo, quello di
escludere la propria partecipazione all'associazione per delinquere e di
ammettere solo le condotte che emergevano con evidenza dagli atti.
Nessuna illogicità manifesta emerge dalla constatazione che De Luca, nel
corso delle indagini preliminari, si trovava agli arresti domiciliari: la misura
poteva essere violata od elusa, approfittando dei permessi ottenuti. Le
intercettazioni sopra menzionate mostravano che il De Luca si occupava del
taglio, si incontrava con gli associati, contattava gli acquirenti. Le censure riguardanti l'inesistenza dell'associazione, poi, sono certamente
generickt/ la Corte territoriale ha ampiamente motivato sul gruppo organizzato
emerso dalle indagini, sull'esistenza di un programma indeterminato di
commercio di quantità non certo minime di sostanza stupefacente (dimostrate
dai sequestri operati) e sul superamento delle difficoltà via via incontrate con il
reperimento di nuovi canali di approvvigionamento della droga, attivati tramite i
contatti di alcuni degli associati. Il ruolo dei singoli associati era diverso e,
certamente, la misura cui il De Luca era sottoposto gli impediva alcune delle
attività necessarie, ma non altre, come si è visto.
Generica è anche la contestazione della mancanza dell'elemento soggettivo
del reato associativo: le intercettazioni dimostrano che il ricorrente non aveva
affatto come unico referente Pettinato Enrico, ma si rapportava ed intratteneva
un sodalizio assai forte con altre persone, primo fra tutte Montalbano Giovanni. Anche il secondo motivo di ricorso dedotto da De Luca Giovanni è infondato:
il ricorrente censura, sostanzialmente, la mancata considerazione, come 14 dichiarazioni dalle intercettazioni svolte (la Corte non le riporta integralmente, elemento positivo, della lettera con cui egli aveva ammesso i ripetuti acquisti di
droga da Pettinato Enrico; ma, appunto, la Corte ritiene che l'ammissione di
colpevolezza sia avvenuta "in termini riduttivi" rispetto a quanto emerso dalle
indagini, così giustificandosi la mancata menzione dello scritto come elemento
positivo da contrapporsi a quelli negativi, menzionati e nemmeno contestati dal
ricorrente. 3. Il ricorso di Namio Pietro appare, invece, fondato e determina L'ampia motivazione della sentenza impugnata non permette di nascondere
un dato: al ricorrente sono addebitati solo due trasporti di droga, eseguiti
rispettivamente il 15 e il 21. giugno 2001; in occasione del secondo, Namio venne
arrestato, con il sequestro di stupefacente, separatamente giudicato e
condannato (capo 6 dell'imputazione, contestato ad altri imputati).
Che si tratti di trasporti eseguiti per conto dell'associazione per delinquere è
fuori dubbio; ma la partecipazione del ricorrente a detta associazione necessita
di una prova che vada al di là della condotta materiale, esauritasi, come si è
visto, nell'arco di poco più di una settimana.
Sotto questo profilo, la motivazione della sentenza impugnata è
decisamente carente; essa, per di più, non può far leva sul contenuto di
intercettazioni telefoniche, poiché nessuna conversazione intrattenuta dal
ricorrente è stata ascoltata, né gli interlocutori fanno riferimento a lui. Nella parte della sentenza riguardante il delitto associativo (pagg. 14 e ss.),
la Corte sottolinea che la condotta del Namio avveniva "all'interno di precise
coordinate di una struttura associativa ben delineata": affermazione condivisibile
ma, appunto, insufficiente di per sé a fondare un'affermazione di responsabilità
per il reato associativo, ben conoscendo l'esperienza giudiziaria la figura del
corriere di droga incaricato di singoli trasporti da uno degli associati, ma
estraneo al contesto associativo, sia per sua volontà che per volontà degli stessi
associati; successivamente la Corte, per motivare la sussistenza dell'elemento
soggettivo, menziona il rapporto di affinità che legava Namio a Pettinato: ma si
tratta di dato che, preso da solo, appare "neutro", in quanto può sì, suggerire
una condivisione del Namio negli affari del cognato ma non li dimostra affatto
(ben potendo il dato essere letto nel senso che il Pettinato aveva scelto un
corriere di cui si fidava, ben conoscendolo in ragione dei rapporti familiari).
Anche la specifica trattazione della posizione di Namio non aggiunge ulteriori
elementi rilevanti: emerge, fra l'altro, che le dichiarazioni di Pettinato Enrico
riguardanti il cognato si limitano al suo ruolo nei trasporti; che i trasporti eseguiti 15 l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. erano stati solo due (appunto, quelli già monitorati nel corso delle indagini); che,
fra l'altro, Pettinato accompagnava Namio nel viaggio di andata Palermo - Napoli
e prendeva personalmente contatto con Masullo Strato, ritirando personalmente
la droga, così limitandosi il ruolo del Namio al trasporto dello stupefacente nel
viaggio di ritorno. Il vizio della motivazione è, in sostanza, evidente: a base della condanna per
la partecipazione all'associazione per delinquere stanno esclusivamente le due motivazione che, peraltro, ribadisce che anche solo due trasporti possono
fondare l'affermazione di responsabilità per il reato associativo, quando la
condotta "è posta in essere avvalendosi continuativamente e consapevolmente
delle risorse dell'organizzazione": ma, appunto, di ciò non si dà prova. L'annullamento con rinvio della sentenza impugnata riguarda, peraltro, non
solo l'affermazione di responsabilità per il reato associativo (capo 3
dell'imputazione), ma anche la contestazione di cui all'art. 73 d.P.R. 309 del
1990 contenuta nel capo 4.
In effetti, questa imputazione sembra voler comprendere tutti gli episodi di
commercio di stupefacente posti in essere dagli associati per delinquere in vari
luoghi dal marzo al novembre 2001: ma, appunto, dalla motivazione delle due
sentenze non si riesce a evincere, a carico di Namio, condotte diverse dai due
trasporti Napoli - Palermo più volte menzionati. Il Giudice di rinvio dovrà, quindi, verificare se l'imputato si è reso
responsabile di condotte illecite diverse - in un passaggio, la sentenza
impugnata fa cenno ad un'attività di piccolo spaccio posto in essere dal
ricorrente, senza, peraltro, approfondire né specificare - che possano essere
comprese in detta imputazione. Il motivo di ricorso è, invece, infondato quanto all'imputazione di cui al capo
5: essa riguarda i trasporti Napoli - Palermo e, quindi, viene addebitato al
ricorrente in relazione al primo dei due viaggi, quello del 15/6/2001 (mentre per
il secondo, menzionato al capo 6, Namio è già stato condannato).
Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, gli elementi di prova
evidenziati sono abbondanti e niente affatto equivoci: si deve ricordare che
anche in quella occasione, il viaggio a Napoli di Pettinato e Namio fu seguito
dagli inquirenti che li pedinavano e che osservarono una procedura che si
sarebbe ripetuta sei giorni dopo; cosicché le intercettazioni telefoniche, che 16 condotte di trasporto di cui si è detto, e nient'altro. Ciò è ammesso in dimostravano la preparazione del viaggio e il suo finanziamento, nonché i
contatti di Pettinato con Masullo Strato, e le dichiarazioni di Pettinato Enrico
concorrono a formare prova piena della responsabilità del Namio. Il secondo motivo di ricorso, concernente la mancata prevalenza delle
attenuanti generiche sulle aggravanti contestate, è da ritenersi assorbito in
conseguenza dell'accoglimento del primo: l'esito del nuovo giudizio riguardante il
reato associativo e l'ulteriore delitto ex art. 73 d.P.R. 309 del 1990 permetterà al ritenute prevalenti o equivalenti alle aggravanti che saranno riconosciute. 3. Il primo motivo di ricorso dedotto dalla difesa di Nucatolo Salvatore e
Palazzo Mario è già stato affrontato e respinto. Il secondo motivo di ricorso deve essere respinto.
La Corte motiva ampiamente e in maniera convincente sul diverso ruolo
assunto da Nucatolo Salvatore nei confronti dell'associazione per delinquere in
una fase successiva: dapprima acquirente di droga e finanziatore del secondo
viaggio a Napoli di Pettinato e Namio, egli aveva assunto un ruolo attivo dopo gli
arresti di Carneli Pasquale e di due corrieri, nel mese di settembre 2001, quando
aveva procurato a Pettinato e Montalbano una nuova fonte di
approvvigionamento a Catania. La Corte, quindi, individua un momento di
ingresso nell'associazione del Nucatolo.
Ciò che appare adeguatamente motivato - e non risulta affatto illogico o
contraddittorio - è la considerazione dell'opera prestata in questa fase da
Nucatolo Salvatore non come occasionale contributo, ma come partecipazione
all'associazione alla luce non solo del ruolo attivo assunto, ma anche dei contatti
intrattenuti successivamente, riguardanti la procurata latitanza di Montalbano
Giovanni; l'intervento di Nucatolo non avrebbe significato senza una adesione al
programma criminoso dell'associazione.
Infondata è, quindi, la censura riguardante le dichiarazioni di Pettinato
Enrico, la cui attendibilità la Corte analizza ampiamente: egli riferisce episodi che
trovano ampio riscontro nelle intercettazioni eseguite e nei sequestri operati. Altrettanto infondate sono le censure di entrambi i ricorrenti formulate nel
successivo motivo di ricorso, aventi ad oggetto l'affermazione di responsabilità
per i delitti ex art. 73 d.P.R. 309/90.
Quanto al delitto contestato al capo 4 dell'imputazione a Nucatolo Salvatore,
esso comprende anche l'episodio dell'acquisto della droga dai due catanesi 17 Giudice di valutare se le attenuanti generiche già concesse debbano essere contattati dal ricorrente; che la droga fosse stata consegnata, ma poi gettata,
essendosi i tre accorti di essere sorvegliati dalla Guardia di Finanza, come riferito
da Pettinato Enrico, emerge con chiarezza dalle intercettazioni e dall'esito
negativo della perquisizione che fu effettivamente eseguita in quell'occasione a
seguito del pedinamento.
Niente affatto illogica è, poi, la motivazione della Corte con riferimento
all'affermazione di responsabilità di Nucatolo per il trasporto di droga da Napoli a
di Namio Pietro: come adeguatamente motivato dalla Corte territoriale, le
intercettazioni telefoniche (in particolare quelle riportate a pag. 45 della
sentenza di primo grado) dimostrano ampiamente che Nucatolo Salvatore aveva
contribuito a finanziare il viaggio; il fatto che Pettinato non fosse sicuro della
circostanza dimostrava la correttezza del collaboratore di giustizia, ma è
circostanza superata dal tenore inequivocabile delle conversazioni che Nucatolo
aveva con Montalbano Giovanni.
Quanto a Palazzo Mario, la motivazione della sentenza non si fonda solo
sulle dichiarazioni del Pettinato (che aveva confermato che tra i suoi acquirenti vi
era Palazzo e che le forniture erano di mezzo chilo di droga ogni volta): le
intercettazioni telefoniche richiamate in motivazione, logicamente interpretate
nella sentenza impugnata, dimostrano chiaramente che una cessione vi era già
stata, tanto che Palazzo si lamentava con Pettinato della qualità della sostanza
acquistata.
La circostanza che il collaboratore di giustizia non abbia saputo specificare il
numero esatto delle forniture non è motivo di assoluta inattendibilità dello
stesso.
Anche l'ultimo motivo di ricorso, concernente l'aumento per la continuazione
calcolato nei confronti di Palazzo Mario, è infondato: benché non esplicitamente
motivando sulla questione specifica, la Corte territoriale ha implicitamente
rigettato il relativo motivo di appello, che era stato riportato nella parte
espositiva, rivalutando il complessivo trattamento sanzionatorio irrogato dal
Giudice di primo grado e ritenendolo degno di conferma alla luce dei parametri di
cui all'art. 133 cod. pen.; la Corte sottolinea altresì che gli acquisti contestati nel
presente processo riguardavano quantità non certo minime di stupefacente, così
implicitamente giustificando la necessità di un aumento per la continuazione
congruo. 18 Palermo del 21/6/2001, conclusosi con il sequestro dello stupefacente e l'arresto 5. Anche il ricorso di Masullo Strato è parzialmente fondato.
Pare opportuno prendere l'avvio dal terzo motivo di ricorso con il quale si
ripropone la questione del ne bis in idem tra i fatti giudicati con la sentenza del
Giudice dell'udienza preliminare di Palermo del 16/4/2004 e quelli oggi
contestati.
L'eccezione è respinta con motivazione adeguata dalla Corte territoriale, che
fa leva sulla diversa data di cessazione del reato associativo nel processo
(novembre 2001). La Corte prende esattamente come riferimento la
contestazione contenuta nelle imputazioni formulate nei due processi: risulta
chiaramente irrilevante la circostanza che nel primo processo si fosse fatto
riferimento anche alle vicende successive riferite da Pettinato Enrico; che
l'istruttoria si sia spinta anche a vicende che non erano contemplate
nell'imputazione è dato che non modifica affatto il perimetro del fatto contestato
che deve essere enunciato "in forma chiara e precisa" al momento della richiesta
di rinvio a giudizio (art. 417 cod. proc. pen.). La modifica della data di
cessazione del reato associativo nel primo processo, comprendendo in essa
anche le condotte del giugno del 2001, avrebbe richiesto una modifica
dell'imputazione che, invece, non vi è stata, perché in tema di reato
permanente, quando l'imputazione sia stata formulata a "contestazione chiusa"
(ossia, con l'indicazione della data iniziale e finale dell'attività delittuosa),
costituisce nuova contestazione, a norma dell'art. 520 cod. proc. pen., la
modifica del capo di imputazione attraverso il riferimento all'ulteriore durata
della permanenza del delitto contestato (da ultimo Sez. 6, n. 5576 del
26/01/2011 dep. 14/02/2011, Cacozza, Rv. 249468).
Ciò valutato, occorre prendere atto che le uniche condotte addebitabili a
Masullo Strato nel presente processo sono costituite dalle due forniture del 15 e
del 21 giugno 2001 già ampiamente ricordate, oggetto delle imputazioni sub 5 e
6.
Fondata è, quindi la censura mossa nei primi due motivi di ricorso, in cui si
lamenta che la Corte - così come il Giudice di primo grado - per affermare la
responsabilità per il reato associativo sub 3 si sia limitata ad evidenziare la
responsabilità del ricorrente in quei due episodi; né appare sufficiente il richiamo
ai pregressi rapporti tra Pettinato Enrico e Masullo Strato perché essi non
sembrano emergere nell'ambito del presente processo, così da ritenere che
possano riferirsi all'attività della diversa associazione giudicata nel diverso
procedimento. giudicato nel 2004 (marzo 2001) e di quello contestato nel presente processo Il Giudice di rinvio dovrà, quindi, motivare sulla base di quali dati probatori
ulteriori rispetto alla condotta posta in essere il 15 e il 21 giugno 2001 Masullo
Strato può essere ritenuto partecipe dell'associazione, anche tenendo conto che,
per quanto emerge dalle due sentenze, i contatti telefonici con Masullo erano
tenuti solo da Pettinato, così come quelli personali in occasione delle due
forniture, nelle quali, come si è visto, anche Namio Pietro veniva tenuto
estraneo.
In definitiva, occorre comprendere quali sono i motivi che fanno ritenere
di pregressi rapporti dello stesso tipo, ma un soggetto consapevole dell'attività e
della struttura dell'associazione criminosa di cui Pettinato faceva parte, partecipe
di detto gruppo criminale e, quindi, in contatto anche con altri associati.
Né appare sufficiente il richiamo alla figura del fornitore stabile
dell'associazione, tenuto conto che le condotte evidenziate nella sentenza
impugnata si svolsero nel corso di una settimana.
L'annullamento con rinvio non può che riguardare anche l'imputazione sub
4, che ha per oggetto tutte le condotte di commercio di stupefacente addebitate
all'associazione per delinquere: tenuto conto che quelle poste in essere dal
ricorrente sono descritte ai capi 5 e 6, il Giudice di rinvio dovrà fornire adeguata
motivazione sull'affermata responsabilità del Masullo in relazione ad altre
condotte.
Il motivo concernente la misura dell'aumento per la continuazione resta
assorbito: la questione sarà valutata dal Giudice di rinvio dopo la decisione sulla
responsabilità dei capi 3 e 4.
Deve, infine, essere respinto il motivo di ricorso concernente la mancata
concessione delle attenuanti generiche: contrariamente a quanto dedotto, la
motivazione sul punto non è affatto apparente, in quanto la Corte territoriale fa
riferimento allo spessore criminale del Masullo, alla reiterazione e alla gravità
degli episodi, alle condanne irrevocabili già subite ed al suo inserimento da molto
tempo, ai più alti livelli, nel traffico della droga. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'imputazione di associazione
per delinquere ex art. 74 d.P.R. 309 del 1990 di cui al capo 3 quanto a Masullo
Strato e Namio Pietro, nonché all'imputazione di cui al capo 4 agli stessi ascritta Masullo non un fornitore "all'occasione" del Pettinato, disponibile in conseguenza e rinvia per nuovo giudizio sui capi nei confronti dei predetti ricorrenti ad altra
Sezione della Corte d'appello di Palermo. Rigetta nel resto i ricorsi di Masullo e
Namio e rigetta i ricorsi di De Luca, Nucatolo e Palazzo, che condanna al
pagamento delle spese processuali. Così deciso il 27 novembre 2012 Il Presidente Il Consigliere estensore