Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15933 del 19/02/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 15933 Anno 2016
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: AIELLI LUCIA

Accattatis Cesare nato a Colosimi il 4/1/1958;
avverso la sentenza n. 1095/2015 della Corte d’Appello di Catanzaro del 9/6/2015;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere dott. Lucia Aielli ;
udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale dott. Enrico Delehaye che ha concluso
per il rigetto del ricorso del ricorso;
udito il difensore avv. Fabrizio Falvo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza del 9/6/2015 la Corte d’Appello di Catanzaro in parziale riforma della
sentenza del Tribunale di Cosenza del 15/5/2014, che aveva condannato il ricorrente per il
reato di cui agli artt. 633, 639 bis c.p., alla pena della reclusione e della multa,
rideterminava la pena, irrogando la sola multa .
2. Avverso tale pronunzia ricorre per cassazione Accattatis Cesare deducendo : 1)
violazione di legge penale ( art. 606 lett. b) c.p.p. ) in relazione agli artt. 633, 639 bis c.p..
Afferma il ricorrente che la Corte avrebbe errato nel ritenere integrato l’elemento oggettivo
del reato poiché i lavori di sbancamento erano stati eseguiti non già per occupare il terreno
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)(P

Data Udienza: 19/02/2016

pubblico, ma per la necessità di sopperire ad infiltrazioni di acqua, potendosi, al più,
ravvisare nel caso di specie, un’ipotesi di danneggiamento per il quale mancherebbe la
condizione di procedibilità.
3. Lamenta inoltre la violazione di legge ( art. 606 lett. b) c.p.p.), in relazione agli artt.
157, 159 c.p., avendo la Corte ritenuto il reato permanente sino alla data di stipula
dell’atto di compravendita , mentre esso doveva essere dichiarato estinto per prescrizione,
essendo i lavori di sbancamento terminati il 6/11/2003.
4. Con il terzo motivo il ricorrente contesta la legittimazione attiva della parte civile e la

4.1. Con i motivi aggiunti il ricorrente ha rimarcato la carenza dell’elemento soggettivo del
reato di occupazione abusiva, la maturazione del termine di prescrizione e la carenza di
legittimazione della parte civile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi palesemente infondati.
Difatti tutte le questioni proposte attengono a valutazioni di merito che sono insindacabili
nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai
principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie.
(Sez. U. n. 24 del 24/11/1999, Rv. 214794; Sez. U. n. 12 del 31.5.2000, Rv. 216260;
Sez. U. n. 47289 del 24.9.2003, Rv. 226074).
2.Con riferimento al preliminare motivo di estinzione del reato di invasione di terreni, per
prescrizione, la Corte di merito, correttamente, ha distinto il reato edilizio, estinto per
prescrizione, dal concorrente reato di cui agli artt. 633, 639 bis c.p., che è reato
permanente, ove l’offesa al patrimonio demaniale, perdura sino a quando continua
l’invasione arbitraria del terreno al fine di occuparlo e di trarne profitto ( Sez. 3, n. 48520
del 22/1/2004; rv. 227949) per cui nel caso di specie la consumazione dello stesso, è
stata correlata non già alla data di cessazione dei lavori abusivi, ma alla data di
cessazione della permanenza ovvero al 4/2/2013, data stipula del contratto di
compravendita del terreno occupato ( in data 4/2/2013), attraverso la quale l’Accattatis,
acquisita la titolarità del bene, eliminava la situazione di illiceità.
3.Fatta questa precisazione rileva il collegio che la doglianza relativa alla violazione di
legge per carenza dell’elemento soggettivo del reato, è inammissibile in quanto generica .
Va infatti ricordato il principio per il quale il ricorso per cassazione è inammissibile
qualora sia fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in
secondo grado, sia per l’insindacabilità, come già anticipato, delle valutazioni di merito
adeguatamente e logicamente motivate e sia per la genericità dei motivi di ricorso che, in
tal modo, solo apparentemente ma non specificamente, denunciano un errore logico o

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sussistenza di danno quale conseguenza del reato .

giuridico determinato ( Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Rv. 243838; Sez. 2, n. 11951
del 29/1/2014, rv. 259425; Sez. 3, 44882/2014, rv. 260608).
Nel caso di specie la Corte di merito ha ricostruito la condotta dell’Accattatis sulla base di
dati oggettivi ( testimonianze qualificate e documentazione) escludendo che l’intervento
edilizio fosse “necessitato” ed anzi, a pagina 2, ha sottolineato che l’azione invasiva, era
finalizzata alla specifica realizzazione di un profitto, dato dalla ultimazione dell’immobile
abusivo, costruito, in parte, su suolo demaniale, sicchè con motivazione in linea con
l’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte che il collegio condivide, è stato anche dato

Quanto ai motivi di ricorso riguardanti la legittimazione attiva della parte civile e l’
effettiva sussistenza di un danno, la sentenza impugnata, dopo avere giustificato la
pronuncia di condanna sotto il profilo penale, ha confermato le statuizioni civili già
pronunciate in primo grado utilizzando la tecnica della motivazione per relationem, in
quanto l’appellante si era limitato alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto (
legittimazione attiva della parte civile ed effettiva sussistenza del danno) già
adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice ( Sez. 6 , n.
28411/2012, rv. 256435) .
Quanto all’accertamento del danno, vengono in rilievo, nel caso in esame, i principi di
diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità, con riferimento alle regole di giudizio
che deve applicare il giudice penale, qualora il soggetto danneggiato dal reato eserciti
l’azione risarcitoria, mediante la costituzione di parte civile. Al riguardo, si è chiarito che
l’azione civile che viene esercitata nel processo penale è quella per il risarcimento del
danno patrimoniale o non, cagionato dal reato, ai sensi dell’art. 185 c.p. e dell’art. 74
c.p.p.; con la conseguenza che l’azione risarcitoria discende necessariamente – per scelta
del soggetto danneggiato, che abbia deciso di esercitare la relativa azione, costituendosi
parte civile nel processo penale – dall’accertamento dell’esistenza di un fatto di reato, in
tutte le sue componenti obiettive e subiettive, alla luce delle norme che regolano la
responsabilità penale. Questa Corte ha affermato infatti che la condanna generica al
risarcimento dei danni, quale mera declaratoria iuris, non esige alcuna indagine in ordine
all’effettiva esistenza, alla specifica fonte o alla reale estensione del danno risarcibile, ma
postula soltanto l’accertamento della potenziale capacità lesiva dell’illecito penale, inteso
nel suo complesso, e della probabile esistenza di un nesso di causalità tra questo ed il
pregiudizio lamentato, salva restando, nel giudizio di liquidazione del quantum, la facoltà
del giudice civile di individuare, nell’ambito del fatto virtualmente dannoso accertato in
sede penale, l’esistenza stessa, la concreta matrice e la effettiva entità del danno,
astretto da rapporto eziologico con il fatto illecito. (cfr. Cass. Sez. 4, sentenza n. 11193,
del 10.02.2015, Rv. 262708, in motivazione; Sez. 6, 26/8/1994 , n. 9266).
Nel caso in esame i giudici di merito hanno evidenziato che la p.c. Gualtieri Elena, era
stata danneggiata dall’invasione de quo, sia rispetto alle fognature ed alle condotte

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conto soggettivo del reato ( Sez. 2, 20/1/2006 , n. 2592, rv. 232856).

dell’acqua, sia rispetto alla possibilità di accesso alla sua proprietà, rimasta per un certo
periodo inaccessibile e, successivamente, comunque disagevole.
Alla luce di quanto esposto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna
del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento
a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del

dictum della Corte

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Così deciso il 19.2.2016

costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, si stima equo determinare in C 1.000,00.

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