Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15919 del 08/04/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 15919 Anno 2016
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

VARAGNOLO DANIELE nato il 21/07/1969 a CHIOGGIA

avverso l’ordinanza del 02/12/2014 del TRIB. LIBERTA’ di VENEZIA
sentita la relazione svolta dal Consigliere RENATO GRILLO;
lOté/sentite le conclusioni del PG FRANCESCO SALZANO

‘i-

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 08/04/2015

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con ordinanza del 2 dicembre 2014 il Tribunale di Venezia – Sezione per il Riesame in accoglimento dell’appello proposto dal Procuratore della Repubblica presso quel Tribunale
avverso il provvedimento del Giudice per le Indagini Preliminari che aveva respinto la richiesta
di sequestro preventivo del cantiere navale della società CO.NA.VAR. s.r.l. corrente in
Chioggia, ordinava il sequestro preventivo del detto cantiere, ravvisando il

fumus dei reati di

1.2 Propone ricorso avverso la detta ordinanza il legale rappresentante della società
CO.NA.VAR. s.r.l. deducendo cinque distinti motivi che possono essere così sintetizzati: a)
inosservanza della legge penale per erronea applicazione dell’art. 650 cod. pen.; b) vizio di
motivazione per illogicità manifesta in punto di determinazione dell’oggetto del sequestro e di
qualificazione del provvedimento amministrativo ritenuto specifico e non generico come
prospettato dalla difesa; c) carenza di motivazione in punto di rispetto dei parametri di
proporzionalità, adeguatezza e gradualità del vincolo; d) inosservanza della legge penale per
erronea applicazione dell’art. 659 cod. open.; e) vizio di motivazione per manifesta illogicità in
punto di individuazione del bene giuridico individuato come oggetto di lesione ed in punto di
esclusione dell’applicabilità della norma amministrativa di cui all’art. 10 comma 2° della L.
447/95 in luogo dell’art. 659 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato.
2. Va premesso, in punto di fatto, che all’odierno ricorrente – nella sua specifica qualità di
legale rappresentante della società CO.NA.VAR. s.r.l. corrente in Chioggia ed espletante attività
cantieristica di manutenzione di imbarcazioni – sono stati contestati tre distinti reati
rispettivamente per violazione dell’art. 659 cod. open; dell’art. 650 cod. pen. e dell’art. 674
cod. pen. meglio descritti nei capi di imputazione provvisoria sotto le lettere A), B) e C). la
vicenda processuale all’attenzione di questa Corte tra origine da una serie di doglianze da

cui agli artt. 659 e 650 cod. pen. nonché il periculum in mora.

parte di persone dimoranti nelle vicinanze della sede operativa del cantiere navale circa la
intollerabilità dei disturbi acustici causati dall’attività cantieristica risalenti al 2005 ed
asseritamente persistenti sino alla data del sequestro. L’amministrazione Comunale di
Chioggia, al fine di riportare i livelli di rumorosità entro i limiti fissati dalla normativa vigente,
aveva emanato una ordinanza contenente una serie di prescrizioni a carico della società per
riportare a norma il livello della rumorosità. Tale ordinanza veniva impugnata in via
amministrativa dinnanzi al T.A.R. Veneto che rigettava il ricorso. Ciò nonostante, l’ordinanza
comunale rimaneva ineseguita. Da qui la richiesta di sequestro cautelare del Pubblico Ministero
rigettata dal GIP del Tribunale di Venezia che riteneva insussistente il fumus dei tre reati di cui
alla contestazione provvisoria.
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2.1 Mentre in riferimento al punto della ordinanza di rigetto riguardante il fumus del reato
di cui all’art. 674 cod. pen. nessuna impugnazione veniva proposta dal Pubblico Ministero,
l’Organo della Pubblica Accusa censurava l’ordinanza de qua relativamente agli altri due punti
concernenti la ritenuta insussistenza del fumus dei reati di cui agli artt. 650 e 659 cod. pen.
Tale appello veniva accolto dal Tribunale del Riesame che emetteva l’ordinanza oggi
impugnata.
3. Tanto detto, in riferimento al primo specifico motivo di ricorso, osserva il Collegio

adottata il 6 dicembre 2005 non integrerebbe il precetto penale di cui all’art. 650 cod. pen.
anzitutto perché non si tratta di un provvedimento contingibile ed urgente; ancora, perché
emesso in carenza dei presupposti richiesti dalla norma penale (nel caso di specie requisiti di
igiene o sicurezza pubblica); inoltre, perché emesso da un soggetto (il Dirigente del settore
Progettazione – Servizio Ecologia-Ambiente del Comune interessato) e non dal Sindaco o da
altra Autorità sanitaria. Trattandosi, allora, di un provvedimento assoggettabile a sola sanzione
amministrativa, la sua inosservanza non genera conseguenze penalmente rilevanti rientranti
nello schema tipico dell’art. 650 cod. pen.
3.1 Non ignora il Collegio la complessa tematica delle ordinanze emesse dall’Autorità
amministrativa (nel caso di specie quella Comunale) in materia di igiene, collegate al
superamento dei valori-limite di emissione e di immissione sonora previsti dal D.P.C.M. 14
novembre 1997, attuativo del precetto posto e sanzionato dall’art. 10, comma 2, della legge n.
447 del 1995) e dei rapporti intercorrenti tra la disciplina prevista da tale legge e quella
prevista dall’art. 659 cod. pen. commi 10 e 2°.
3.2 In effetti la giurisprudenza di questa Corte Suprema in tema di configurabilità dell’art.
650 cod. pen., condivisa dal Collegio, è uniforme nell’escludere la configurabilità del reato di
cui sopra quando la violazione dell’obbligo o del divieto imposto dal provvedimento
amministrativo sia già prevista da una fonte normativa generale e trovi autonoma e specifica
sanzione da parte dell’ordinamento (così Sez. 1″ 8.11.2002 n. 43202, Romanisio, Rv. 222945
secondo la quale l’inottemperanza ad ordinanza sindacale meramente ripetitiva del divieto di
superare i valori-limite di emissione e di immissione sonora previsti dal D.P.C.M. 14 novembre
1997, attuativo del precetto posto e sanzionato dall’art. 10, comma 2, della legge n. 447 del
1995 non è integrativa del precetto penale di cui all’art. 650 cod. pen.; v. anche Sez. 1^
8.3.2001, n. 15574, Salviato, Rv. 219267, in tema di omessa osservanza delle prescrizioni
imposte dall’ordinanza sindacale ad un allevatore di bestiame per la adozione di cautele
necessarie e per la realizzazione di opere volte ad evitare un nocumento alla salubrità
dell’ambiente; nello stesso senso Sez. 1^ 4.2.2004 n. 11367, P.M. in proc. Gusmeroli, Rv.
227742).

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quanto segue. Secondo la prospettazione difensiva, la inosservanza della ordinanza comunale

3.3 Tali decisioni postulano quale presupposto il fatto che la norma di cui all’art. 650 cod.
pen. riveste un carattere di sussidiarietà, come tradizionalmente affermato da giurisprudenza e
dottrina, sicchè non può di essa farsi applicazione laddove l’inosservanza dell’obbligo o del
divieto imposto dal provvedimento amministrativo sia già prevista da una fonte normativa
generale (come nel caso previsto dalla normativa di cui alla L. 447/95) e trovi autonoma e
specifica sanzione da parte dell’ordinamento, ritenendosi l’ordinanza sindacale sostanzialmente
ripetitiva del precetto già posto e sanzionato dall’art. 10, co. 2, della legge testè richiamata e

9 della medesima legge.
4. Ma, con riferimento specifico al problema concernente emissioni rumorose, è stato di
recente precisato, in contrapposizione ad un indirizzo che qualifica la condotta consistente nel
superamento dei limiti di accettabilità di emissioni sonore derivanti dall’esercizio di mestieri
rumorosi (nella specie, attività industriale) come illecito amministrativo ai sensi dell’art. 10,
comma secondo, legge n. 447 del 1995 (così Sez. 1^ 3.12.2004 n. 530, P.M. in proc. Termini
e altro, Rv. 230890; Sez. 3^ 21.12.2006 n. 2875, Roma, Rv. 236091; Sez. 1^ 13.1.2012 n.
48309, Carrozzo e altro, Rv. 254088), che in materia di disturbo delle occupazioni e del riposo
delle persone, il mancato rispetto dei limiti di emissione del rumore stabiliti dal D.P.C.M. 1
marzo 1991, integra la fattispecie di reato prevista dall’art. 659, comma secondo, cod. pen.,
non essendo applicabile il principio di specialità dì cui all’art. 9 della legge n. 689 del 1981, in
relazione all’illecito amministrativo previsto dall’art. 10, comma secondo, della legge n. 447 del
1995 (così Sez. 1^ 5.12.2013 n. 4466, Giovanelli e altro, Rv. 259156; in senso analogo, Sez.
1^ 16.4.2004 n.25103, Amato, Rv. 228244, secondo la quale “E superamento dei valori-limite
di rumorosità prodotta nell’attività di esercizio di una discoteca non integra la fattispecie
prevista dal primo comma dell’art. 659 cod. pen., ma quella indicata nel secondo comma dello
stesso articolo, che non è depenalizzata per effetto del principio di specialità di cui all’art. 9
della legge n. 689 del 1981, in quanto contiene un elemento, mutuato da quella prevista nel
comma precedente, estraneo alla fattispecie contemplata dall’art. 10, comma secondo, della
legge n. 447 del 1995 (legge quadro sull’inquinamento acustico), che tutela genericamente la
salubrità ambientale, limitandosi a stabilire, e a sanzionarne in via amministrativa il
superamento, i limiti di rumorosità delle sorgenti sonore oltre i quali deve ritenersi sussistente
l’inquinamento acustico. Tale elemento è rappresentato da quella concreta idoneità della
condotta rumorosa a recare disturbo al riposo e alle occupazioni di una pluralità indeterminata
di persone, che determina la messa in pericolo del bene della pubblica tranquillità tutelato da
entrambi i commi dell’art. 659 cod. pen.”.
4.1 Questo Collegio, in adesione a tale indirizzo che mira ad attribuire un carattere
specializzante alla norma penale rispetto a quella amministrativa prevista dal richiamato art.
10 comma 2 della L. 447/95, ritiene che la ordinanza sindacale emessa nel 2005 non fosse
meramente reiterativa del precetto contenuto nel più volte citato art. 10 della L. 447/95

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tale quindi da non assumere i connotati di provvedimento contingibile ed urgente di cui all’art.

sicchè rientrando essa nel novero dei provvedimenti emanati al fine di salvaguardare norme in
materie di igiene (rientrando la materia dell’inquinamento acustico nel novero della tutela della
igiene pubblica e della salubrità ambientale), la sua inosservanza implica la violazione dell’art.
650 cod. pen.
4.2 Se così è, versandosi nella ipotesi di sequestro preventivo, il Tribunale, chiamato a
verificare la sussistenza o meno del fumus criminis, ha fatto buon governo dei principi in tema
di sequestro preventivo, non limitandosi, peraltro, alla sola astratta configurabilità del reato,

dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, senza ovviamente che
dovesse essere verificata la sussistenza d’indizi di colpevolezza o la loro gravità, ma solo la
configurabilità di elementi concreti conferenti nel senso della sussistenza del reato ipotizzato
(così Sez. 5″ 15.7.2008 n. 37695, Cecchi Gori e altro, Rv. 241632). Sulla base di tali
considerazioni il primo motivo deve essere rigettato, perché non fondato.
5. E’, invece, inammissibile il secondo motivo che censura l’ordinanza impugnata in punto
di ritenuta manifesta illogicità nella misura in cui ha determinato l’oggetto del sequestro ed ha
qualificato come specifica – e non generica – l’ordinanza sindacale del 2005: tale conclusione
deriva dalla circostanza che l’impugnabilità in sede di legittimità di provvedimenti cautelari di
natura reale incontra ben precisi limiti in quanto è ammessa soltanto per violazione di legge,
intendendosi per tale sia quella concernente errores in procedendo che quella concernente
errores in judicando ovvero per violazione di legge derivante da vizi motivazionali così radicali
da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante
o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a
rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (tra le tante Sez. 1″ 31.1.2012 n.
6821, Chiesi, Rv. 252430; Sez. 5″ 13.10.2009 n. 43068, Bosi, Rv. 245093; s.u. 29.5.2008 n.
25932, Ivanov, Rv. 239692).
6. Con riferimento invece al terzo motivo lo stesso, seppur ammissibile in via astratta in
quanto riferito ad una asserita mancanza di motivazione è, tuttavia, infondato in quanto il
Tribunale ha reso sul punto una motivazione non di certo apparente con riferimento alla
proporzionalità, adeguatezza e gradualità del vincolo laddove afferma di attività del cantiere
che hanno cagionato in modo reiterato e non occasionale un intollerabile disturbo e disagio tale
da porre a repentaglio la salute e la tranquillità delle persone residenti intorno al cantiere, con
ciò ritenendo adeguata la misura ablativa quale unica necessaria a garantire la salute
collettiva, tanto più in relazione alla mancata osservanza delle prescrizioni imposte da tempo
alla società affinchè venisse riportato a norma il livello delle emissioni rumorose.
7. Con riguardo al quarto motivo osserva il Collegio quanto segue: relativamente ai
rapporti intercorrenti nell’ambito dell’art. 659 cod. pen. tra il

10 ed il 2° comma, è stato più

volte affermato da questa Corte Suprema il principio che la fattispecie contravvenzionale di cui

ma tenendo conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e

al comma 10 della norma in esame resta assorbita in quella prevista dal comma successivo,
avente medesima obiettività giuridica, se il disturbo venga arrecato nel normale esercizio di un
mestiere rumoroso, mentre risulta integrata in via autonoma se l’esercizio del predetto
mestiere eccede le sue normali modalità ovvero ne costituisce uso smodato (tra le tante, Sez.
1^, 25.5.2006 n. 30773, Galli, Rv. 234881; idem 6.1.2007 n. 46083, P.G. in proc. Cerrito ed
altro, Rv. 238168; Sez. 3″, 3.7.2014 n. 37313, Scibelli, non nnassimata).
7.1 Con riferimento, invece ai rapporti intercorrenti tra l’ipotesi contravvenzionale

comma 2, (legge quadro sull’inquinamento acustico), si è ormai costantemente affermato, con
plurime pronunce, che nel caso di esercizio di professione o mestiere rumoroso in spregio alle
disposizioni della legge ovvero alle prescrizioni dell’Autorità, la lesione del bene giuridico
protetto (quiete e tranquillità pubblica) comune all’art. 659 comma 2° cod. pen. ed all’art. 10
della L. 447/95, è presunta “ope legis” ed “è racchiusa, per intero, nel precetto della
disposizione codicistica, che tuttavia cede, di fronte alla configurazione dello speciale illecito
amministrativo previsto dall’art. 10 suddetto, qualora l’inquinamento acustico si concretizzi nel
mero superamento dei limiti massimi o differenziali di rumore fissati dalle leggi e dai decreti
presidenziali in materia” (così Sez. 3″ 18.9.2014 n. 42026, Claudino, Rv. 260658).
7.2 Tale interpretazione ha portato alla ulteriore conferma del principio secondo il quale la
condotta consistente nel superamento dei limiti di accettabilità di emissioni sonore derivanti
dall’esercizio di professioni o mestieri rumorosi non assumerebbe valenza penale ex art. 659
comma 2° cond pen., ha natura di illecito amministrativo esplicitamente previsto dall’art. 10
comma 2° della ricordata L. 447/95 (legge quadro sull’inquinamento acustico), in applicazione
del principio di specialità contenuto nella L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 9 (così da ultimo
Sez. 3^, 31.1.2014 n. 13015, Vazzana, Rv. 258702; conforme Sez. 1^ 13.11.2012 n. 48309
Carrozzo ed altro, Rv. 254088).
7.3 Detto orientamento, però, come precedentemente rilevato, non è uniforme in
considerazione di quel diverso indirizzo secondo il quale la fattispecie penale contiene un
elemento, mutuato da quella prevista nel comma 1, estraneo all’illecito amministrativo previsto
dalla L. n. 447 del 1995, art. 10, comma 2, che tutela genericamente la salubrità ambientale:
si tratta, in particolare della concreta idoneità della condotta rumorosa, a porre in pericolo il
bene della pubblica tranquillità tutelato da entrambi i commi dell’art. 659 cod. pen., sì da
recare disturbo ad una pluralità indeterminata di persone (così Sez. 1 5.12.2006 n. 1561 Rey
ed altro, Rv. 235883; idem 16.4.2004 n. 25103, Amato, Rv. 228244)
7.4 Mantiene, invece, rilevanza penale, sempre per costante affermazione di questa Corte,
quell’attività lavorativa che provochi disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone e che
sia caratterizzata dalla violazione di prescrizioni attinenti al contenimento della rumorosità e
diverse da quelle concernenti i limiti delle emissioni o immissioni sonore (così Sez. 1^ 5

delineata al comma 2° dell’art. 659 cod. pen. e l’ipotesi di cui alla L. n. 447 del 1995, art. 10,

27.10.2009 n. 44167, Fiumara, Rv. 245563; Sez. 3^, idem 21.12.2006 n. 2875, Roma, Rv.
236091).
7.5 Ciò ha indotto la giurisprudenza di questa Corte ad affermare di recente la regula juris
la quale “In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone nell’ambito di una
attività legittimamente autorizzata, è configurabile: A) l’illecito amministrativo di cui all’art. 10,
comma secondo, della legge 26 ottobre 1995, n. 447, ove si verifichi solo il mero superamento
dei limiti differenziali di rumore fissati dalle leggi e dai decreti presidenziali in materia; B) il

rappresentato da qualcosa di diverso dal mero superamento dei limiti di rumore, per effetto di
un esercizio del mestiere che ecceda le sue normali modalità o ne costituisca un uso smodato;
C) il reato di cui al comma secondo dell’art. 659 cod. pen. qualora la violazione riguardi altre
prescrizioni legali o della Autorità, attinenti all’esercizio del mestiere rumoroso, diverse da
quelle impositive di limiti di immissioni acustica” (cfr. Sez. 3^ n. 42026/14 cit.; conforme Sez.

3^ 21.1.2015 n. 5735, Giuffrè, Rv. 261885).
8. Nel caso in esame il Tribunale ha correttamente ravvisato – sulla base delle acquisizioni
documentali e delle fonti di prova indicate dal Pubblico Ministero – non solo il semplice
superamento dei limiti delle emissione sonore nell’ambito di una attività intrinsecamente
rumorosa, ma soprattutto la lesione e/o messa in pericolo della quiete pubblica come tale
pregiudizievole della salute collettiva costituzionalmente protetta dall’art. 32 Cost. E quanto
sopra – ricorda il Tribunale – è avvenuto in modo reiterato e non semplicemente occasionale al
punto da mettere a repentaglio la salute e la tranquillità delle persone. Non può dunque
parlarsi di sovrapponibilità tra le due diverse fattispecie rispettivamente regolate dalla legge
penale e da quella amministrativa, ma di una vera e propria lesione di rilievo penale del bene
protetto (la salute pubblica) che deve quindi essere ricondotto, come reputato dal Tribunale,
nello schema dell’art. 659 comma 10 cod. pen; e se anche dovesse ritenersi tale condotta
rientrante nello schema del comma 2°, si tratterebbe pur sempre di illecito penale e non
amministrativo in conformità a quella interpretazione, cui questo Collegio ha prestato
adesione, data dalla citata decisione n. 4466/14.
9. Risulta inammissibile il quinto motivo afferente ad una asserita manifesta illogicità della
motivazione in punto di individuazione del bene giuridico individuato come leso, a livello di
fumus criminis,

dalla norma penale per quelle ragioni dianzi esposte attinenti ai limiti della

sindacabilità in sede di legittimità di provvedimenti cautelari di natura reale.
9.1 Sotto diverso profilo, le censure rivolte alla ordinanza impugnata nella parte in cui si fa
riferimento alle sommarie informazioni testimoniali di recente acquisizione che la difesa
intenderebbe essere circoscritte soltanto a due diversi nuclei familiari, appaiono inammissibili
perché contenenti rilievi in fatto non proponibili in sede di legittimità perché tendenti a
sollecitare una alternativa lettura della vicenda processuale non consentita a questa Corte.
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reato di cui al comma primo dell’art. 659, cod. pen., ove il fatto costituivo dell’illecito sia

10. Il ricorso va, pertanto, rigettato: segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma 1’8 aprile 2015
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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