Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15904 del 08/03/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 15904 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: DE MASI ORONZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
COPPOLINO DANIELE, nato a Messina il 31/8/1988

avverso la sentenza del 28/3/2014 della Corte di Appello di Messina

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Oronzo De Masi;
udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Stefano Tocci, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 08/03/2016

RITENUTO IN FATTO

La Corte di Appello di Messina, con sentenza del 28/3/2014, in parziale riforma della sentenza
emessa il 20/5/2013 dal G.I.P. presso il Tribunale della medesima città, nei confronti di
COPPOLINO DANIELE, per il reato di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990,
relativamente alla detenzione per la vendita di gr. 149,5 di sostanza stupefacente del tipo
marijuana, rideterminava la pena inflitta all’imputato in anni uno e mesi otto di reclusione ed

Osservava la Corte territoriale che il luogo in cui era stato occultata la busta di plastica in cui
era custodita la sostanza stupefacente, unitamente ad un bilancino di precisione, facilmente
accessibile dall’abitazione dell’imputato, rendeva irnplausibile che altre persone si fossero
potute introdurre, senza farsi notare dai vicini, nella contigua abitazione della CARDIA
Giovanna, ove l’anziana donna si tratteneva di rado abitando stabilmente presso la figlia, per
nascondere i suindicati materiali, e che solo il trattamento sanzionatorio meritava di essere
oggetto di riconsiderazione alla luce “della reale portata della condotta contestata e della
disciplina più favorevole da ultimo prevista per le droghe leggere”.
Avverso la sentenza l’imputato propone, tramite il difensore fiduciario, ricorso per cassazione
affidato un unico motivo con cui deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) ,
c.p.p., violazione degli artt. 544, comma 1, e 192, commi 1 e 2, c.p.p., per aver la Corte
territoriale fondato l’affermazione di responsabilità dell’imputato su elementi indiziari che non
possono assurgere a rango di prova non essendo gravi, precisi e concordanti, che la droga era
stata rinvenuta in un luogo non di esclusiva pertinenza del COPPOLINO – un varco presente nel
mdto di confine del cortile dell’abitazione dell’imputato con quello di altra abitazione risultando per di più collocata in modo che fosse difficile raggiungerla, modalità contraria al
principio di celerità richiesto dallo scambio di stupefacente, e che sull’involucro contenente la
sostanza non vi erano le impronte digitali dell’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Le censure contenute nel ricorso sono manifestamente infondate.
La Corte territoriale fornisce, in punto di penale responsabilità del COPPOLINO, una motivazione
congrua ed esaustiva in cui si dà ampiamente conto della ricostruzione dei fatti fornita dagli
agenti del Commissariato di P.S. di Messina Nord circa lo stato dei luoghi, che aveva consentito
di ricondurre alla esclusiva disponibilità dell’imputato l’involucro, contenente la droga,
rinvenuto in una feritoia praticata alla base del muro divisorio che separa l’abitazione in uso

2

euro 2.000 di multa.

allo stesso da altra proprietà, quella di CARDIA Giovanna, posto nel cortile di pertinenza dell’abitazione
dell’odierno ricorrente per quest’ultimo – e soltanto per quest’ultimo – di facile accesso.
Nell’impugnata sentenza sono esposte le ragioni che hanno indotto la Corte territoriale a
considerare implausibile la versione fornita dalla difesa dell’imputato, che ha sempre negato
ogni responsabilità, avendo gli agenti di P.S. riportato nella relazione di servizio di non aver
potuto effettuare efficaci appostamenti ed osservazioni senza essere notati, in quanto la zona
è caratterizzata da vicoli stretti e trafficati.

introdursi nell’abitazione della CARDIA, che non vi abitava più da tempo, per poi raggiungere il
nascondiglio, ogni qualvolta avessero avuto bisogno di prelevare droga, senza essere visti da qualcuno.
Le contrarie argomentazioni sviluppate dalla difesa del COPPOLINO appaiono di carattere meramente
congetturale, come quando si assume che le modalità di conservazione della sostanza stupefacente, e del
bilancino di precisione, sarebbero stati contrari alle esigenze di celerità richiesto dalla successiva
operazione di scambio, atteso che lo stato dei luoghi depone invece per una relativa facilità proprio per
l’imputato di raggiungere il nascondiglio, con la necessaria riservatezza, e come quando si enfatizza il
mancato ritrovamento delle impronte digitali del prevenuto sulla busta di plastica in questione, trattandosi
all’evidenza di un dato sostanzialmente neutro.
Non va dimenticato infatti che la prova critica (cd. anche indiziaria o indiretta) ha per oggetto un fatto
suscettibile di essere assunto come indicativo e significativo di un altro fatto.
In altre parole, secondo la comune accezione giuridica, l’indizio costituisce una circostanza certa dalla quale
si può trarre una conclusione circa l’esistenza o l’inesistenza di un fatto ignoto; gli elementi indiziari,
contrassegnati dai caratteri stabiliti nell’art.”‘ 92 c.p.p., comma 2, si configurano come i risultati di
argomentazioni e non come dati di fatto provenienti da specifiche acquisizioni.
La giurisprudenza è sostanzialmente concorde nel ritenere eguale di per sé la capacità persuasiva della
prova rappresentativa (cd. anche storica o diretta), correttamente acquisita e valutata, e della prova critica
connotata dai requisiti previsti dal legislatore ed ancora, che la prova indiziaria per essere legittimamente
utilizzata deve essere qualificata da gravità, precisione, concordanza.
Non è dubbio altresì che questa Corte di legittimità, nell’ambito del compito di verifica della corretta
applicazione delle regole di logica “strutturale” del ragionamento svolto dal giudice di merito, sia tenuta ad
esaminare in termini di consistenza logica la gravità, precisione (univocità) e concordanza degli indizi,
approfondendo il profilo della loro capacità dimostrativa per l’accertamento con elevata probabilità del
fatto ignoto.
Nel caso di specie, i dati presi in considerazione dal Giudice di appello non sono privi di gravità (nel senso di
notevole contiguità logica con il fatto ignoto da accertare) ed univocità, mentre le argomentazioni difensive
dell’imputato propongono significazioni alternative ed antitetiche che però si risolvono in valutazioni dai
risultati alquanto opinabili e non riscontrabili.
3

Tale circostanza avvalora il convincimento che sarebbe stato ben difficile, per altri soggetti,

Né va sottaciuto come la fonte confidenziale acquisita dagli organi di polizia, che aveva consentito di
avviare l’attività investigativa nei confronti del COPPOLINO alla ricerca di elementi probatori, abbia trovato
una sostanziale conferma negli ulteriori atti d’indagine atteso il rinvenimento della sostanza stupefacente
detenuta dall’imputato per fini di spaccio in luogo di pertinenza del medesimo.
Ciò non di meno l’impugnata sentenza deve essere annullata per illegalità sopravvenuta della pena
irrogata giacché la Corte territoriale ha individuato la pena base facendo riferimento all’art.
73, c. 5, D.P.R. 309 del 1990, così come modificato dal con il D.L. 23 dicembre 2013, n. 146,

ritenuto non caducata, neppure implicitamente, per effetto della sentenza n. 32/2014 della
Corte Costituzionale e più favorevole all’imputato.
Com’è noto, con la sentenza n. 32/2014 (decisione del 12/2/2014, pubblicata il 25/2/2014), la
Corte Costituzionale aveva reintrodotto il preesistente differenziato regime sanzionatorio
previsto per le droghe pesanti e le droghe leggere, regime che stabiliva ex art. 73, comma 5,
citato, per i fatti di lieve entità, la pena detentive da uno a sei anni di reclusione e la multa da
Euro 2.582 ad Euro 25.822, per le droghe pesanti e quella da sei mesi a quattro anni di
reclusione e la multa da Euro 1.032 ad Euro 10.329, per le droghe leggere.
La disposizione in parola era stata modificata, una prima volta, con il D.L. 23 dicembre 2013,
n. 146, convertito con modificazioni nella L. 21 febbraio 2014, n. 10, con cui il fatto reato
“lieve” era configurato come ipotesi autonoma di reato (e non più come attenuante a effetto
speciale) e punito, per ogni tipo di sostanza stupefacente (pesante o leggera), con la pena
della reclusione da uno a cinque anni e con la multa da Euro 3.000 ad Euro 26.000.
Su tale norma ha però inciso la sentenza n. 32/2014 che ha reintrodotto il preesistente
differenziato regime sanzionatorio previsto per le droghe pesanti e le droghe leggere e sotto
tale profilo l’impugnata sentenza appare censurabile.
L’art. 73, comma 5, citato, è stato, poi, modificato ulteriormente, in sede di (sola) conversione
con modificazione del D.L. 20 marzo 2014, n. 36, (che non recava alcuna previsione al
riguardo), dalla L. 16 maggio 2014, n. 79, (art. 1, comma 24 ter) che così definitivamente
recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti
dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la
qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei
mesi a quattro anni e della multa da Euro 1.032 a Euro 10.329”.
Costituisce ipotesi autonoma di reato applicabile – come già statuito dalla citata legge n.
10/2014 – sia a droghe pesanti che a droghe leggere, con una pena inferiore nel minimo e nel
massimo rispetto a quella prevista da detta L. n. 10/2014.
La disposizione più volte menzionata, a ben vedere, contempla la stessa pena prevista per i
fatti lievi riguardanti droghe leggere (tabelle 2^ e 4^) già prevista nell’art. 73, c. 5, prima
delle modifiche introdotte dalla Legge Fini-Giovanardi.

4

convertito con modificazioni nella L. 21 febbraio 2014, n. 10, in quanto disposizione che ha

Orbene, è il novum normativo più favorevole che deve trovare applicazione, ai sensi dell’art. 2,
c. 4, c.p., onde evitare il mantenimento di una sanzione divenuta “illegale”, anche se si tratta
di fatti commessi sotto il vigore della previgente disciplina, laddove non definiti con sentenza
irrevocabile.
Come già questa Corte (Sez. 4, n. 44115 del 25/9/2014, Rv. 260733) ha avuto modo di
affermare, non v’è dubbio che il testo attuale è quello più favorevole rispetto alle discipline
previgenti e ciò perché la natura di reato autonomo sottrae oggi la norma al bilanciamento con
eventuali circostanze aggravanti, per il computo dei termini di custodia cautelare, per il

ridotte, con il D.L. n. 146 del 2013, convertito nella L. n. 10 del 2014, sono state ulteriormente
abbassate e sono decisamente più favorevoli a quelle previste dalla Fini-Giovanardi e dallo
stesso D.P.R. n. 309 del 1990, nel testo originario, relativamente alle pene ivi previste per le
droghe “pesanti”.
Tra l’altro, l’avvenuta reintroduzione della sostituibilità della pena principale con quella del
lavoro di pubblica utilità prevista dalla L. n. 49/2006, ma inopinatamente dimenticata nel D.L.
n. 146/2013, convertito nella L. n. 10 del 2014, è ulteriore argomento a supporto del fatto che
la normativa più favorevole in concreto è quella ora introdotta.
Giova, ancora, considerare che l’art. 73, c. 5, D.P.R. 309/1990, frutto dell’ultima modifica
normativa (D.L. n. 36 del 2014, convertito dalla L. n. 79 del 2014), è divenuto applicabile dalla
data di entrata in vigore della L. n. 79/2014, fissata al 21/5/2014 (G.U. n. 115 del 20/5/2014),
e quindi dopo la pronuncia della sentenza di appello (28/3/2014) nei confronti del ricorrente.
Questa Corte ha inoltre affermato il principio secondo cui la reviviscenza dell’art. 73 d.P.R. 9
ottobre 1990, n. 309, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. 30 dicembre 2005,
n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, successivamente
dichiarate incostituzionali dalla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, non
comporta che, nelle situazioni in cui la sentenza di primo grado abbia determinato la pena nella
misura minima dell’editto allora vigente in relazione alle droghe cosiddette “leggere”, il giudice
di appello – quale giudice di merito di secondo grado ovvero quale giudice di rinvio – sia
vincolato a rimodulare la sanzione rendendola conforme ai nuovi e più favorevoli minimi
edittali detentivi e pecuniari, potendo egli determinarla discrezionalmente nell’ambito della più
lieve cornice edittale tornata in vigore, con il solo limite – nell’ipotesi di appello proposto dal
solo imputato – del divieto di “reformatio in peius” (Sez. 3, n. 23952 del 30/4/2015,Rv.
263849, Sez. Un. n. 22471 del 2672/2015 (Sebbar),Rv. 263717).
La pena inflitta al COPPOLINO è stata determinata dai giudici di merito in base a parametri
normativi che, pur contenuti all’interno della cornice edittale della norma incriminatrice oggi
vigente (art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/90, autonoma ipotesi di reato), appaiono dissonanti
rispetto al diverso coefficiente di offensività (pene edittali, minima e massima, inferiori) della
fattispecie criminosa attribuita all’imputato.

computo della prescrizione e, soprattutto, sotto il profilo sanzionatorio, perché le pene, già

L’evenienza rende necessaria una rivisitazione correttiva del trattamento punitivo in conformità
al più favorevole regime dettato dall’art. 73, comma 5 D.P.R. n. 309/90, nel testo oggi in
vigore (L. n. 79/2014) ed a tanto non può procedere questo stesso giudice di legittimità, ai
sensi dell’art. 620 c.p.p., lett. I), non ricorrendone i presupposti.
In conclusione, fermo il giudizio di responsabilità dell’imputato ai sensi dell’art. 624 c.p. p., si
impone l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al giudice di appello che, per
quanto detto, nel rideterminare il trattamento sanzionatorio si dovrà attenere a quanto sopra
esposto.

Annulla con rinvio la sentenza impugnata alla

Corte di Appello di Reggio Calabria

limitatamente al trattamento sanzionatorio. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, l’ 8 marzo 2016.

P.Q.M.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA