Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1590 del 20/11/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 1590 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CAVALLO ALDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) SCHIAVONE FRANCESCO N. IL 06/01/1953
avverso l’ordinanza n. 5/2011 TRIBUNALE di SANTA MARIA
CAPUA VETERE, del 25/10/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;

Data Udienza: 20/11/2012

Ritenuto in fatto

1. Con provvedimento del 25 ottobre 2011, il Tribunale di Santa Maria
Capua Vetere in composizione collegiale rigettava il reclamo interposto da
Schiavone Francesco, sottoposto al regime detentivo di cui all’art. 41 bis Ord.
Pen., avverso il provvedimento in data 6 settembre 2011 con cui era stato
prorogato il provvedimento di censura della corrispondenza ed il divieto di
ricezione della stampa locale, in ragione dell’elevata pericolosità sociale del

operante nel casertano (clan dei Casalesi), onde evitare che, attraverso la lettura
della stampa locale, il prevenuto fosse informato sulle vicende criminali o
processuali in atto riguardanti il sodalizio di appartenenza, con ciò eludendo le
finalità perseguite dal regime differenziato al quale egli è sottoposto.
Il Tribunale confermava il provvedimento impugnato, condividendo le ragioni
dei limiti all’acquisto della stampa locale imposti all’imputato, assumendo che nel
caso in esame sussisteva un effettivo pericolo che lo Schiavone, attraverso la
lettura della stampa locale, potesse “attingere notizie e informazioni relative
all’attività del clan e perpetrare il collegamento criminoso con lo stesso”.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione
l’interessato, personalmente, deducendone l’illegittimità per violazione di legge
(art. 18 ter Ord. Pen), e vizio di motivazione.
Più specificamente nel ricorso si deduce:
– con il primo motivo d’impugnazione, che il provvedimento del Tribunale
incongruamente ha conculcato il diritto del prevenuto di scegliere i giornali da
leggere in autonomia e che le esigenze di ordine e sicurezza poste a fondamento
della decisione devono essere individuate in concreto e non invece in modo
astratto e generico, consentendo per altro il visto di censura, il trattenimento
della stampa, la cui conoscenza risulti, in concreto, costituire un pericolo per la
sicurezza;
– con il secondo motivo, che il tribunale non ha fornito alcuna risposta alle
argomentazioni sviluppate nella memoria difensiva del 5 ottobre 2011.

Considerato in diritto

1. L’impugnazione è inammissibile, in quanto basata su motivi
manifestamente infondati.
Il provvedimento assunto dal giudice a quo è legittimo, essendo stato dato
conto delle esigenze di ordine preventivo sottese al provvedimento limitativo del
diritto dl informazione, imposto al prevenuto. L’istante è soggetto detenuto in

prevenuto, elemento di spicco all’interno di una consorteria camorristica

quanto raggiunto da gravi indizi di colpevolezza relativi a reati gravissimi,
ritenuto ancora legato al tessuto criminale di appartenenza: con argomentare
rigoroso sotto il profilo logico e senza incorrere in forzature del dato normativo è
stato ritenuto rispondente a più che comprensibili esigenze di prevenzione la
misura adottata, mirata ad impedire che lo Schiavone, attraverso la lettura della
stampa locale venisse a conoscenza di notizie di cronaca locale, anche
giudiziaria, consentendogli di verificare l’esecuzione di ordini e direttive
impartite, o comunque stabilire collegamenti con il suo gruppo di appartenenza,

Gli argomenti sviluppati dal ricorrente non confutano tali argomentazioni,
Invocando non meglio specificati principi affermati in una decisione di questa
Corte, individuata per altro in modo errato (la sentenza n. 3471 del 2009
riguardando altro Imputato) ovvero argomentazioni difensive sviluppate in una
apposita memoria di cui non si specifica però il contenuto, senza considerare che
l’omessa valutazione di memorie difensive non può essere fatta valere in sede di
gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, ma può influire
sulla congrultà e correttezza logico-giuridica della motivazione della decisione
che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni
difensive (Sez. 6, n. 18453 del 28/02/2012 – dep. 15/05/2012, Cataldo e altri,
Rv. 252713), le quali però devono avere un’effettiva rilevanza ai fini del decidere,
che il ricorrente neppure illustra in ricorso.
Nel caso di specie il Tribunale ha motivato richiamando l’elevata pericolosità
del soggetto, il contesto in cui ebbe ad operare in posizione apicale in ambito
associativo, l’altissima probabilità che la lettura di quella stampa potesse
costituire un mezzo di collegamento con la realtà esterna, con evidenti
ripercussioni per la collettività e nessun specifico elemento volto a confutare tale
ratio decidendi, risulta Illustrato nella memoria del prevenuto.
Il sacrificio che è stato imposto allo Schiavone, seppure per la durata
massima consentita, a cui per altro non fu fatto divieto di informarsi attraverso
tutte le altre testate giornalistiche, non determina la compressione del diritto di
informazione, laddove sono In gioco interessi di sicurezza pubblica di rilevanza
sociale che debbono comunque prevalere in sede di bilanciamento. Ancora il
bilanciamento degli opposti interessi giustifica, come più volte affermato da
questa Corte, senza creare alcun vulnus a diritti garantiti, il controllo della posta
in partenza ed in arrivo e il trattenimento di missiva nella quale sia dato cogliere
passaggi ambigui: sul punto è bene ricordare che l’onere di motivazione non è
affatto ampio, in quanto devono essere salvaguardate le esigenze investigative,
di sicurezza e controllo, perseguite con il provvedimento di controllo e censura
che non possono essere compromesse da un obbligo di giustificazione nel
dettaglio (Sez. 1, sentenza n. 38632 del 23 settembre 2010).

compromettendo così gli esiti della misura del carcere differenziato adottata.

2. Si Impone, quindi, la dichiarazione di Inammissibilità del ricorso; a tale
declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la sua condanna al
pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si
determina in Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, giusto il
disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della
sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di C 1.000,00 (mille) alla cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2012.

P.Q.M.

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