Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15893 del 21/11/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 15893 Anno 2018
Presidente: DE CRESCIENZO UGO
Relatore: TUTINELLI VINCENZO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
MARRELLA MARCO nato il 09/01/1964 a NAPOLI

avverso la sentenza del 01/04/2015 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO TUTINELLI;

Data Udienza: 21/11/2017

CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO

Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Napoli ha confermato la
dichiarazione di penale responsabilità dell’imputato MARRELLA Marco già pronunciata dal
Tribunale di Napoli con sentenza sette aprile 2010 in ordine ai fatti ascritti ad eccezione della
ricettazione della Sim 3385759415 e dell’apparecchio NEC E 228 con SIM H3G..
Propone ricorso per cassazione avverso tale provvedimento l’imputato articolando i
seguenti motivi.

mancanza di motivazione in ordine all’affermata penale responsabilità.
Afferma ricorrente che non vi sarebbe prova del dolo e che risulterebbe ingiustificato il
mancato riconoscimento delle invocate circostanze attenuanti generiche.
Il ricorso è inammissibile.
Nel caso di specie il ricorso è inammissibile perché privo dei requisiti prescritti dall’art.
581, comma 1, lett. c) c.p.p. in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata
ampia e logicamente corretta, non indica gli elementi che sono alla base della censura
formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed
esercitare il proprio sindacato.
Tra i requisiti del ricorso per cassazione vi è anche quello, sancito a pena di
inammissibilità, della specificità dei motivi : il ricorrente ha non soltanto l’onere di dedurre le
censure su uno o più punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare
gli elementi che sono alla base delle sue lagnanze.
Per altro verso, l’iter argomentativo del provvedimento impugnato appare esente da vizi,
fondandosi esso su di una compiuta e logica analisi critica degli elementi di prova e sulla loro
coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di
adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della
univocità, in quanto conducenti all’affermazione di responsabilità al di là di ogni ragionevole
dubbio. Il ricorso, articolato in fatto, non incide sulla logicità, congruenza o coerenza intrinseca
o estrinseca della motivazione, limitandosi a proporre in maniera del tutto apodittica una
interpretazione alternativa delle emergenze processuali. Al proposito, va ricordato che,
secondo il costante insegnamento di questa Corte, esula dai poteri della Corte di cassazione
quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma
adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. pen., sez.
6^, n. 27429 del 4 luglio 2006, Lobriglio, rv. 234559; sez. 6^, n. 25255 del 14 febbraio 2012,
Minervini, rv. 253099)., la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito,
senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. 4, n. 4842 del
02/12/2003, 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).
Quanto all’omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche occorre ricordare
che, come ripetutamente affermato dalla Corte, il giudice di appello non è tenuto a motivare il

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Violazione o erronea applicazione degli articoli 474 648-15 cod. pen. nonché illogicità e

diniego delle attenuanti generiche, sia quando nei motivi si ripropongano, ai fini del
riconoscimento, gli stessi elementi già sottoposti all’attenzione del giudice di primo grado e da
quest’ultimo disattesi, ovvero si insista per quel riconoscimento senza addurre alcuna
particolare ragione (Sez. 4, Sentenza n. 5875 del 30/01/2015 Rv. 262249; Sez. 4, n. 86 del
27/09/1989, dep. 1990, Amarante, Rv. 182959; Sez. 1, n. 11994 del 10/07/1985, Privitera,
Rv. 171349; Sez. 2, n. 2178 del 24/11/1975, dep. 1976, Talamo, Rv. 132352). Inoltre, tale
circostanza non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale “concessione”

comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 c.p., che presentano tuttavia
connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai
fini della quantificazione della pena. A questo orientamento si è correttamente conformata la
Corte di appello evidenziando di fatto, anche in relazione alla applicata la recidiva, l’assenza di
congrui profili di meritevolezza. La relativa motivazione, fondata su argomentazioni esaurienti,
logiche e non contraddittorie, risulta, pertanto, esente da vizi rilevabili in questa sede.
Alle suesposte considerazioni consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e, per
il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e
valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in C 3000,00.
L’inammissibilità del ricorso preclude il rilievo della eventuale prescrizione maturata
successivamente alla sentenza impugnata (Sez. Un., n. 32 del 22/11/3000, De Luca, Rv.
217266).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno al versamento della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende.
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