Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15884 del 21/11/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 15884 Anno 2018
Presidente: DE CRESCIENZO UGO
Relatore: TUTINELLI VINCENZO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
MICCOLI ANDREA nato il 19/06/1973 a LECCE

avverso la sentenza del 05/10/2016 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO TUTINELLI;

Data Udienza: 21/11/2017

CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO

Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza
del Tribunale di Lecce in data 23 gennaio 2014 che aveva condannato l’odierno ricorrente,
MICCOLI Andrea, alla pena ritenuta di giustizia per una fattispecie di appropriazione indebita
avvenuta in Lecce nel mese di agosto 2009.
Avverso tale provvedimento, propone ricorso per cassazione l’imputato articolando i
seguenti motivi.

Afferma il ricorrente l’inattendibilità delle dichiarazioni della parte offesa in quanto
soggetto interessato ed evidentemente spinto da pregiudizi nei confronti dell’imputato. Inoltre,
secondo il ricorrente, il bene non poteva considerarsi nella sua disponibilità in quanto le chiavi
degli immobili erano state consegnate ad un custode all’uopo nominato, TORNESE Carmelo.
Tale profilo non determinerebbe una totale inattendibilità del testimone dichiarante.
Il ricorso è inammissibile.
Deve al proposito rilevarsi che in atti risultano presenti un inventario dei beni che, all’atto
della conclusione del contratto, erano presenti nell’immobile e successive dichiarazioni da cui
risulta che gli stessi beni non sono stati poi reperiti dal proprietario. Sulla base di tali
emergenze e del fatto che non vi era stata restituzione di chiavi sino allo sfratto può affermarsi
che l’iter argomentativo del provvedimento impugnato appare esente da vizi, fondandosi esso
su di una compiuta e logica analisi critica degli elementi di prova e sulla loro coordinazione in
un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità
logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della univocità, in quanto
conducenti all’affermazione di responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio. Il ricorso,
articolato in fatto, non incide sulla logicità, congruenza o coerenza intrinseca o estrinseca della
motivazione, limitandosi a proporre una interpretazione alternativa delle emergenze
processuali. Al proposito, va ricordato che, secondo il costante insegnamento di questa Corte,
esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione
e valutazione dei fatti (Cass. pen., sez. 6^, n. 27429 del 4 luglio 2006, Lobriglio, rv. 234559;
sez. 6^, n. 25255 del 14 febbraio 2012, Minervini, rv. 253099)., la cui valutazione è, in via
esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze
processuali (Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, 06/02/2004, Elia, Rv. 229369). Per altro verso,
deve rilevarsi come l’articolazione dei motivi prenda in considerazione del tutto separatamente
i singoli atti senza considerarne la logica complessiva. Al proposito, va ricordato come questa
Corte ha costantemente affermato che il requisito della gravità degli indizi di colpevolezza non
può essere ritenuto insussistente sulla base di una valutazione separata ed atomistica dei vari
dati probatori, dovendosi invece verificare se gli stessi, coordinati ed apprezzati globalmente
secondo logica comune, assumano la valenza richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen., atteso che
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1. Contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in punto penale responsabilità.

essi, in considerazione della loro natura, sono idonei a dimostrare il fatto se coordinati
organicamente.( Sez. 2, Sentenza n. 9269 del 05/12/2012, dep. 27/02/2013, Rv. 254871).
Alle suesposte considerazioni consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e, per
il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e
valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in € 3000,00.
L’inammissibilità del ricorso preclude il rilievo della eventuale prescrizione maturata

217266).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma,

vembre 2017

successivamente alla sentenza impugnata (Sez. Un., n. 32 del 22/11/3000, De Luca, Rv.

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