Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15876 del 21/11/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 15876 Anno 2018
Presidente: DE CRESCIENZO UGO
Relatore: TUTINELLI VINCENZO

ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
CARACCIOLO ANTONINO nato il 16/02/1964 a REGGIO CALABRIA
CUTRI’ CLELIA nato il 06/09/1961 a GIOIA TAURO

avverso la sentenza del 19/01/2016 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO TUTINELLI;

Data Udienza: 21/11/2017

CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO

Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la
dichiarazione di penale responsabilità dei ricorrenti già pronunciata dal Tribunale di Reggio
Calabria con sentenza del 21 luglio 2011 in ordine alla condanna per una fattispecie associativa
finalizzata a commettere una serie indeterminata di delitti di truffa ai danni dello Stato e di
compagnie assicuratrici, contestualmente dichiarando estinti per prescrizione tutti i reati fine.
Avverso tale provvedimento ricorrono per cassazione gli imputati Caracciolo Antonino e
Cutrì Clelia articolando i seguenti motivi.

nonché motivazione manifestamente illogica, contraddittoria, comunque carente in punto
dichiarazione penale responsabilità.
Posizione Caracciolo.
Afferma il ricorrente che mancherebbero gli elementi strutturali del reato associativo,
perlomeno in relazione all’elemento psicologico. La sentenza sarebbe carente nella parte in cui
motiva la partecipazione al delitto associativo dei presunti sodali – giudicati separatamente travisando il fatto che costoro, a fronte di modesti compensi ricevuti, non potevano ritenere di
far parte di un sodalizio nella mancanza di un accordo associativo espresso. Le condotte
illecite del Caracciolo sarebbero derivate dal timore di perdere la clientela a seguito del venir
meno di alcuni mandati assicurativi. Peraltro, avrebbe dovuto cogliersi il carattere occasionale
della collaborazione con gli esperti informatici che nemmeno avrebbero partecipato agli utili
grazie a scuse opposte dal medesimo Caracciolo. Inoltre, sarebbe stata travisata la posizione
del ricorrente non potendosi ritenere costui promotore solo perché era l’ideatore delle condotte
contestate.
Posizione Cutrì.
La ricorrente afferma di avere unicamente assistito in qualche occasione a dialoghi
intercorsi tra il marito ad altri soggetti all’interno di una agenzia in cui sostanzialmente
rivestiva il ruolo di segretaria. In particolare, le dichiarazioni di alcuni clienti in ordine ai
rapporti intrattenuti con la donna andavano lette nell’ottica della presenza della stessa presso
l’ufficio e non quale prova della penale responsabilità. Inoltre sarebbe apodittica e congetturale
la motivazione con cui si afferma che la donna aveva ruolo di organizzatore dell’associazione
essendosi questa limitata ad incassare il premio di qualche polizza o ad averne consegnata
qualcuna qualche cliente.
Con memoria depositata il 17 ottobre 2017, i ricorrenti lamentano inoltre che non sarebbe
stato considerato adeguatamente il fatto che gli imputati sono marito e moglie, la confessione
del Caracciolo con cui lo stesso si addossava tutta la responsabilità scagionando la moglie.
Il ricorso è inammissibile.
In primo luogo, va rilevato che l’articolazione dei motivi appare risultare la mera
riproposizione in forma quasi inalterata delle medesime doglianze poste a fondamento dell’atto
di appello senza che vi sia valutazione e contestazione delle argomentazioni – esplicite,
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1. Violazione di legge in relazione agli articoli 416 cod. pen. e 187 e 192 cod. proc. pen.

congrue e coerenti – con cui la Corte territoriale le ha disattese. Si evidenzia dunque nella
formulazione dei sopra richiamati motivi di ricorso la mancata effettiva valutazione del
dell’effettiva portata dell’apparato motivazionale del provvedimento impugnato.
Peraltro, l’iter argomentativo del provvedimento impugnato appare esente da vizi,
fondandosi esso su di una compiuta e logica analisi critica degli elementi di prova e sulla loro
coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di
adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della
univocità, in quanto conducenti all’affermazione di responsabilità al di là di ogni ragionevole

coerenza intrinseca o estrinseca della motivazione, limitandosi a proporre una interpretazione
alternativa delle emergenze processuali. Al proposito, va ricordato che, secondo il costante
insegnamento di questa Corte, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e
diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. pen., sez. 6^, n. 27429 del 4
luglio 2006, Lobriglio, rv. 234559; sez. 6^, n. 25255 del 14 febbraio 2012, Minervini, rv.
253099)., la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più
adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003,
06/02/2004, Elia, Rv. 229369). Ancora, deve rilevarsi come l’articolazione dei motivi prenda in
considerazione del tutto separatamente i singoli atti senza considerarne la logica complessiva.
Al proposito, va ricordato come questa Corte ha costantemente affermato che il requisito della
gravità degli indizi di colpevolezza non può essere ritenuto insussistente sulla base di una
valutazione separata ed atomistica dei vari dati probatori, dovendosi invece verificare se gli
stessi, coordinati ed apprezzati globalmente secondo logica comune, assumano la valenza
richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen., atteso che essi, in considerazione della loro natura, sono
idonei a dimostrare il fatto se coordinati organicamente.( Sez. 2, Sentenza n. 9269 del
05/12/2012, dep. 27/02/2013, Rv. 254871).
Alle suesposte considerazioni consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e,
per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e
valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in C 3000,00
ciascuno. L’inammissibilità del ricorso preclude il rilievo della eventuale prescrizione maturata
successivamente alla sentenza impugnata (Sez. Un., n. 32 del 22/11/3000, De Luca, Rv.
217266).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
e ciascuno al versamento della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2017

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dubbio. In sostanza, il ricorso, articolato in fatto, non incide sulla logicità, congruenza o

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