Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15859 del 05/02/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 15859 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NADDEO SALVATORE N. IL 19/11/1962
NADDEO CLAUDIO N. IL 22/02/1959
avverso l’ordinanza n. 334/2012 TRIB. LIBERTA’ di TRIESTE, del
20/09/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere ppm. GERARD? SitBerNZ
1et4e/sentite le conclusioni del PG Dott. 0,114(424.4

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Kmit. aI giuts.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 05/02/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Trieste, con ordinanza del 20 settembre 2012, ha
rigettato le istanze di riesame proposte da Naddeo Salvatore e Naddeo Claudio

quale era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere nei loro
confronti in quanto indagati per i delitti di bancarotta fraudolenta per distrazione
e documentale e truffa ai danni dello Stato, quali amministratori di fatto della
Agrisara s.r.I., dichiarata fallita.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione gli indagati:
a) con un primo ricorso a firma dell’avvocato Turco che lamenta, un vizio
motivazionale e una violazione di legge in merito alla sussistenza dei gravi indizi
di colpevolezza, in considerazione dell’entità del danno cagionato e tale da non
determinare neppure la possibilità di fallimento di una società nonché in merito
alla sussistenza delle esigenze cautelari di cui alle lettere a) e c) dell’articolo 274
cod.proc.pen.;
b) con due distinti ricorsi, a firma del medesimo avvocato De Ciuceis ma
di analogo contenuto, lamentando il vizio di motivazione e una violazione di
legge in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nonché in merito
alla sussistenza delle esigenze cautelari.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi non possono essere accolti.
2. Quanto al primo motivo del ricorso dell’avvocato Turco si osserva come
in sede penale le c.d. soglie di fallibilità non assumano affatto rilevanza.
Invero, sulla scorta di un arresto delle Sezioni Unite di questa Corte (v.
Cass. Sez. Un. 28 febbraio 2008 n. 19601), si afferma ormai pacificamente (v.
da ultimo Cass. Sez. V 8 luglio 2011 n. 47017) come il Giudice penale investito
del giudizio relativo a reati di bancarotta, ex articoli 216 e seguenti R.D. 16
marzo 1942, n. 267, non possa sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento,
quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai
presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità
dell’imprenditore, sicché le modifiche apportate all’articolo 1 R.D. n. 267 del
1942 dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169,
1

avverso l’ordinanza del 22 agosto 2012 del GIP del medesimo Tribunale con la

non esercitano influenza ai sensi dell’articolo 2 cod. pen. sui procedimenti penali
in corso.
3. Quanto alla contestazione circa la sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza, propria di tutti i ricorsi, si osserva come le doglianze si sostanzino
nella contestazione in fatto dell’impugnata ordinanza e non tengono conto della
peculiarità del riesame di misure cautelari rispetto al merito effettivo delle

Compito del Giudice del merito era quello di analizzare anche alla luce
delle asserzioni defensionali gli elementi di prova (e la circostanza che essi in
materia cautelare si chiamino indizi è, a questi fini, mera variante terminologica),
verificarne il significato e la univocità; offrire completa giustificazione del perché,
a suo avviso, i fatti s’attagliavano alla fattispecie astratta e giustificavano le
conclusioni raggiunte circa la fattispecie concreta, ovvero, per la materia, circa la
perdurante sussistenza di gravi indizi di responsabilità.
Quanto ai canoni cui doveva conformarsi tale giudizio, occorre rimarcare
che la custodia cautelare sia assistita comunque da una ragionevole probabilità
di condanna, e ad imporre dunque che gli indizi sui quali deve fondarsi la misura
cautelare personale abbiano i requisiti indispensabili ad assicurare la loro tenuta
nel giudizio sul merito dell’accusa.
Il giudizio prognostico in tal senso è dunque indispensabile, pur dovendo
essere effettuato non nell’ottica della ricerca di una certezza di responsabilità già
raggiunta, ma nella prospettiva della tenuta del quadro indiziario alla luce di
possibili successive acquisizioni e all’esito del contraddittorio.
I gravi indizi null’altro sono, d’altro canto, che “una prova allo stato degli
atti”, valutata dal Giudice allorché la formazione del materiale probatorio è di
norma ancora in itinere.
È così soltanto l’aspetto di una possibile evoluzione “dinamica”, non la
differente intrinseca capacità dimostrativa, a contraddistinguere la valutazione
della prova in sede cautelare rispetto alla valutazione nel giudizio di cognizione
(v. Cass. Sez. I 4 maggio 2005 n. 19867 e da ultimo 17 maggio 2011 n. 19759).
In ogni caso, si rileva come la configurazione delle ascritte condotte ad
entrambi gli indagati sia stata compiutamente e logicamente espressa dal
Tribunale sulla base della documentazione in atti e in particolare delle
informative della Guardia di Finanza e dai verbali di perquisizione e di sequestro
(v. in particolare pagina 2 della motivazione).
Non è in questa sede di legittimità consentita, poi, una completa
rivisitazione in punto di fatto degli elementi indiziari che il Tribunale ha ritenuto
2

fattispecie ascritte.

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P

idonei a giustificare la chiesta misura cautelare personale giungendo, in
sostanza, a richiedere a questa Corte di legittimità un’operazione non consentita,
pari a quella di un inesistente ulteriore grado di merito.
4. Quanto alle esigenze cautelari, al fine di prevenire il persistente e
concreto pericolo di inquinamento probatorio, a nulla rileva il fatto che le indagini
siano in stato avanzato ovvero siano già concluse (v. a partire da Cass. Sez.Un.

in ogni caso, il Giudice del merito motivato in merito alla possibilità
d’inquinamento probatorio “soggettivo”, cioè relativo ai soggetti chiamati a
ribadire in dibattimento le proprie dichiarazioni.
5. Il parametro della concretezza, cui si richiama l’articolo 274
cod.proc.pen., lett. c), non si identifica con quello di “attualità” del pericolo,
derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla
commissione di nuovi reati, dovendo, al contrario, il predetto requisito essere
riconosciuto alla sola condizione necessaria e sufficiente che esistano elementi
“concreti” (cioè non meramente congetturali) sulla base dei quali possa
affermarsi che il soggetto inquisito possa facilmente, verificandosene l’occasione,
commettere reati rientranti fra quelli contemplati dalla suddetta norma
processuale (v. Cass. Sez. I 3 giugno 2009 n. 25214).
Le esigenze connesse alla cosiddetta tutela della collettività devono
concretarsi nel pericolo specifico di commissione di delitti collegati sul piano
dell’interesse protetto; trattandosi di valutazione prognostica di carattere
presuntivo, il Giudice è tenuto a dare concreta e specifica ragione dei criteri logici
adottati.
Ai fini del giudizio prognostico previsto dall’articolo 274 cod.proc.pen.,
comma 1, lett. c), deve aversi riguardo alle specifiche modalità e circostanze del
fatto, indicative dell’inclinazione del soggetto a commettere reati della stessa
specie, alla personalità dell’indagato, da valutare alla stregua dei suoi precedenti
penali e giudiziali, all’ambiente in cui il delitto è maturato, nonché alla vita
anteatta dell’indagato stesso.
L’espressione “delitti della stessa specie”, con la quale il legislatore
delimita l’area dei sintomi utilizzabili ai fini di siffatto giudizio, a riguardo della
probabilità di ricaduta nel reato, ha valore oggettivo e va riferita ai delitti che
offendono lo stesso bene giuridico.
Da tali elementi, di carattere oggettivo, il Giudice deve giungere, con
motivazione congrua ed adeguata, esente da vizi logici e giuridici, alla
formulazione di una prognosi di pericolosità dell’indagato in funzione della
3

12 dicembre 1994 n. 19 fino a Cass. Sez. III 25 maggio 2011 n. 24434) avendo,

salvaguardia della collettività, che deve tradursi nella dichiarazione di una
concreta probabilità che egli commetta alcuno dei delitti indicati nel suddetto
articolo 274 cod.proc.pen., comma 1, lett. c).
Il provvedimento impugnato appare conforme ai principi in precedenza
enunciati, avendo correttamente messo in luce, nella prospettiva di cui
all’articolo 274 cod.proc.pen., lett. c), la gravità delle recenti condotte poste in

continuino nel compimento di attività antigiuridiche (v. pagina 3 della
motivazione).
6. I ricorsi vanno, in definitiva, rigettati e i ricorrenti condannati
singolarmente al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria sarà tenuta agli adempimenti di cui all’articolo 94 comma 1
ter disp.att. Cod.proc.pen.
P.T.M.

La Corte, rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter
disp.att. c.p.p.

Così deciso in Roma, il 5/2/2013.

essere dagli indagati e la possibilità che gli stessi, una volta rimessi in libertà,

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