Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15846 del 18/12/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 15846 Anno 2018
Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: BINENTI ROBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ATTANASIO ANTONIO nato il 05/11/1966 a NAPOLI

avverso l’ordinanza del 24/04/2017 del TRIBUNALE DELLA LIBERTA’ di NAPOLI
sentita la relazione svolta dal consigliere ROBERTO BINENTI;
sentite le conclusioni del PG MARIA FRANCESCA LOY che ha chiesto il rigetto del
ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe il Tribunale di Napoli, investito ai sensi
dell’art. 309, cod. proc. pen., rigettava la richiesta di riesame proposta da
Antonio Attanasio, avverso l’ordinanza in data 24 marzo 2017 con la quale gli
era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere in relazione al
reato, in concorso, di omicidio premeditato aggravato anche ai sensi dell’art. 7
della legge n. 203 del 1991, commesso in pregiudizio di Diana Tintore, in
Casandrino il 19 ottobre 1996, con !a recidiva reiterata ed infraquinquennale.
Il Tribunale osservava in primo luogo che infondata risultava l’eccezione
difensiva volta a configurare l’inefficacia dell’impugnata ordinanza per decorrenza
dei termini della custodia cautelare assumendo quale presupposto la
«retrodatazione» di tali termini ai sensi dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.,
e ciò a far data dal 3 novembre 2015 allorquando era stato emesso un decreto di/

Data Udienza: 18/12/2017

fermo dell’Attanasio, seguito da altra ordinanza di applicazione della custodia
cautelare in carcere, per il reato di tentata estorsione aggravata ex art. 7 legge
203 del 1991, commesso a Frattamagiore il 21 ed il 26 settembre del 2015.
rfl1.1 merito il Collegio osservava che, considerati i limiti di valutazione della
fondatezza di tale eccezione una volta formulata in sede di riesame, non poteva
affermarsi la sussistenza dei seguenti necessari requisiti: la connessione ai sensi
dell’art. 12, comma 1, lett. b) o c), cod. proc. pen.; la desumibilità degli elementi
posti a fondamento della seconda ordinanza già alla data dell’emissione della

Quanto ai gravi indizi di colpevolezza, la loro sussistenza veniva affermata
alla stregua delle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori Sossio Giordano,
Vincenzo Marrazzo e Antonio Marrazzo, ritenute intrinsecamente attendibili e
convergenti, nonché riscontrate da ulteriori risultanze acquisite agli atti.
Infine, sotto il profilo dei presupposti cautelari idonei a giustificare l’adottata
misura, oltre a richiamarsi quanto al riguardo già evidenziato dal Giudice delle
indagini preliminari, si sottolineava che il pericolo di reiterazione della condotta
criminosa poteva desumersi in termini di concretezza e attualità avuto riguardo
in particolare alle ritenute modalità dell’efferato omicidio in un contesto di
persistenti faide fra fazioni camorristiche, nonché alla rilevante posizione assunta
dall’Attanasio nel clan Marrazzo ai fini della commissione di altri reati di grave
allarme, senza potersi affermare la rescissione in seguito di siffatti legami
criminosi, non rilevando in tal senso neppure il perdurante stato detentivo.
Ed a fronte di tale quadro certamente inadeguati risultavano gli arresti
domiciliari sia pure con le modalità del «braccialetto elettronico», non potendosi
fare alcun serio affidamento sulle capacità di autocontrollo dell’indagato.
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’Attanasio.
2.1. Con un primo motivo, denunziandosi violazione di legge in relazione
all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., nonché illogicità e contraddittorietà della
motivazione, si è osservato che, come illustrato in una memoria già depositata
davanti al Tribunale, tutti gli elementi, ossia le dichiarazioni dei collaboratori, che
in sé configuravano in modo incontrovertibile i gravi indizi in ordine al reato di
omicidio di cui alla seconda ordinanza erano già ben noti al pubblico ministero
procedente al momento del precedente fermo, tanto da essere state riportate
dette dichiarazioni nel relativo decreto per delineare la figura dell’Attanasio. ,V
Anzi, tutti i verbali risultavano a disposizione dell’accusa già nel 2010.
La «connessione qualificata» fra i reati non era richiesta nel caso di specie ai
fini dell’applicazione dell’art. 297 comma 3, cod. proc. pen, poiché gli elementi
acquisiti all’atto della prima ordinanza già delineavano la precisa attribuzione
all’indagato delle condotte addebitate con il secondo provvedimento cautelare.

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prima ovvero del decreto di giudizio immediato reso nel relativo procedimento.

2.2. Con un secondo motivo, lamentandosi violazione degli artt. 274 e 275,
cod. proc. pen., nonché omessa motivazione, si è obiettato che era mancata la
considerazione, richiesta invece dalla giurisprudenza di legittimità, del lungo
periodo di tempo trascorso dai fatti (circa venti anni), dato particolarmente
rilevante nella specie atteso quanto emerso in ordine alla disarticolazione del
clan Marrazzo ed all’allontanamento poi dell’imputato da quel contesto criminoso.
3. In data 13 dicembre 2017 è pervenuta memoria difensiva, tramite la
quale si sono ribadite le argomentazioni già addotte a sostegno del primo motivo

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.

2. In ordine al primo motivo si rileva quanto segue.
2.1. E’ incontroverso che nella specie non ricorre la «connessione
qualificata» ex art. 12, comma 1, lett. b) o c), cod. proc. pen., fra i reati
contestati con le diverse ordinanze emesse nei diversi procedimenti. Tuttavia, si
tratta di procedimenti instaurati davanti alla medesima autorità giudiziaria.
Sicché, in tal caso, secondo la costante giurisprudenza di legittimità che si
condivide, la «retrodatazione»,ex art. 297, comma 3, cod. proc. pen., dei termini
di durata della misura applicata con la seconda ordinanza può operare a
condizione che gli elementi posti alla base della stessa fossero già desumibili
dagli atti al momento dell’emissione della prima (fra le altre, Sez. 4, n. 7080 del
31/01/2014, Rv. 259324; Sez. 6, n. 11807 del 11/02/2013, Rv. 255721; Sez. 6
del n, 5050 del 27/11/2012, Rv. 254468; Sez. 1, n. 13446 del 13/03/2008, Rv.
23956). Ciò viene affermato in linea con la precedente pronunzia in materia delle
Sezioni Unite (n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Rv. 2359009), laddove si
era, fra l’altro, rilevato che l’indagine in questione si muove al fine di escludere
che la separazione dei due procedimenti sia stata frutto di una scelta del
pubblico ministero estranea ad apprezzabili esigenze dovute all’iter di
acquisizione degli elementi,a supporto delle sue determinazioni, volte a sostenere
l’accusa in sede cautelare – tramite un compendio al tal fine ritenuto idoneo – in
relazione alla imputazione dei fatti mossa con la seconda ordinanza.
2.2. Il provvedimento impugnato non si è sottratto all’obbligo di detta
verifica, pervenendo a condusioni fondate su un percorso argomentativo che
resiste ai rilievi di manifesta illogicità e contraddittorietà articolati dal ricorrente.
Si prospetta da parte della difesa che gli elementi addotti a sostegno
dell’imputazione di omicidio,elevata con la seconda ordinanza,siano tutti integrati

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del ricorso, allegandosi al riguardo documentazione relativa agli atti di indagine.

da dichiarazioni dei collaboratori già riportate nel decreto di fermo per il reato di
tentata estorsione. Ma, in tal modo si considera solo l’originaria acquisizione
delle fonti relative alla rappresentazione delle narrazioni in ordine alla
partecipazione dell’Attanasio al predetto omicidio. Non si tiene conto, invece, di
quanto è stato altresì esposto in merito nell’ordinanza impugnata con riguardo
alle nuove dichiarazioni su quel fatto che si era ritenuto di dovere acquisire,
segnatamente il 5 ottobre 2016, dalla fondamentale fonte Marrazzo Vincenzo. Né
è stata considerata la circostanza, pure evidenziata dal Tribunale del riesame,

sede cautelare l’accusa di partecipazione all’omicidio, si è giovato ancor dopo la
nuova audizione di detto Marrazzo (e pertanto prendendo pure atto di essa) del
resoconto esposto nella nota informativa dei Carabinieri di Castello Cisterna del 9
novembre 2016. E tutto ciò sulla base del chiaro presupposto che la verifica,
ancorché in sede cautelare, dei contenuti delle chiamate in correità e della loro
necessaria convergenza anche rispetto agli altri elementi, secondo quanto
richiesto dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., si snoda attraverso un percorso
di attività che non si ferma alla sola statica acquisizione delle accuse, seppure
apparse a priva vista in sé affidabili tanto da essere citate in altri provvedimenti.
A conferma di come le considerazioni in proposito espresse dai giudici di
merito rimangano agganciate a quanto rappresentato dalla stessa esposizione
delle risultanze valutate a carico, è sufficiente solamente aggiungere che dal
contenuto del provvedimento impugnato (pag. 7) emerge come detta nuova
audizione del Marrazzo del 5 ottobre 2016 sia nata dall’esigenza di sciogliere dei
nodi legati a non trascurabili discordanze dichiarative evidenziate dai precedenti
atti di indagine, così da profilarsi che questi ultimi, pur noti all’epoca della prima
ordinanza, non erano apparsi definitivamente coerenti e tranquillizzanti al fine di
giustificare l’emissione della misura custodiale anche per il reato di omicidio.
E , come pure emerge dall’esame dei passi espositivi delle risultanze, le
motivazioni del provvedimento impugnato ed ancor prima di quello applicativo
della misura hanno mostrato di considerare il significato anche degli anzidetti più
recenti chiarimenti (e pertanto non soltanto delle pregresse dichiarazioni) al fine
di apprezzare l’attendibilità e sicura convergenza dell’intero portato accusatorio.
Di conseguenza, neppure sotto tale profilo si colgono contraddittorietà
motivazionali nei limiti in cui sono censurabili in sede di giudizio di legittimità.
Da tutto quanto rilevato emerge, quindi, l’infondatezza del primo motivo.

3. Anche il secondo motivo è privo di fondamento.
Con riguardo all’apprezzamento dei presupposti cautelari , idonei a
giustificare la misura, si muovono rilievi con cui si censura l’omessa

4

che il più ampio compendio, come rappresentato in ultimo al fine\ -sostenere in

Trasmessa copia ex art. 23
n. 1 ter L. 8-8-95 n. 332
Roma, lì

i

e MR. nita

considerazione di circostanze di fatto attinenti al lungo periodo trascorso dalle
condotte in addebito, nonché all’allontanamento nel frattempo dell’Attanasio dal
quel contesto di criminalità organizzata, adducendosi che esso neppure sarebbe
più attualmente configurabile. Ma in tal modo non ci si misura con le
argomentazioni di segno contrario esposte nell’ordinanza impugnata che, pur
prendendo atto del dato temporale, spiegano in termini non irragionevoli come
l’apprezzamento di tutto il precedente percorso criminale continui ugualmente a
profilare il plausibile radicamento dell’Attanasio in contesti camorristici. Né, del

all’epoca affiliato l’Attanasio ,possono ritenersi di per sé logicamente incompatibili
con l’intervenuta collaborazione dei suoi più importanti esponenti. E allorquando
si citano i reiterati precedenti dell’Attanasio, per dar ulteriormente conto
dell’attualità della sua radicata capacità a delinquere, non possono che venire in
evidenza anche i fatti che hanno dato luogo all’ordinanza per il reato di tentata
estorsione, aggravata dal metodo mafioso, commesso nel settembre 2015.
Pertanto, le risposte fornite dai giudici di merito mostrano come sia stato
adeguatamente apprezzato il mancato superamento della presunzione di
esigenze cautelari che nella specie viene ad operare in ragione del titolo di reato.
Né le doglianze di cui al motivo in questione, invero alquanto generiche e ai
limiti dell’inammissibilità, muovono obiezioni a censura della correttezza delle
ulteriori considerazioni svolte dal Tribunale sotto il profilo dell’adeguatezza.

4. Ne discende il rigetto del ricorso, con conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e trasmissione di copia del
presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, affinché provveda
in ordine a quanto stabilito dall’art. 94, comma 1 bis, disp. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Manda la cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1
– ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 18 dicembre 2017

resto, la stessa esistenza e continuità delle attività del clan, cui è risultano

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