Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15821 del 11/10/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 15821 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: MACRI’ UBALDA

SENTENZA
sul ricorso proposto da Recce Antonio, nato a Lioni, il 26.3.1960,
avverso la sentenza in data 18.10.2016 del Tribunale di Avellino,
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macrì;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Marilia
Di Nardo, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Avellino con sentenza in data 18.10.2016, premesso lo
stralcio dei reati di cui ai capi A) e B) all’udienza del 15.1.2016, ha assolto Recce
Antonio dal reato ascrittogli al capo C), art 4 d. Lgs. 74/2000, perché il fatto non
è più previsto dalla legge come reato ed ha ordinato l’immediata restituzione dei
beni oggetto di sequestro per equivalente.

2.

Con un unico motivo di ricorso, l’imputato lamenta la violazione

dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 4, d. Lgs.
74/2000 e 530 cod. proc. pen. In particolare si duole della formula assolutoria
“perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” in luogo della formula
assolutoria “perché il fatto non sussiste”, sebbene siano venuti meno i
presupposti del reato a seguito del d. Lgs. 158/2015.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Secondo la giurisprudenza a Sezioni unite di questa Corte, nel caso in
cui manchi un elemento costitutivo, di natura oggettiva, del reato contestato,
l’assoluzione dell’imputato va deliberata con la formula «il fatto non

Data Udienza: 11/10/2017

sussiste», non con quella « il fatto non è previsto dalla legge come reato»,
che riguarda la diversa ipotesi in cui manchi una qualsiasi norma penale cui
ricondurre il fatto imputato (sentenza 25.5.2011, n. 37954, Orlando, Rv 250975,
in materia di appropriazione di denaro altrui sull’erroneo presupposto che le
somme trattenute dall’imputato, come datore di lavoro, sullo stipendio della
lavoratrice, dovessero per ciò solo considerarsi trasferite in proprietà di questa:
la Suprema Corte ha ritenuto che difettasse l’elemento dell’altruità del bene,
costitutivo della fattispecie astratta di appropriazione indebita, ed ha
conseguentemente dichiarato che il fatto reato contestato non sussiste).

caso dell’art. 10-ter d. Lgs. 74/2000 che il superamento della soglia di punibilità
– fissata in 250.000 euro dal d. Lgs. n. 158 del 2015 – sia un elemento
costitutivo del reato, con la conseguenza che la sua mancata integrazione
comporta l’assoluzione con la formula “il fatto non sussiste” (nella motivazione
della sentenza di questa Sezione, 5.11.2015, n. 3098, Vanni, Rv 265938, la
Corte ha precisato che l’integrazione della soglia non dipende, infatti, da un
evento futuro ed incerto ma dallo stesso comportamento dell’agente che, con
una condotta omissiva, contribuisce alla realizzazione del fatto tipico; nello
stesso senso la successiva 16.6.2016, n. 35611, Monni, Rv. 268007). Non c’è
nessun motivo per il quale il ragionamento non possa estendersi
interpretativamente all’art. 4 d. Lgs. 74/2000, anche se è da segnalare il
contrastante orientamento espresso , sempre da questa Sezione, con sentenza
28934/16, Gramigni, Rv 267344, secondo cui il proscioglimento dell’imputato per
il reato di cui all’art. 10-bis d. Lgs. n. 74/2000, per il mancato raggiungimento
della soglia di punibilità individuata dalla norma nel frattempo elevata a seguito
del d.Lgs. 158/2015, va disposto “perché il fatto non è previsto come reato”, non
invece con la formula “perché il fatto non sussiste” che presuppone l’esclusione
del verificarsi di un fatto storico suscettibile, tuttavia, di essere ipoteticamente
attratto in una fattispecie incriminatrice.
3.2. Sennonché si è anche affermato che, nella sostanza, il ricorrente non
ha alcun interesse tra le due formule assolutorie, perché secondo la sentenza
48585/16, Stizioli, Rv 267183, in tema di reati tributari, l’assoluzione
dell’imputato per il reato di cui all’art. 10-bis d. Lgs. 74/2000 con la formula
“perché il fatto non sussiste”, in ragione del mancato raggiungimento della soglia
di punibilità elevata a seguito del d. Lgs. 158/2015, significa che è stata
accertata l’insussistenza del fatto7
che
— sia stata raggiunta una soglia pari o
superiore a quella prevista per la realizzazione del reato; ne consegue che solo
rispetto a tale fatto, ai sensi dell’art. 652 cod. proc. pen., la sentenza penale
irrevocabile di assoluzione, pronunciata in sede dibattimentale, ha efficacia di
giudicato nel procedimento tributario, restando impregiudicata, per assenza di
9

3.1. Applicata questa giurisprudenza ai reati tributari, si è ritenuto nel

accertamento in sede penale, la questione dell’eventuale mancato versamento
delle ritenute operate in misura inferiore alla soglia di punibilità.
Analogamente, nel caso della dichiarazione infedele di cui all’art. 4 d. Lgs.
74/2000 l’eventuale insussistenza del “fatto” riguarderebbe sempre il “fatto”
nella sua rilevanza penale, non il “fatto” ontologicamente inteso, rilevante quindi
ad altri fini. Né il ricorrente ha spiegato chiaramente quale sia il suo pregiudizio
tra la scelta di una formula piuttosto che dell’altra, essendosi limitato a ventilare
potenziali conseguenze sfavorevoli, sia in sede civile che amministrativa,

come reato”. In realtà queste presunte e non meglio specificate potenziali
conseguenze sfavorevoli prescindono dalla diversa formula assolutoria – il fatto
non sussiste o non è previsto dalla legge come reato – perché il giudicato penale
ha efficacia in sede extrapenale nei limiti del contenuto suo proprio e cioè con
riferimento, per l’appunto, all’accertamento del fatto od all’irrilevanza
dell’accertamento del fatto ai fini penalistici. Con riferimento al caso in esame, il
ricorrente ha condotto un ragionamento generico ed astratto, per giunta non
persuasivo, senza allegazione di un interesse in concreto.
3.3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene
pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente
onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le
spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte
costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione
di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi
la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa
delle Ammende.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende
Così deciso, l’11 ottobre 2017.

riconducibili alla formula assolutoria “perché il fatto non è previsto dalla legge

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