Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15819 del 11/10/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 15819 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: MACRI’ UBALDA

SENTENZA

sul ricorso proposto da Fasce Angelo, nato a Genova, il 6.3.1939,
avverso la sentenza in data 31.3.2016 della Corte d’appello di Genova,
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macrì;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Marilia
Di Nardo, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 31.3.2016 la Corte d’appello di Genova ha
confermato la sentenza del Tribunale della stessa città in data 10.2.2015, che
aveva condannato Fasce Angelo alla pena di anni 2, mesi 6 di reclusione, oltre
spese e pene accessorie di cui all’art. 12, comma 1, d.Lgs. 74/2000 nella durata
minima, ove prevista, riconosciuta la continuazione e le attenuanti generiche in
misura equivalente alla contestata recidiva, condonata la pena nella misura di
mesi 8 di reclusione, per il reato di cui all’art. 8, comma 1, d. Lgs. 74/2000
relativo ad operazioni soggettivamente inesistenti per un imponibile superiore ad
C 154.937,07 per l’anno 2005 (capo A), per l’anno 2006 (capo B), per l’anno
2007 (capo C).

2. Con il primo motivo di ricorso, l’imputato lamenta la violazione dell’art.
606, comma 1, lett. c), c.p.p. in relazione all’art. 178 c.p.p.

Data Udienza: 11/10/2017

Espone che il suo difensore di fiducia era deceduto 1’11.1.2016 e che egli
aveva comunicato il fatto il 23.2.2016 alla Corte d’appello, la quale il giorno
successivo, in udienza, aveva provveduto alla designazione del difensore
d’ufficio: nel verbale d’udienza risultava la nomina del difensore d’ufficio ex art.
97, comma 4, cod. proc. pen., poi corretta, in seguito, con l’indicazione dell’art.
97, comma 1, cod. proc. pen. All’udienza del 31.3.2016 la Corte territoriale
aveva celebrato l’udienza con il difensore d’ufficio nominato ai sensi del quarto
comma, ma indicando la sua presenza ai sensi del primo comma. Tale dicitura,
oltre ad essere irrituale, risultava carente di un presupposto fondamentale, e

sulla base degli elenchi del locale Ordine forense. Conclude quindi che era
sprovvisto del difensore, circostanza che aveva determinato la nullità di tutti gli
atti a seguire.
Con il secondo motivo, eccepisce la nullità della sentenza ex art. 175
c.p.p. per omessa motivazione in relazione alla continuazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
3.1. Con riferimento al primo motivo, è irrilevante l’indicazione a verbale
che il difensore sia stato indicato come nominato ai sensi dell’art. 97, comma 1 o
comma 4, cod. proc. pen. Nel caso di specie, essendo intervenuto il decesso del
difensore di fiducia, avrebbe dovuto essere nominato un difensore d’ufficio ai
sensi del comma 1, ma in ogni caso,quel che conta ; è che l’imputato non è stato
mai sprovvisto di difensore, sicché eventuali irregolarità, ivi compreso il criterio
di scelta del professionista, sono da ritenersi comunque sanate stante il difetto di
tempestiva eccezione (si veda sul punto, per un caso simile, il principio di diritto
affermato da Sez. 6, 4.3.2003, n. 16256, Vecchiotti, Rv 224873).
3.2. Con riferimento al secondo motivo, va rilevato che la Corte
territoriale ha considerato l’oggettiva gravità dei fatti, nonché la personalità
dell’imputato che, non solo delinque ininterrottamente dall’età di 19 anni, ma ha
altresì dimostrato con la commissione dei tre reati in esame (emissione di false
fatture una volta al mese per tre anni consecutivi) una protervia e noncuranza
delle regole, sì da giustificare l’entità degli aumenti della continuazione. Ritiene il
Collegio che, senz’alcun dubbio, tale motivazione resiste alla censura sollevata.
3.3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene
pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente
onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le
spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte
costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione
9

cioè del decreto con cui la Corte territoriale aveva designato il difensore d’ufficio

di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi
la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa
delle Ammende.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle

Così deciso, 1’11 ottobre 2017.
Il Consigliere estensore
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Il Presidente
Al o Cavallo

I ‘1-441/

Ammende

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