Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15793 del 20/03/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 15793 Anno 2018
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: MESSINI D’AGOSTINI PIERO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CACCIAPUOTI ANDREA nato il 05/07/1948 a GIUGLIANO IN CAMPANIA

avverso la sentenza del 30/06/2016 della CORTE DI APPELLO DI MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Piero MESSINI D’AGOSTINI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Felicetta
MARINELLI, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore dell’imputato, avv. Stefania NERVEGNA, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 30/3/2016, la Corte di appello di Milano confermava
la sentenza emessa il 30/6/2014, con la quale il Tribunale di Milano aveva
condannato Andrea Cacciapuoti alla pena ritenuta di giustizia per tentata truffa
in danno di una compagnia assicuratrice, così riqualificato il fatto,
originariamente contestato come delitto ex art. 642 cod. pen.
1

Data Udienza: 20/03/2018

2. Propone ricorso personalmente Andrea Caéciapuoti, chiedendo
l’annullamento della sentenza sulla base dei seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 521 cod. proc. pen. e 6 par.
3 lett. a) CEDU per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza:
erroneamente la Corte di appello ha rigettato il motivo di gravame con il quale si
era lamentata la violazione di detto principio, avendo il primo giudice condannato
l’imputato per tentata truffa, reato diverso da quello contestatogli.

Corte, il ricorrente sostiene di non essere “stato posto nella possibilità di
chiedere ad esempio un rito alternativo rispetto alla modificata imputazione o
indicare testimoni che potessero escludere il tentativo di truffa”.
2.2. Mancata assunzione di una prova decisiva, costituita dalla sentenza
civile emessa dal giudice di pace di Napoli il 23/4/2014, che la Corte non ha
ritenuto di acquisire, in assenza di una formale richiesta di rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale. La sentenza sarebbe stata prova decisiva perché
nella stessa si dà atto che il sinistro si verificò effettivamente – diversamente da
quanto contestato nell’imputazione e ritenuto dai giudici di merito – e che la
responsabilità dello stesso era da attribuire al conducente dell’autovettura che
investì Cacciapuoti.
2.3. Erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 62

bis

cod. pen. ed illogicità della motivazione in relazione al diniego delle attenuanti
generiche, motivato dal fatto che il ricorrente ottenne il risarcimento del danno
grazie ad un teste compiacente, desunto però dalla stessa sentenza civile non
acquisita. Il comportamento processuale di Cacciapuoti, invero, “è stato a dir
poco ineccepibile”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza di tutti i motivi.

2. Secondo il diritto vivente, per aversi mutamento del fatto, occorre una
trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta
nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, si da pervenire ad
un’incertezza sull’oggetto della contestazione da cui scaturisca un reale
pregiudizio dei diritti della difesa. Ne consegue che l’indagine volta ad accertare
la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero
confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in
materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando

2

Richiamata la “vicenda Drassich” e citate alcune pronunce della Suprema

l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione
concreta di difendersi in ordine ali’oggetto dell’imputazione (Sez. U., n. 36551
del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U., n. 16 del 19/06/1996, Di
Francesco, Rv. 205617; Sez. 4, n. 33878 del 03/05/2017, Vadacca, Rv. 271607;
Sez. 2, n. 17565 del 15/03/2017, Beretti, Rv. 269569; Sez. 4, n. 4497 del
16/12/2015, dep. 2016, Addio, Rv. 265946).
La Corte di appello, poi, ha escluso la violazione del principio di
correlazione tra accusa e sentenza, considerato anche che l’art. 642 cod. pen.
costituisce una ipotesi criminosa speciale rispetto al reato di truffa di cui all’art.

640 cod. pen.: nel primo, infatti, sono presenti tutti gli elementi della condotta
caratterizzanti il secondo e, in più, come elemento specializzante, il fine di tutela
del patrimonio dell’assicuratore (Sez. 2, n. 22906 del 16/05/2012, Brogi, Rv.
252997; Sez. 6, n. 2506 del 13/11/2003, dep. 2004, Rv. 227890).
Nel caso di specie la diversa definizione giuridica, correttamente data dal
primo giudice al fatto, è stata conseguenza unicamente della mancanza di un
contratto assicurativo fra Cacciapuoti, presunto investito, e la AXA Assicurazioni,
compagnia che assicurava il veicolo del presunto investitore.
E’ del tutto evidente, pertanto, come detto mutamento non abbia leso
alcun diritto di difesa ed apparisse come uno dei possibili epiloghi decisori del
giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile.
In sede di appello, alla luce della riqualificazione giuridica del fatto
operata dal primo giudice, il ricorrente avrebbe potuto chiedere la rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale, dimostrando la rilevanza delle prove offerte in
relazione al diverso reato addebitatogli: ciò non ha fatto e neppure in questa
sede ha indicato quali prove avrebbe avuto interesse ad assumere,
evidentemente perché la ricostruzione dell’episodio di cui si tratta è del tutto
indipendente dalla mutata definizione giuridica.
Solo con il ricorso in cassazione è stata posta la questione del diritto al
contraddittorio sulla diversa qualificazione giuridica, non oggetto dei motivi di
appello.
Anche a prescindere da questo profilo di inammissibilità, manifesta è
l’infondatezza della doglianza, essendosi il ricorrente giovato anche di un giudizio
di merito per interloquire sulla nuova definizione del fatto, integrante peraltro un
reato meno grave: secondo giurisprudenza consolidata, qualora una diversa
qualificazione giuridica del fatto venga effettuata in appello, senza che l’imputato
abbia preventivamente avuto modo di interloquire sul punto, la garanzia del
contraddittorio resta comunque assicurata dalla possibilità di contestare la
diversa qualificazione mediante il ricorso per cassazione (Sez. 3, n. 22296 del
09/03/2017, Bavila, Rv. 269992; Sez. 6, n. 11956 del 15/02/2017, B., Rv.

3

t

269655; Sez. 2, n. 12612 del 04/03/2015, Bu, Rv. 262778; Sez. 2, n. 46401 del
09/10/20. 14, Destri, Rv. 261047; Sez. 2, n. 17782 del 11/04/2014, Slsi, Rv.
259564).

3. La Corte territoriale ha correttamente ricordato il principio, pacifico
nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale l’acquisibilità delle sentenze
divenute irrevocabili ai fini della prova dei fatti in esse accertati riguarda
esclusivamente le sentenze pronunziate in altro procedimento penale e non

sostanziali asimmetrie in ordine alla valutazione della prova che caratterizzano i
due diversi ordinamenti processuali; pertanto le sentenze di un giudice diverso
da quello penale, pur se definitive, non vincolano quest’ultimo e, se acquisite,
sono dal medesimo liberamente valutabili (Sez. 5, n. 41796 del 17/06/2016,
Crisafulli, Rv. 268041; Sez. 5, n. 14042 del 04/03/2013, Simona, Rv. 254981;
Sez. 4, n. 28529 del 26/06/2008, Mezzera, Rv. 240316).
Nel caso di specie, dunque, non vi erano i presupposti per acquisire la
sentenza civile e, in ogni caso, alla luce delle motivazioni della Corte, che pure
ha dato atto di conoscerne il contenuto, la stessa non avrebbe avuto ovviamente
alcuna influenza sulla decisione, fondata essenzialmente, come quella del
Tribunale, sull’acclarata falsità della firma del presunto investitore Domenico
Morlando, del tutto ignaro ed estraneo, sul modello di constatazione amichevole
dell’incidente, invero mai verificatosi, secondo quanto accertato nel giudizio
penale svoltosi davanti al Tribunale di Milano.

4.

Priva di ogni pregio è anche la doglianza in tema di attenuanti

generiche, negate per la mancanza di resipiscenza dimostrata dall’imputato, che
in sede civile è riuscito ad ottenere il risarcimento del danno.
Secondo il diritto vivente, le attenuanti generiche non possono essere
intese come oggetto di benevola e discrezionale “concessione” del giudice, ma
come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non
comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen., che
presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più
incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena:
«posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di
consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della
sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili
connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso
responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai
essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il

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anche quelle pronunziate in un procedimento civile, attese le evidenti e

giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni
possibile profilo, l’afferMata insussistenza» • (così Sez. 1, n. .46568 del
18/05/2017, Lamin, Rv. 271315; in senso conforme v., ex plurimis, Sez. 2, n.
35570 del 30/05/2017, Di Luca, Rv. 270694; Sez. 1, n. 37550 del 06/07/2016,
Cacace, n.m.).
In particolare, «il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche può essere legittimamente giustificato con l’assenza di elementi o
circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell’art. 62-bis,

2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente
non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell’imputato» (Sez. 2, n. 39566
del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986; Sez. 6, n. 13022 del 11/02/2016,
Esposito, n.m.).
Il ricorrente ha invocato il riconoscimento di dette attenuanti sulla base
della propria incensuratezza e di un presunto “ineccepibile comportamento
processuale”, in realtà privo di un qualsiasi riscontro (è rimasto assente nei
giudizi di merito) ed anzi smentito dalla circostanza indicata nella sentenza
impugnata e non contestata con il ricorso.

5. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente viene condannato al
pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento in favore della
cassa delle ammende della somma di C 2.000, così equitativamente fissata in
ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 20/3/2018.

Il Consigliere estensore
Messini D’Agostini
(A,Nin

Il Presidente
menico Gallo

disposta con il d.l. legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito dalla legge 24 luglio

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