Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15786 del 08/03/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 15786 Anno 2018
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: CORBETTA STEFANO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Fontana Massimiliano, nato a Vercelli il 12/09/1968
Fontana Livio, nato a Torino il 22/06/1953

avverso la sentenza del 17/11/2017 della Corte d’appello di Torino

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Fulvio
Baldi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi.

Data Udienza: 08/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della decisione resa,
all’esito del giudizio abbreviato, dal tribunale di Vercelli, appellata dagli imputati,
la Corte d’appello di Torino dichiarava non doversi procedere nei confronti di
Massimiliano Fontana e di Livio Fontana in relazione ai reati loro ascritti,
limitatamente alle mensilità di febbraio, marzo ed aprile 2010 per essere il reato

aveva affermato la penale responsabilità dei due imputati per il reato di cui agli
artt. 110, 81 cpv. cod. pen., 2 d.l. n. 463 del 1983, perché, Massimiliano
Fontana, quale presidente dal c.d.a. della ditta “Officine meccaniche 3 M s.a.s. di
Fontana Livio”, con sede a Livorno Ferraris, Livio Fontana, quale legale
rappresentante della medesima ditta, omettevano di versare all’INPS, sede di
Vercelli, nei termini prescritti le ritenute previdenziali e assistenziali sulle
retribuzioni corrisposte ai dipendenti nei mesi di maggio, giugno e luglio 2010.

2. Avverso l’indicata sentenza gli imputati, a mezzo del comune difensore di
fiducia, con un unico atto propongono ricorso per cassazione, affidato a tre
motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce inosservanza o erronea applicazione della
legge penale in relazione agli artt. 43 e 45 cod. pen. e 2 d.l. n. 463 del 1983 per
carenza dell’elemento soggettivo del reato e sussistenza dell’esimente della forza
maggiore relativamente alla posizione di Livio Fontana. Assume il ricorrente che
la Corte territoriale non avrebbe tenuto in debito conto lo situazione di profonda
crisi di liquidità in cui versava la società al momento dei fatti, situazione peraltro
considerata dalla Corte territoriale “complessivamente verosimile alla luce
dell’attuale contesto economico” , il che escluderebbe la sussistenza del dolo in
capo a Livio Fontana, quale socio accomandatario e amministratore della società,
o, comunque, ravvisandosi una situazione di forza maggiore, che avrebbe
concretamente impedito, per cause indipendenti alla volontà dell’agente, il
versamento dei contributi previdenziali. Del resto, Livio Fontana si sarebbe
limitato a posticipare il pagamento delle somme dovute con l’intenzione di
adempiere nel più breve tempo possibile, come dimostrato dal piano di
rateizzazione del debito, ottenuto da Equitalia, ad oggetto anche le ritenute
previdenziali in esame.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta, parimenti, inosservanza o erronea
applicazione della legge penale in relazione agli artt. 43 e 45 cod. pen. e 2 d.l. n.
463 del 1983 per carenza dell’elemento soggettivo del reato e sussistenza

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estinto per prescrizione, nel resto confermando la sentenza di primo grado, che

dell’esimente della forza maggiore relativamente alla posizione di Massimiliano
Fontana. Le argomentazioni sopra indicate verrebbero, a fortiori, con riguardo a
Massimiliano Fontana, il quale, essendo mero socio accomandatario della società,
di cui semplicemente deteneva una quota di partecipazione in seguito alla morte
del padre, non si era mai interessato della gestione della società.
2.3. Con il terzo motivo si eccepisce inosservanza o erronea applicazione
della legge penale in relazione agli artt. 649 cod. proc. pen. e 3, comma 6 I. n. 8
del 2016 con riferimento alla posizione di Massimiliano Fontana. Deduce il

proscioglimento ex art. 649 cod. proc. pen. per essere il Massimiliano Fontana
già stato condannato per i medesimi fatti con sentenza del g.i.p. tribunale di
Vercelli, emessa in data 2 dicembre 2014. Invero, a fronte della motivazione
addotta della Corte territoriale, secondo cui l’indicata sentenza era priva dalla
data di irrevocabilità, il ricorrente ha allegato al ricorso detta pronuncia con
l’attestazione del passaggio in giudicato, avvenuto in data 25 dicembre 2015;
quanto, poi, al rilievo, secondo cui i fatti, giudicati con la precedenza sentenza, si
riferiscono ad altre mensilità, ad avviso del ricorrente, per effetto delle modifiche
apportate dal d.lgs. n. 8 del 2016, deve ritenersi che il reato in esame configura
una fattispecie caratterizzata dalla progressione criminosa, necessariamente
ancorata al periodo temporale dell’anno, in cui si sono verificati gli omessi
versamenti delle ritenute previdenziali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. E’ fondato il secondo motivo proposto nell’interesse di Massimiliano
Fontana.

2. Il primo motivo è generico.
In primo luogo, in punto di diritto, va data continuità all’orientamento di
questa Corte, secondo cui il reato di omesso versamento delle ritenute
previdenziali ed assistenziali è a dolo generico, ed è integrato dalla consapevole
scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di
lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare
preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione
dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il
versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le
risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da
adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità

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ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente rigettato la richiesta di

di pagare i compensi nel loro intero ammontare

(Sez. 3, n. 43811 del

10/04/2017 – dep. 22/09/2017, Agozzino, Rv. 271189).
Nel caso in esame, si osserva che la situazione di asserita illiquidità
dell’azienda non è stata affatto riscontrata dai giudici di merito e, di essa, vi è
solo un fugace accenno nella motivazione della sentenza impugnata, alla luce di
una considerazione di carattere generale, ma senza, appunto, un effettivo
accertamento fattuale in sede di merito.

3.1. In primo luogo va ribadito il principio secondo cui l’obbligo del
versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di
lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti grava nelle imprese collettive
sul soggetto che secondo il tipo e l’organizzazione ha la responsabilità
dell’impresa stessa o della singola unità produttiva, non assumendo effetto
scriminante la circostanza che la designazione sia fittizia (Sez. 3, n. 24938 del
10/06/2005 – dep. 07/07/2005, Marchini, Rv. 231819: fattispecie relativa a
società in accomandita semplice nella quale la Corte ha affermato la
responsabilità del socio accomandatario, al quale era stata conferita
l’amministrazione della società e la rappresentanza nei rapporti con i terzi).
In proposito, si osserva che l’obbligo di versare i contributi spetta al datore
di lavoro e tale qualificazione nelle imprese collettive spetta al soggetto che,
secondo il tipo e l’organizzazione dell’impresa, ha la responsabilità dell’impresa
stessa o dell’unità produttiva. Nelle società in accomandita semplice tale potere
spetta al socio accomandatario al quale è stata conferita l’amministrazione della
società e, quindi, la rappresentanza nei rapporti con i terzi.
3.2. Peraltro, come sopra si è anticipato, il reato di omesso versamento
delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo generico, ed è integrato dalla
consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti.
3.3. Orbene, nel caso di specie, in sede di merito si è appurato che: Livio
Fontana e Massimiliano Fontana ricoprivano la carica di soci accomandatari della
società “Officine Meccaniche 3M sas di Fontana Livio & c.”; Livio Fontana era
l’effettivo legale rappresentante della predetta ditta, essendo colui che gestiva
l’attività amministrativa e direzionale dell’azienda, mentre il nipote, Massimiliano
Fontana, non si occupava della gestione della società, ma ne rappresentò una
parte in seguito alla morte del padre; l’INPS notificò regolarmente, a entrambi gli
imputati, gli avvisi di legge della possibilità di sanatoria del debito tributario
entro tre mesi al fine di evitare l’esercizio dell’azione penale.
Rispondendo alla specifica doglianza dedotta con i motivi di appello, la Corte
territoriale ha desunto la sussistenza del dolo, quantomeno nella forma del dolo

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3. E’ fondato il secondo motivo, con assorbimento dell’ulteriore motivo.

eventuale, in capo a Massimiliano Fontana proprio dal fatto che egli sia rimasto
inerte, nonostante la notifica dell’accertamento, da parte dell’INPS, delle
violazioni contributive.
Si tratta di una motivazione errata, in quanto il dolo, con riferimento al reato
in esame, deve sussistere al momento della condotta omissiva, e non può
essere sopperito dalla successiva conoscenza delle violazioni, già consumate, a
seguito della notifica dell’avviso di accertamento dell’INPS, che rileva unicamente
per consentire l’eventuale ravvedimento operoso del soggetto fino a quel

La sentenza, sul punto, deve perciò essere annullata con rinvio per nuovo
esame ad altra sezione della Corte d’appello di Torino.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Fontana Massimiliano e rinvia
ad altra sezione della Corte d’appello di Torino. Dichiara inammissibile il ricorso
di Fontana Livio e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 08/03/2018.

momento inadempiente.

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