Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15783 del 08/03/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 15783 Anno 2018
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: CORBETTA STEFANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Abello Ramirez Johan Eliecer, nato in Colombia il 08/09/1990

avverso la sentenza del 07/07/2017 della Corte d’appello di Torino

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Fulvio
Baldi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 08/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della decisione resa,
all’esito del giudizio abbreviato, dal g.u.p. del tribunale di Torino, appellata
dall’imputato, la Corte d’appello di Torino riduceva la pena inflitta ad Johan
Eliecer Abello Ramirez ad anni tre e mesi nove di reclusione ed euro 13.200 di
multa, nel resto confermando la sentenza di primo grado che aveva affermato la
penale responsabilità dell’imputato, in relazione al delitto di cui agli artt. 81,

fine di spaccio, 17 cilindretti non confezionati, contenti complessivamente gr.
87,322 di cocaina, 2 involucri contenenti gr. 6,260 di cocaina, gr. 397,968 di
marijuana, nonché per aver acquistato e rivenduto gr. 45 di cocaina e gr. 50 di
marijuana.

2. Avverso l’indicata sentenza l’imputato, tramite il difensore, propone
ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge in relazione agli artt.
81 cod. pen., 73 d.P.R. n. 309 del 1990, 533 cod. proc. pen. nonché difetto di
motivazione. Assume il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente
ritenuto il concorso delle condotte di cessione, precedenti all’arresto dell’Abello,
con quelle di detenzione, in riferimento a sostanze stupefacenti di natura
omogenea, ossia cocaina e marijuana, in quanto sarebbero provenienti dalle
medesime partite, come dichiarato dall’imputato nel corso dell’interrogatorio reso
all’udienza del 26 novembre 2016. In altri termini, la condanna per le pregresse
cessioni di stupefacenti sarebbe illegittima, perché non supportata da prova
certa in ordine alla riconducibilità dello stupefacente, in precedenza ceduto, a
partite diverse da quelle da cui proveniva lo stupefacente sequestrato, per cui è
stata pronunciata condanna a titolo di illecita detenzione.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta omessa pronuncia sul motivo di
appello concernente la mancata applicazione della riduzione ex art. 133 bis cod.
pen. con riguardo alla pena pecuniaria. Secondo il ricorrente, la Corte d’appello
avrebbe omesso di pronunciarsi sull’indicato motivo di appello, che era stato
dedotto in considerazione della condizione di disoccupazione dell’Abello, come
già ritenuto dal g.u.p.
2.3. Con il terzo motivo si eccepisce violazione dell’art. 240 cod. pen. e
difetto di motivazione in ordine alla confisca dei telefoni cellulari in sequestro.
Secondo la prospettazione del ricorrente, il provvedimento impugnato non
darebbe conto delle ragioni che giustificherebbero la sussistenza del vincolo di
pertinenzialità dei beni in questione rispetto alla commissione del reato, ben

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comma 2, cod. pen., 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 per aver detenuto, a

potendo l’asserita attività di spaccio realizzarsi tramite contatto diretto e
personale con gli acquirenti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

E’ fondato il secondo motivo, essendo gli altri manifestamente infondati

2. Quanto al primo motivo, diretto a contestare la ritenuta sussistenza dei
autonomi fatti di cessione, ammessi dall’Abello, commessi prima del suo arresto,
si è in presenza di una questione attinente alla valutazione delle prove, e quindi
alla ricostruzione del fatto, non deducibile in sede di legittimità.
Invero, la Corte territoriale ha osservato che l’imputato ha dichiarato di aver
acquistato, detenuto e ceduto, nei mesi precedenti il suo arresto, altri
quantitativi di cocaina e marijuana, senza specificare che si trattasse di partite
comprensive anche dei quantitativi sequestrati il giorno dell’arresto, sicché,
correttamente, trattandosi di fatti diversi, è stato operato, per i fatti pregressi,
l’aumento di pena a titolo di continuazione.

3. Con riferimento alla mancata riduzione, ai sensi dell’art. 133

bis cod.

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pen., della pena pecuniaria – questione dedotta con il cFcmikto motivo di appello si deve osservare che la Corte territoriale ha, effettivamente, omesso di
esaminarla.
Orbene, nel caso in cui l’imputato abbia chiesto con

specifico motivo

d’appello la riduzione della pena pecuniaria, ai sensi dell’art. 133 bis cod. pen., e
il giudice d’appello non abbia preso in considerazione tale richiesta, omettendo
qualsiasi pronuncia sul punto, la sentenza impugnata deve essere annullata in
parte con rinvio, non potendo la Corte di cassazione operare un giudizio,
necessariamente anche di fatto, circa la concedibilità o meno all’imputato della
richiesta riduzione della pena pecuniaria.

4. Quanto al terzo motivo, si deve osservare che il giudice, il quale disponga
la confisca facoltativa delle cose sequestrate, deve motivare sulla circostanza che
la libera disponibilità del bene possa costituire un incentivo alla reiterazione della
condotta criminosa e la sua valutazione, se correttamente e logicamente
motivata, si sottrae al sindacato di legittimità.

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e, quindi, inammissibili.

Orbene, la Corte territoriale ha fornito ampia e puntuale motivazione in
relazione alla disposta confisca dei telefoni cellulari, osservando che si tratta di
strumenti essenziali per i contatti (con frequente cambio di sim) con i fornitori e
gli acquirenti dello stupefacente, avendo l’imputato ammesso di gestire in
proprio una non episodica od occasionale attività di spaccio, diretta a un numero
non esiguo di consumatori, come comprovato dai quantitativi di droga
sequestrati. Si tratta di una motivazione non manifestamente illogica, ancorata a

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente dalla concedibilità della
riduzione della pena pecuniaria ai sensi dell’art. 133 bis cod. pen. e rinvia ad
altra sezione della Corte d’appello di Torino. Dichiara inammissibile, nel resto, il
ricorso.
Così deciso il 08/03/2018.

elementi di fatto, precisi e circostanziati, che, pertanto, non merita censure.

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