Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1570 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1570 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZINZI SALVATORE N. IL 27/03/1951
nei confronti di:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
l’ordinanza n. 92/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
12/06/2012

avverso

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
lette/seme le conclusioni del PG Dott. Vao D ‘A rt8Rk.)51 o ,44,
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Data Udienza: 12/12/2013

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza in data 20 giugno 2012 la Corte d’appello di Napoli
rigettava l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione formulata nell’interesse
di Zinzi Salvatore.
Questi, tratto in arresto il 13/7/2004 in esecuzione di ordinanza di custodia
cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Napoli per i delitti previsti dagli artt. 416 bis e 648 ter cod. pen. era

proc. pen.. Condannato in primo grado in ordine alla prima imputazione, l’istante
venne poi assolto anche da questa dalla Corte d’appello di Napoli con sentenza
del 20/10/2009, divenuta irrevocabile il 5/3/2010, ciò sulla base del rilievo per
cui, premesso che la sua presunta partecipazione al clan si fondava
esclusivamente sulle condotte di reimpiego, non vi era prova della illecita
provenienza, all’origine, del denaro utilizzato per le operazioni sospette di
riciclaggio.
Secondo il giudice della riparazione è ravvisabile a fondamento dell’ingiusta
detenzione un comportamento del ricorrente connotato da colpa grave essendo
rimasto comunque accertato che lo Zinzi «pose in essere numerose operazioni

bancarie, prevalentemente ma non esclusivamente in Italia-estero, qualificabili
come sospette di riciclaggio» e considerato anche che il predetto, «in sede di
interrogatorio di garanzia prima e di esame dibattimentale poi, ha fornito
spiegazioni del tutto prive del minimo di logica comune circa il motivo per cui
posta in essere quel genere di operazioni, in quella guisa».

2.

Avverso questa decisione lo Zinzi propone, per mezzo del proprio

difensore, ricorso per cassazione deducendo erronea applicazione dell’art. 314
cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Assume, in sintesi, che difetta il presupposto ostativo indicato dalla norma
per il riconoscimento del richiesto indennizzo atteso che la sua condotta non ha
avuto alcuna efficacia causale nell’indurre in errore il giudice del provvedimento
cautelare né ai fini del mantenimento della misura, non potendosi di contro far
leva sulle medesime circostanze relative alla condotta già oggetto della
pronuncia assolutoria in sede penale, tanto meno attribuendo alle stesse una
valutazione in contrasto con quella operata in sede penale – come sostiene aver
fatto, nella specie, il giudice della riparazione. Rileva infatti che, diversamente
dal giudice della riparazione che ha ritenuto le spiegazioni dello Zinzi prive “del

minimo di logica comune», la corte d’appello giudice della cognizione penale ha
invece attribuito proprio ai chiarimenti offerti dallo Zinzi l’efficacia di disvelare il

stato scarcerato il 6/4/2005 per ordine del Tribunale del riesame ex art. 310 cod.

significato delle singole operazioni, giungendo ad affermare al riguardo che «la

posizione di Zinzi Salvatore … pare ancora più lineare del Colei/a» (pag. 116 della
sentenza), avuto riguardo alle chiavi di lettura offerte relativamente alle
operazioni sul conto Del Vecchio e sulla operazione Grecia ed alla
documentazione offerta a supporto costituita da «fattura, bolletta doganale e

deposizione testimoniale del soggetto che aveva effettuato il trasporto».

3. Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.

ricorso.

Considerato in diritto

4. Il ricorso è infondato.
Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di riparazione
per ingiusta detenzione, al giudice del merito spetta, anzitutto, di verificare se
chi l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa
grave.
A tal fine, egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili,
relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita
della libertà, allo scopo di stabilire se tale condotta abbia determinato, ovvero
anche solo contribuito a determinare, la formazione di un quadro indiziario che
ha indotto all’adozione o alla conferma del provvedimento restrittivo.
Tale condizione, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, deve
manifestarsi attraverso comportamenti concreti, precisamente individuati, che il
giudice di merito è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine
di stabilire, con valutazione ex ante, non se essi abbiano rilevanza penale, ma
solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto all’emissione del
provvedimento di custodia cautelare.
Nulla vieta al giudice della riparazione di prendere in considerazione gli
stessi comportamenti oggetto dell’esame del giudice penale, sempre che la
valutazione di essi sia eseguita dal primo non rapportandosi ai canoni di giudizio
del processo penale, bensì a quelli propri del procedimento riparatorio, che è
diretto non ad accertare responsabilità penali, bensì solo a verificare se talune
condotte abbiano quantomeno concorso a determinare l’adozione del
provvedimento restrittivo. È stato in tal senso anche condivisibilmente precisato
che «il principio secondo il quale la condizione ostativa al riconoscimento del

diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il ricorrente dato causa all’ingiusta
detenzione, deve essersi concretata in comportamenti che non siano stati esclusi

Il Ministero ha depositato memoria con la quale ha chiesto il rigetto del

dal giudice della cognizione, va inteso con riferimento ai soli comportamenti che
il giudice abbia escluso si siano verificati e non anche a quelli verificatisi ed in
relazione ai quali il giudice della riparazione può attribuire valenza diversa da
quanto ritenuto dal giudice della cognizione» (Sez. 3, n. 20128 del 26/03/2004,
Clericò, Rv. 228883).
Orbene, nel caso di specie, la corte distrettuale si è attenuta a tali principi,
avendo ritenuto, con motivazione adeguata e coerente sotto il profilo logico e nel
rispetto della normativa di riferimento, che la condotta dello Zinzi abbia

risultata non corrispondente alla realtà effettiva) di una condotta illecita dalla
quale è scaturita, con rapporto di causa – effetto, la detenzione ingiustamente
sofferta.
È stato, in particolare, evidenziato che:
– le operazioni bancarie poste in essere dall’odierno ricorrente, alla stregua
dell’accertamento della polizia giudiziaria e delle

«ponderose relazioni

dell’apposito ufficio antiricidaggio istituito presso la Banca d’Italia»,
operazioni bancarie dallo stesso poste in essere

che le

«per tipologia, numero,

continuità, gravità e remuneratività», giustificassero oggettivamente il sospetto
di finalità di riciclaggio;
– il loro compimento da parte del richiedente rivela «grave leggerezza» ed è

«obiettivamente rimproverabile, essendo le operazioni sospette di riciclaggio
definite per legge proprio al fine di evitare transazioni che si prestino a favorire
interessi illeciti»;
– anche la condotta successiva del richiedente, nell’ambito del procedimento,
è negativamente valorizzabile ai fini in questione avendo egli bensì «lungamente

risposto, senza però mai giustificare in modo minimamente logico ed attendibile
le numerose operazioni sospette contestategli».
Le superiori considerazioni esprimono nel loro insieme un impianto
argomentativo solido e intrinsecamente coerente che resiste alle censure mosse
dal ricorrente.
Questi, invero, nel rilevare che le condotte valorizzate dal giudice della
riparazione in realtà prima facie dovevano risultare inidonee a configurare
l’illecito penale ipotizzato a fondamento della ingiusta cautela, esprime una
valutazione soggettiva che non tiene conto delle specifiche emergenze
processuali richiamate nel provvedimento impugnato, in particolare delle
indicazioni offerte dai tecnici dell’ispettorato antiriciclaggio della Banca d’Italia
secondo cui quell’operazione – per numero, tipologia e remuneratività risultavano oggettivamente sospette di riciclaggio.

sostanzialmente contribuito ad ingenerare la rappresentazione (ancorché poi

Analogamente, quanto al comportamento processuale, le considerazioni del
ricorrente secondo cui, contrariamente a quanto postulato dal giudice della
riparazione, sarebbero stati i chiarimenti da lui resi a disvelare in sede penale il
significato delle singole operazioni, in modo

«lineare»

(secondo un

apprezzamento contenuto nella sentenza di primo grado), sembrano in realtà far
riferimento a chiarimenti e comunque ad acquisizioni istruttorie sopravvenute nel
corso del dibattimento (specialmente laddove si citano deposizioni testimoniali)
mentre le considerazioni espresse dal giudice della riparazione attengono

prioritario e privilegiato nella presente sede.
Le contestazioni mosse dal ricorrente lasciano nel vago le esatte fasi
procedimentali cui sono riferite le diverse valutazioni operate sul punto nella
sentenza di assoluzione e non possono pertanto valere a infirmare la validità e
congruenza logica della motivazione impugnata.

3. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali oltre alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente che
liquida in complessivi euro 750,00.
Così deciso il 12/12/2013.

evidentemente alla fase iniziale del procedimento, ovviamente di rilievo

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