Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1567 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1567 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ELMO PAOLO N. IL 01/06/1979
avverso l’ordinanza n. 192/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
22/09/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
lette/senjite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 12/12/2013

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza in data 30 settembre 2011 la Corte d’appello di Napoli
rigettava l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione formulata nell’interesse
di Elmo Paolo, il quale in data 16/03/2005 era stato sottoposto alla misura della
custodia cautelare in carcere in esecuzione di ordinanza emessa dal Giudice per
le indagini preliminari del Tribunale di Benevento (successivamente annullata dal
Tribunale del riesame di Napoli in data 31/3/2005 per assenza dei gravi indizi di

reato di cessione di sostanza stupefacente (eroina): procedimento definito con
sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste del Tribunale di Benevento in
data 14/1/2009, divenuta irrevocabile il 28/4/2009.
Nonostante il giudice penale avesse ritenuto trattarsi di consumo di gruppo,
secondo il giudice della riparazione ciò non toglie che il ricorrente

«ha

effettivamente detenuto e ceduto sostanze stupefacenti» e che tale condotta sia
comunque «illecita, anche se soltanto sotto il profilo amministrativo».

2.

Avverso questa decisione l’Elmo propone, per mezzo del proprio

difensore, ricorso per cassazione deducendo erronea applicazione dell’art. 314
cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Sotto il primo profilo rileva che la tesi del consumo di gruppo, subito
sostenuta da esso ricorrente sin dal primo interrogatorio, era credibile sin
dall’inizio, tanto da condurre all’annullamento dell’ordinanza da parte del
tribunale del riesame sulla base di una diversa valutazione dei medesimi
elementi di indagine.
Sotto il secondo deduce essere inconferente il riferimento contenuto in
motivazione al fatto che la mera detenzione configuri comunque illecito
amministrativo, dal momento che tale circostanza non può di per sé integrare il
presupposto di cui all’art. 314, comma 1, cod. proc. pen. essendo a tal fine
piuttosto necessaria l’esistenza di un comportamento che induca il giudice della
cautela in errore sulla sussistenza di un fatto costituente reato.

3. Il Ministero si è costituito chiedendo il rigetto del ricorso.
Il P.G. ha concluso per il rigetto.

Considerato in diritto

4. Il ricorso è fondato.

colpevolezza), nell’ambito di un procedimento in cui gli era stato contestato il

;

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di
riparazione per ingiusta detenzione, al giudice del merito spetta verificare se chi
l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa grave.
Tale condizione, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, deve
manifestarsi attraverso comportamenti concreti, precisamente individuati, che il
giudice di merito è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine
di stabilire, con valutazione ex ante, non se essi abbiano rilevanza penale, ma
solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto all’emissione del

In tale operazione il giudice della riparazione, come ripetutamente precisato
da questa Corte, ha certamente il potere/dovere di procedere ad autonoma
valutazione delle risultanze e di pervenire, eventualmente, a conclusioni
divergenti da quelle assunte dal giudice penale, nel senso che circostanze
oggettive accertate in sede penale, o le stesse dichiarazioni difensive
dell’imputato, valutate dal giudice della cognizione come semplici elementi di
sospetto, ed in quanto tali insufficienti a legittimare una pronuncia di condanna,
ben potrebbero essere considerate dal giudice della riparazione idonee ad
integrare la colpa grave ostativa al diritto all’equa riparazione.
Ciò con l’unico limite però per cui, in sede di riparazione per ingiusta
detenzione, giammai può essere attribuita decisiva importanza, considerandole
ostative al diritto all’indennizzo, a condotte escluse dal giudice penale o a
circostanze relative alla condotta addebitata ritenute inidonee a integrare un
adeguato quadro indiziario.
L’ordinanza impugnata non si attiene a tali criteri, risultando gravemente
carente proprio sul piano della individuazione delle circostanze o delle condotte,
imputabili a grave imprudenza o negligenza dell’indagato, che, diverse dalla
mera condotta di detenzione della sostanza stupefacente, potessero ingenerare
l’apparenza di un quadro indiziario giustificativo della detenzione cautelare.
Come invero si ricava dalla stessa ordinanza, l’ipotesi delittuosa posta a
base della ingiusta misura cautelare era stata rappresentata sulla base
dell’evidenza di cessioni di sostanza stupefacente che però risultavano compiute
«nell’ambito di una ipotesi di acquisto, detenzione e consumo posta in essere in
comune accordo tra l’odierno istante ed i soggetti (secondo l’accusa)
stupefacenti».
Si trattava dunque di una condotta di per sé suscettibile di essere valutata,
come in effetti è stato, integratrice di ipotesi di consumo di gruppo, come tale
irrilevante sul piano penale e per ciò stesso inidonea a giustificare la misura
cautelare e, allo stesso modo, in mancanza di specificazione di specifiche
modalità o circostanze idonee ad indurre ad una diversa ancorché solo iniziale

provvedimento di custodia cautelare.

prospettazione,

anche inidonea a rappresentare condotta ostativa alla

riparazione.

5. Del tutto inconferente poi è la circostanza che la descritta condotta
integrasse comunque illecito amministrativo, rimanendo comunque per ciò
stesso confermato che essa non potesse invece integrare reato né perciò
giustificare la detenzione cautelare, il che è quanto basta per negare, come
detto, la sussistenza della condizione ostativa alla riparazione prevista dall’art.

surrettiziamente valenza sanzionatoria di condotte che, ancorché considerate
illecite dall’ordinamento, siano tuttavia inidonee a ingenerare il sospetto di una
condotta penalmente sanzionata e suscettibile di prevenzione cautelare.

6. L’ordinanza va pertanto annullata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli
per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio, per nuovo esame, alla Corte
d’Appello di Napoli cui rimette il regolamento delle spese tra le parti del presente
giudizio.
Così deciso il 12/12/2013.

314 comma 1 cod. proc. pen., alla cui previsione non può ovviamente attribuirsi

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