Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15638 del 08/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 15638 Anno 2018
Presidente: TRONCI ANDREA
Relatore: CRISCUOLO ANNA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
GRECO ANTONIO COSIMO nato il 15/01/1956 a NARDO’

avverso la sentenza del 17/03/2017 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANNA CRISCUOLO;

Data Udienza: 08/03/2018

R.G. 40942/2017
Motivi della decisione

Ne chiede l’annullamento per: 1) erronea applicazione dell’art. 368 cod. pen. e vizio di
motivazione, in quanto la Corte di appello ha fondato l’affermazione di responsabilità sulle
dichiarazioni della persona offesa, senza vagliarne l’attendibilità e trascurando che le stesse erano
interessate, strumentali e confuse; ha errato nel ritenere sussistente il dolo, essendo chiaramente
emerso che nel denunciare lo smarrimento degli assegni il Greco non intendeva accusare il
prenditore, tant’è che la denuncia è generica e non contiene alcuna istanza di punizione e al più
integrerebbe una simulazione di tracce del reato di appropriazione indebita piuttosto che di furto
o ricettazione, con conseguente insussistenza della calunnia per improcedibilità del reato
denunciato; 2) erronea applicazione degli artt. 132-133 e 62 bis cod. pen. e vizio di motivazione,
in quanto la Corte si è limitata a ritenere congrua la pena inflitta dal primo giudice, senza
giustificare il significativo scostamento dal minimo edittale; il diniego delle attenuanti è
giustificato solo dal riferimento ai precedenti penali dell’imputato, senza tener conto del
comportamento processuale e delle dichiarazioni spontanee rese e senza indicare i criteri di cui
all’art. 133 cod. pen. valutati.
Il ricorso è inammissibile per genericità, in quanto il ricorrente ripropone le stesse
censure formulate con i motivi di appello, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza
impugnata e con gli argomenti lineari e corretti, utilizzati per respingerle.
I giudici di appello hanno respinto la prospettazione difensiva circa l’insussistenza del
dolo non solo in base alle dichiarazioni della persona offesa, ma anche in base alla chiara e piana
ammissione dell’imputato di aver denunciato lo smarrimento degli assegni per sottrarsi al
pagamento dei titoli consegnati al De Giorgi per lavori mal eseguiti, ricavandone la
consapevolezza della falsità della denuncia, che, sebbene sporta a carico di ignoti, ha comportato
l’avvio di indagini per identificare il ricettatore o la persona, che se ne era indebitamente
appropriata, individuato appunto nel De Giorgi, al quale i titoli erano stati, invece, consegnati in
pagamento di lavori. Correttamente è stato sottolineato che l’aver taciuto l’esistenza di un
rapporto contrattuale con il De Giorgi, utilizzando strumentalmente la falsa denuncia per sottrarsi
all’adempimento di un’obbligazione, integra il reato contestato, che mira a tutelare sia il regolare
svolgimento dell’attività giurisdizionale, sia l’onore della persona ingiustamente accusata.
Altrettanto correttamente è stata ritenuta irrilevante la genericità della denuncia, stante
l’agevole identificazione del prenditore dei titoli a seguito delle indagini, originate dalla
denuncia, e la mancanza di querela per il reato di appropriazione di cosa smarrita, stante
l’idoneità della denuncia a far ipotizzare a carico del prenditore la ricettazione di cose provenienti
da reato.
Generico, oltre che manifestamente infondato, è anche il secondo motivo, risultando
ampiamente giustificato sia il diniego delle attenuanti, con riguardo alla gravità ed alle modalità
del fatto, avente ad oggetto la denuncia di smarrimento di 4 assegni, ed alla personalità
dell’imputato, gravato da precedenti per bancarotta e truffa, indicativi della scaltrezza e
dell’attitudine a frodare i terzi, sia la congruità della pena, ritenuta proporzionata ed adeguata alla
gravità della condotta.

Il difensore di Greco Antonio Cosimo ha proposto ricorso avverso la sentenza indicata
in epigrafe con la quale la Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza emessa il 28
ottobre 2014 dal Tribunale di Lecce, che aveva condannato l’imputato alla pena di anni 2 e mesi
3 di reclusione per il reato di calunnia.

Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle
ammende, equitativamente determinata in euro tremila.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 8 marzo 2018

Il consigliere estensore
Anna Crisèuolo

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