Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1553 del 28/11/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 1553 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CROCCO MASSIMO N. IL 15/11/1972
avverso l’ordinanza n. 5/2011 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 20/04/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;
le e/selttite le conclusioni del PG Dott.
01
cf-i.;.(4e
CAu,t

Uditi difensor

v.;

Data Udienza: 28/11/2013

Ritenuto in fatto
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di Crocco Massimo avverso l’ordinanza
emessa in data 20.4.2012 dalla Corte di Appello di Catanzaro con la quale veniva
rigettata l’istanza di riparazione dell’ingiusta detenzione patita dal predetto.
Il Crocco era stato sottoposto a custodia cautelare in carcere dal 10.7.2002 al
10.7.2003 giusta ordinanze custodiali n. 136/02 e 41/03 del G.i.p. di Catanzaro;
inoltre, dal 10.7.2003 al 29.6.2004 era stato sottoposto agli arresti domiciliari.
Con sentenza del Tribunale di Cosenza del 28.2.2004 era stato assolto da tutti i reati

sospesa) per il reato di cui all’ordinanza n. 41/03; la Corte di Appello aveva poi
rideterminato la pena in mesi otto di reclusione per il solo capo n. 27 di cui
all’ordinanza 41/03.
Poiché risultava che nessun provvedimento definitorio era stato prodotto in relazione
al capo d’imputazione n. 26, avente ad oggetto il delitto di usura in danno di Paese
Mario, per il quale vi era stata applicazione della misura cautelare, la Corte territoriale
invitava, con ordinanza del 3.2.2012, la parte istante a depositare la documentazione
mancante. A tanto la parte non ottemperava depositando solo nota con la quale
affermava di essere nell’impossibilità di produrre attestazione definitoria del processo
in relazione all’imputazione relativa a Paese Mario e che dall’esame delle sentenze di
primo e secondo grado già depositate e dall’assenza di carichi pendenti risultava che il
Crocco non era stato giudicato né aveva riportato condanna per l’imputazione in
questione.
Il giudice della riparazione, rilevava che con l’ordinanza n. 41/03 (pag. 276) era stata
applicata, successivamente ad altra ordinanza custodiale (136/02) nell’ambito del
medesimo procedimento per il reato di usura in danno di Docimo Giuseppe, la
custodia cautelare per i capi 3) (usura in danno di Paese Mario) e 4) (usura in danno
di Eraldo Perri), e che le sentenze prodotte riguardavano solo i reati aventi come
persone offese il Docimo (per cui era intervenuta l’assoluzione) e il Perri (per cui era
intervenuta la condanna a mesi otto di reclusione).
Conseguentemente, poiché la parte istante non si era attivata per reperire il
documento, alla luce di talune pronunzie di questa Corte di legittimità, veniva
rigettata l’istanza di riparazione in questione.
Il ricorrente deduce la violazione di legge ed il vizio motivazionale per travisamento
del fatto, assumendo che era oggettivamente impossibile documentare il
provvedimento definitorio relativo al predetto capo di imputazione n. 26 (usura in
danno di Paese Mario) non essendo l’istante mai stato giudicato per tale imputazione
e sostiene che la carenza probatoria avrebbe dovuto indurre il Giudice della
riparazione ad attivare il potere-dovere di acquisire d’ufficio la necessaria
2

contestati con l’ordinanza 136/02 e condannato alla pena di anni uno (con pena

documentazione al fine di verificare la sussistenza di tutte le condizioni oggettive cui è
subordinato l’accoglimento dell’istanza.
Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso per
l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e va respinto.
E’ vero che, come accertato dalla Corte territoriale, essendo stata emessa la misura
cautelare anche per il capo n. 26 (delitto di usura in danno di Paese Mario) finchè non

la dovuta verifica della ricorrenza dei presupposti per la legittimità della proposizione
della richiesta di riparazione e del relativo accoglimento.
Anzi, a ben vedere, poiché non vi era alcuna dimostrazione della definizione ai sensi
dei commi 1, 2 e 3 dell’art. 314 c.p.p., in relazione al capo n. 26 l’istanza era
addirittura ab origine improponibile.
Orbene, sullo specifico punto dedotto con il ricorso, questa Corte si è anche di recente
pronunciata affermando che nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta
detenzione il giudice deve rigettare l’istanza se le parti non ottemperino al suo invito
ad integrare la documentazione presentata, trovando applicazione le regole del
processo civile ed essendo, pertanto, preclusi al giudicante gli accertamenti di ufficio
(Cass. pen. Sez. IV, n. 2429 del 13.12.2011, Rv. 251738)
Infatti, il procedimento per riparazione da ingiusta detenzione, come disciplinato dagli
artt. 314 e ss. c.p.p., pur essendo disciplinato dal codice di procedura penale, (v.
Sezioni unite 9.7.2003, n. 35760, Azgejui, Rv. 225471) ha prevalente natura
civilistica, benchè il principio civilistico della disponibilità delle prove in capo alle parti
vada coordinato con la specifica natura del procedimento per la riparazione della
ingiusta detenzione che, riguardando un rapporto obbligatorio di diritto pubblico, non
può non avere incidenza anche sul suddetto principio civilistico sicchè, quanto
all’acquisizione documentale ritenuta necessaria, il giudice della riparazione ben può
procedere ad attività integrativa di ufficio ma i suoi poteri officiosi non possono
giammai totalmente sovrapporsi all’onere che incombe sulle parti, se non di provare i
fatti costitutivi o quelli estintivi (o modificativi), quanto meno di allegare le
circostanze idonee a contrastare la contrapposta tesi; allegazioni sulle quali potranno
poi esercitarsi i poteri di accertamento attribuiti al giudice.
In alternativa, il giudice della riparazione correttamente può invitare la parte ad
integrare la documentazione presentata. “In tale seconda ipotesi, l’invito del giudice
rivolto alla parte (riconducibile al disposto dell’art. 210 c.p.c.) presuppone la mancata
prova, a quel momento, della sussistenza dei presupposti di legge per il positivo
accoglimento della domanda, presupposti che dalla legge sono indicati sia nel
passaggio in giudicato della sentenza assolutoria sia nella mancanza di dolo o colpa

3′

venga dimostrata la definizione del procedimento anche per tale capo non è possibile

grave dell’istante nella determinazione ed instaurazione del suo stato detentivo. Ove
la parte non ottemperi a tale invito del giudice, senza addurre giustificazione alcuna, e
rimanga, perciò, del tutto inerte, viene sottratta al giudice medesimo la possibilità di
accertare, come la legge impone, quel presupposto, con la conseguenza che sulla
positiva sussistenza dello stesso viene a mancare ogni prova che possa abilitare
all’accoglimento dell’istanza, la quale, in mancanza appunto della comprovata
sussistenza anche di tale presupposto, legittimamente viene rigettata dal giudice”
(Sez. IV, n. 3041 del 24.5.2000, Rv. 216735, richiamata anche nell’ordinanza

Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 28.11.2013

impugnata).

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA