Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1551 del 21/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1551 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SBRAGA GIOVANNI N. IL 27/07/1951
avverso l’ordinanza n. 96/2011 CORTE APPELLO di ROMA, del
27/03/2012
sentita la rjaione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
lette/se • e le conclusioni del PG Dott. t; ‘ t-3 j) ( yy,),..
L

oLLP

Uditi difensor Avv.;

/

Data Udienza: 21/11/2013

Ritenuto in fatto

Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’istanza di
riparazione per ingiusta detenzione in carcere subita da SBRAGA Giovanni dal 16
settembre al 15 dicembre 1992, nell’ambito di un procedimento in cui erano stati
contestati all’istante, nella qualità di sindaco di Subiaco, i reati di abuso di atti di ufficio,

falsità ideologica , turbata libertà degli incanti.

Il giudice della riparazione, nel rigettare l’istanza, osservava che : l’ordinanza di custodia
cautelare era stata emessa per tutti i reati sopra indicati, fatto eccezione per quello di cui
all’art. 416 c.p.; il Tribunale di Roma, con sentenza in data 18.1.2000, aveva dichiarato
non doversi procedere nei confronti dello Sbraga ( e di altri coimputati) in ordine a tutti i
delitti di cui all’art. 323 c.p e a quello di cui agli artt. 319, 319 bis, 322 c.p. per essere gli
stessi estinti per prescrizione; con sentenza in data 11.1.2010 il medesimo Tribunale
aveva assolto l’imputato da tutte le altre imputazioni con la formula perché il fatto non
sussiste.
Ciò premesso, rigettava l’istanza sul duplice rilievo che tutti i titoli dei reati contestati
consentivano l’emissione di un’ ordinanza di custodia cautelare e che l’intervenuta
sentenza di prescrizione era comunque ostativa al diritto alla riparazione.

Avverso la citata ordinanza propone ricorso per cassazione l’ interessato articolando un
unico motivo, con il quale sostiene la violazione di legge con riferimento all’art. 314
c.p.p, sul rilievo che il giudice della riparazione aveva trascurato di prendere in
considerazione che con riferimento al reato più grave contestatogli, quello di concussione,
era intervenuta sentenza di assoluzione, così omettendo di considerare se quel reato
avesse determinato l’adozione del provvedimento cautelare.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha ritualmente depositato una memoria difensiva
con la quale, facendo riferimento al disposto normativo dell’art. 314, comma 4, c.p.p., che
esclude il diritto alla riparazione nell’ipotesi in cui la detenzione sia stata subita anche in
base ad altro titolo, chiede il rigetto del ricorso.

E’ stata depositata memoria difensiva nell’interesse del ricorrente con la quale è stata
ricostruita, anche mediante produzione documentale, la vicenda giudiziaria di Giovanni
Sbraga, sottolineando che all’esito del lunghissimo dibattimento l’istante era stato assolto
da tutte le imputazioni- tra le quali non figurava il delitto di concussione- poste a
fondamento della misura cautelare, con la formula perché “il fatto non sussiste” e che la
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corruzione aggravata per un atto contrario ai doveri di ufficio, associazione a delinquere,

dichiarazione di estinzione per prescrizione era intervenuta solo per il delitto di abuso
d’ufficio, per il quale la mancata rinuncia alla prescrizione era riconducibile ad una mera
svista dell’interessato, giustificata dal frastagliamento delle contestazioni e dei processi.
Si rilevava, altresì, che proprio alla luce dell’assoluzione per le quattro imputazioni e per il
reato più grave, la misura cautelare imposta risultava ingiusta; si concludeva per
l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Il ricorso è infondato e, quindi, va rigettato in conformità delle conclusioni del Procuratore
generale presso questo Ufficio.

In via preliminare va chiarito, alla luce dell’attenta ricostruzione della vicenda operata con
la memoria difensiva, e dalla lettura degli atti, imposta dalla natura della doglianza, che la
dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione ha riguardato soltanto il
reato di abuso ~di ufficio e non quelli di corruzione aggravata per un atto contrario ai
doveri di ufficio, falsità ideologica e turbata libertà degli incanti, per i quali è stata
pronunciata sentenza di assoluzione con la formula perché il fatto non sussiste.

Tale precisazione non modifica però i termini della questione giacchè anche il reato di
abuso Igia di ufficio, attesi i limiti edittali, all’epoca, costituiva titolo pienamente
legittimo per l’emissione e/o il mantenimento del provvedimento cautelare.

E’ in proposito pacifico che, nel caso di processo cumulativo, avente ad oggetto cioè più
imputazioni, se il provvedimento restrittivo della libertà è fondato (come nella specie) su
più contestazioni, il proscioglimento con formula non di merito anche da una sola tra
queste, semprechè autonomamente idonea a legittimare la compressione della libertà,
impedisce il sorgere del diritto, irrilevante risultando il pieno proscioglimento dalle altre
imputazioni ( v. ex pluribus, Sezione IV, 26 marzo 2009, n. 27466, Marino, rv. 245108 ed
i riferimenti in essa contenuti).

Il richiamato principio di diritto è pienamente applicabile nel caso di specie, in
considerazione dell’intervenuto proscioglimento dello Sbraga dal reato di cui all’art. 323
c.p. per essere lo stesso estinto per prescrizione, giacchè, come sopra evidenziato, il
reato di abuso ilaTt di ufficio costituiva, all’epoca, anche

ex se solo, titolo legittimante

l’avvenuta restrizione della libertà .

Mentre è considerazione inconferente, riguardante altra fattispecie e pertanto
chiaramente irrilevante, quella, contenuta nel ricorso introduttivo, secondo la quale il

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Considerato in diritto

giudice della riparazione non avrebbe tenuto conto che nel caso in esame era intervenuta
sentenza di assoluzione con la formula piena per il più grave dei reati contestati, quello di
concussione ex art. 317 c.p e che in relazione a tale fattispecie il giudicante aveva omesso
di verificare se era stata adottata la misura cautelare.

Siffatta deduzione difensiva, oltre a fare riferimento ad un reato ( quello di concussione)
che non risulta contestato, evoca impropriamente la sentenza della Corte Costituzionale

dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 314 c.p.p. “nella parte in cui non risulta
previsto il diritto all’equa riparazione allorquando la pena definitivamente inflitta
all’imputato, ovvero oggetto di una preclusione processuale che la sottragga a riforma
nei successivi gradi di giudizio, risulti inferiore al periodo di custodia cautelare sofferto”.
La declaratoria di incostituzionalità deve, invero, essere così intesa in virtù del richiamo,
contenuto nel dispositivo della sentenza stessa, a “quanto precisato in motivazione”.

Come emerge dalla citata pronuncia, il Giudice delle leggi ha ritenuto che non fosse
possibile dare un’interpretazione “costituzionalmente orientata” della norma citata ma rifacendosi alla sua precedente giurisprudenza ed in particolare alle decisioni che avevano
riaffermato la natura “servente” della custodia cautelare rispetto al perseguimento delle
finalità del processo e alla necessità di bilanciare gli interessi in gioco (esigenze di tutela
della collettività e temporaneo sacrificio della libertà personale per chi non sia stato ancora
definitivamente giudicato colpevole)- è pervenuto alla conclusione che ove “la custodia
cautelare abbia ecceduto la pena successivamente irrogata in via definitiva è di immediata
evidenza che l’ordinamento, al fine di perseguire le predette finalità, ha imposto al reo un
sacrificio direttamente incidente sulla libertà che, per quanto giustificato alla luce delle
prime, ne travalica il grado di responsabilità personale.”

E ha concluso precisando che “solo in apparenza la posizione di chi sia stato prosciolto nel
merito dell’imputazione penale si distingue da quella di chi sia stato invece condannato
(quanto, ovviamente, al solo giudizio circa l’ingiustizia della custodia cautelare che
soverchi la pena inflitta)” perché in entrambi i casi “l’imputato ha subito una restrizione
del proprio diritto inviolabile. In entrambi i casi, pertanto, ricorre l’obbligo di indennizzare
il pregiudizio”.

Il Giudice delle leggi ha, pertanto, affermato il principio della indennizzabilità della
custodia cautelare che abbia avuto una durata superiore alla pena inflitta o a quella che
avrebbe potuto essere inflitta (come era avvenuto nel caso sottoposto alla Corte
costituzionale).

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11 giugno 2008 n. 219, che, nel risolvere positivamente l’incidente di costituzionalità, ha

Nel caso in esame, tale situazione non è stata neanche dedotta dal ricorrente, né
comunque, risulta dagli atti.

Nemmeno rileva, nel caso in esame, il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa
Corte ( v. sentenza 30 ottobre 2008, Pellegrino) avente ad oggetto lo stesso processo che
aveva dato luogo all’incidente di costituzionalità sollevato dalle medesime Sezioni unite.

ritenendo indennizzabile il periodo di detenzione che superava la condanna inflitta in primo
grado e che non avrebbe potuto essere determinata in misura superiore in mancanza
dell’appello del pubblico ministero.

L’indennizzabilità del periodo di custodia cautelare eccedente il limite della condanna è pur
essa condizionata, però, alla luce della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art.
314 c.p.p., all’accertamento del fatto che l’interessato non abbia dato causa, per dolo o
colpa grave, alla detenzione ( v. in tal senso, Sezioni unite, D’Ambrosio, 27 maggio 2010,
n. 32383, rv. 247664)

La decisione impugnata è, pertanto, in linea con questi principi laddove il giudice della
riparazione ha ancorato il diniego dell’indennizzo al principio di diritto secondo il quale
nelle ipotesi di imputazioni plurime, l’assoluzione con formula piena o l’archiviazione da
uno dei reati non è sufficiente a determinare l’insorgenza del diritto alla riparazione,
qualora la custodia cautelare sia stata applicata anche per altri reati il cui esito sia stato
diverso.

Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali. La genericità degli argomenti difensivi contenuti nella
memoria di costituzione dell’Avvocatura Generale dello Stato costituisce grave ed
eccezionale ragione che giustifica la compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Compensa
le spese tra le parti.
Così deciso nella camera di consiglio in data 21 novembre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

La S.C. si è, infatti, limitata a recepire il principio affermato dalla Corte Costituzionale

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