Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 155 del 27/11/2012


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 155 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Sangiorgi Carlo,
avverso la sentenza 11.10.11 della Corte d’Appello di Ancona;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Antonio Manna;
udito il Procuratore Generale nella persona del Dott. Aldo Policastro, che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore delle costituite parti civili Anna Sangiorgi e Mauro Raimondi Avv. Paolo Filippo Biancofiore -, che nell’associarsi alle richieste del PG ha
depositato conclusioni scritte e nota spesa cui si è riportato;
udito il difensore del ricorrente – Avv. Mauro Mengucci -, che ha concluso per
l’annullamento dell’impugnata sentenza in virtù dei motivi di cui al ricorso.

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 6.2.07 il Tribunale di Pesaro condannava Carlo Sangiorgi alla
pena di euro 300,00 di ammenda per il reato p. e p. ex art. 660 c.p.c. e a quella di
anni due di reclusione ed euro 700,00 di multa per il delitto di tentata estorsione
continuata ai danni della sorella Anna e del cognato Mauro Raimondi, nonché al
risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.

Data Udienza: 27/11/2012

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Con sentenza 11.10.11 la Corte d’Appello di Ancona, dichiarata l’avvenuta
prescrizione del reato di cui all’art. 660 c.p. ed esclusa la continuazione interna
nel delitto di estorsione, rideterminava la pena in anni uno e mesi otto di
reclusione ed euro 400.00 di multa, confermando nel resto le statuizioni emesse in
prime cure.
Questa, in sintesi, la ricostruzione della vicenda operata in sede di merito: fra

dei contrasti al momento della liquidazione della società, contrasti poi sfociati
nell’ingiusta pretesa del primo, ripetutamente esercitata con minacce e percosse,
di ottenere dalla seconda la restituzione di 300 milioni di lire di cui ella si sarebbe
impossessata — nel corso degli anni – insieme con il marito Mauro Raimondi.
Tramite il proprio difensore il Sangiorgi ricorreva contro la sentenza, di cui
chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti
dall’art. 173 co. 1° disp. att. c.p.p.:
a) omessa, contraddittoria e manifestamente illogica motivazione
sull’elemento materiale del delitto di estorsione, nella parte in cui la
sentenza impugnata — così come quella di primo grado – aveva travisato le
deposizioni di Antonietta Raimondi, del m.11o Magnifico, di Anna
Sangiorgi, di Mauro Raimondi, di Albaspina La Brecciosa, di Giovanni e
Antonio Sangiorgi, di Silvia Sandroni e di Antonio Magnotta; dal loro
esame complessivo risultava, in realtà, che i coniugi Raimondi-Sangiorgi
si erano appropriati di ingenti somme loro non spettanti e che il ricorrente
non aveva posto in essere minacce di sorta;
b) quanto all’elemento soggettivo, visto il giustificato convincimento del
ricorrente di vantare un credito verso la sorella, doveva configurarsi —
semmai — il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e non quello
di tentata estorsione, questione su cui la motivazione della Corte
territoriale appariva contraddittoria e carente; inoltre, anche a voler dare
credito all’episodio relativo alla telefonata del 19.3.02, esso andava
inquadrato quale desistenza volontaria ex art. 56 co. 3 0 c.p.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1 Il motivo che precede sub a) si colloca al di fuori del novero di quelli

spendibili mediante ricorso per cassazione.

Carlo Sangiorgi e la sorella Anna, entrambi soci della S.a.s. Gamma, erano sorti

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Si premetta che con il ricorso per cassazione si può denunciare solo un
eventuale travisamento della prova e non già un travisamento del fatto, che attiene
alla generale ricostruzione della vicenda alla luce delle acquisizioni processuali e
che non può dedursi come vizio alla luce dell’art. 606 co. l lett. e) c.p.p.,
neppure dopo la modifica apportata dalla legge n. 46/2006.
In caso di denunciato travisamento della prova questa Corte Suprema, lungi dal

prove), prende in esame la prova stessa solo per verificare che il relativo
contenuto sia stato veicolato senza distorsioni all’interno della sentenza.
In proposito la giurisprudenza (cfr. Cass. Sez. III n. 39729 del 18.6.2009, dep.
12.10.2009, rv. 244623; Cass. n. 15556 del 12.2.2008, dep. 15.4.2008; Cass. n.
39048/2007, dep. 23.10.2007; Cass. n. 35683 del 10.7.2007, dep. 28.9.2007; Cass.
n. 23419 del 23.5.2007, dep. 14.6.2007; Cass. n. 13648 del 3.4.06, dep.
14.4.2006, ed altre) può considerarsi ormai consolidata.
Inoltre la denuncia di travisamento della prova incontra ulteriori limiti, non
rispettati nel caso di specie.
Il primo consiste nella possibilità di dedurre tale vizio, in ipotesi di doppia
pronuncia conforme, solo nel caso in cui il giudice di appello, al fine di
rispondere alle censure contenute nell’atto di impugnazione, abbia richiamato atti
a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice, ostandovi altrimenti il
limite del devoluto, che non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di
legittimità (cfr. ad es. Cass. Sez. Il n. 24667 del 15.6.2007, dep. 21.6.2007; Cass.
Sez. II n. 5223 del 24.1.2007, dep. 7.2.2007; Cass. Sez. H n. 42353 del
12.12.2006, dep. 22.12.2006, e numerose altre).
Nella specie, a fronte di una doppia pronuncia conforme in punto di penale
responsabilità del Sangiorgi per il delitto di tentata estorsione, la Corte territoriale
non ha valorizzato ai fini della decisione atti a contenuto probatorio diversi da
quelli esaminati in prime cure.
Il secondo limite è dato dal rilievo che, nel dedurre un travisamento della prova,
la parte deve necessariamente trascriverla od allegare in copia il documento in cui
essa è consacrata, evidenziando l’esatto passaggio in cui si annida il vizio:
diversamente, il ricorso non è autosufficiente (cfr. Cass. Sez. F n. 32362 del
19.8.10, dep. 26.8.10).

procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle

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Nel caso di specie il ricorrente non ha riprodotto integralmente né allegato

i

verbali delle testimonianze, limitandosi a riassumerne parzialmente il contenuto e
a fornirne, poi, un’interpretazione favorevole alla propria tesi difensiva.
In sostanza, il ricorso rimette in discussione la valutazione in punto di fatto
dell’intera istruttoria dibattimentale, sollecitandone una terza lettura mediante
approccio diretto al materiale di causa, il che è precluso a questa S.C.

ricorso, in cui ci si limita a ribadire l’inammissibilità di forme surrettizie di
riesame del merito e ad escludere, in quel caso, qualsivoglia ipotesi di
travisamento della prova.

2- Il motivo che precede sub b) è manifestamente infondato giacché la sentenza
di prime cure, condivisa sul punto da quella di secondo grado, ha espressamente
escluso la derubricazione della tentata estorsione nel delitto di cui all’art.

3e c.p.

in base alla ritenuta arbitrarietà della pretesa del Sangiorgi, pretesa che secondo il
giudice del merito non trovava alcun aggancio.
È appena il caso di rammentare che ai fini della configurabilità dell’elemento
psicologico del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni è necessario che
il soggetto attivo agisca nel ragionevole convincimento della legittimità del
proprio operato (cfr., ex aliis, Cass. Sez. VI n. 41368 del 28.10.2010, dep.
23.11.2010).
A ciò la sentenza d’appello ha aggiunto — conformemente a costante
insegnamento di questa Corte Suprema — che nel delitto p. e p. ex art. 393 c.p. la
condotta violenta o minacciosa è strettamente connessa alla finalità dell’agente di
far valere il preteso diritto, rispetto al cui conseguimento si pone come elemento
accidentale; pertanto, essa non può consistere in manifestazioni sproporzionate e
gratuite di violenza, in presenza delle quali deve, al contrario, ritenersi che la
coartazione dell’altrui volontà sia finalizzata ad ottenere un profitto ex se ingiusto,
conseguentemente configurandosi il più grave delitto di estorsione (cfr. Cass. Sez.
II n. 35610 del 27.6.2007, dep. 26.9.2007, rv. 237992; conf. Cass. N. 14440/07,
rv. 236457; Cass. n. 47972/2004, rv. 230709; Cass. n. 10336/04, rv. 228156;
Cass. n. 29015/02, rv. 222292).
Anche in tal caso la diversa lettura sollecitata dal ricorrente per dimostrare,
invece, la ragionevolezza del proprio convincimento richiederebbe un approccio

Né rileva il precedente di Cass. 21.12.2011 n. 47504 invocato a pag. 2 del

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diretto agli atti del processo per una loro nuova delibazione, operazione non
consentita in sede di legittimità.
Lo stesso dicasi in relazione alla desistenza in cui, secondo il ricorrente,
andrebbe inquadrato l’episodio relativo ad una telefonata del 19.3.02 (i cui tratti
non vengono richiamati neppure per sommi capi nell’atto di impugnazione in

3- In conclusione, il ricorso è inammissibile. Consegue, ex art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a
favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in
euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i
principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.
Segue altresì la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di parte civile,
liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale,
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle Ammende, nonché alla
rifusione in favore delle parti civili Sangiorgi Anna e Raimondi Mauro delle spese
del grado, che liquida in complessivi euro 3.000,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, in data 27.11.12.

esame).

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