Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 155 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 155 Anno 2016
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MIGGIANO FRANCO N. IL 16/04/1946
MONSELLATO AGATA N. IL 05/02/1947
MIGGIANO GIUSEPPE N. IL 07/07/1965
MIGGIANO IVAN ANTONIO N. IL 29/07/1971
MIGGIANO GIANLUCA N. IL 04/08/1975
MIGGIANO SALVATORE CRISTIAN N. IL 31/01/1973
avverso il decreto n. 12/2013 CORTE APPELLO di LECCE, del
07/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI
DEMARCHI ALBENGO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 25/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Miggiano Franco, Monsellato Agata, Miggiano Giuseppe, Miggiano
Ivan Antonio, Miggiano Gian Luca, Miggiano Salvatore Christian
propongono ricorso per cassazione contro l’ordinanza della Corte di
appello di Lecce del 7 marzo 2015, con la quale è stato rigettato
l’appello contro il decreto del tribunale di Lecce del 15 febbraio 2012,

Miggiano Franco, sebbene tutti di proprietà della moglie Monsellato
Agata.
2.

In primo luogo, i ricorrenti ribadiscono le due eccezioni di illegittimità
costituzionale dell’articolo 12-sexies del decreto legge 306-1992, già
proposte del procedimento numero 38.262-2015, in trattazione
davanti a questa quinta sezione della suprema Corte in data odierna.
Con la prima eccezione deducono la violazione degli articoli 3, 42, 27
della costituzione, nella parte in cui non fissa un principio di
corrispondenza tra la confisca e i beni riconducibili alla sola
sproporzione, consentendo invece la confisca di tutti i beni del
soggetto proposto o a lui riconducibili e dunque anche di quelli
legittimamente acquisiti, contrariamente a quanto previsto per la
confisca per equivalente. Con la seconda eccezione, sollevano la
questione di legittimità costituzionale dell’articolo 12-sexies nella
parte in cui non

fissa un termine

entro il quale l’autorità

proponente debba avanzare la propria richiesta di confisca.
3. In relazione al contenuto della decisione, sollevano i seguenti motivi
di ricorso:
a. violazione degli articoli 187, 192 del codice di procedura
penale, 936 del codice civile e 111 della costituzione con
riferimento alla individuazione della proprietà dei beni
richiamati nell’ordinanza ai numeri 14-27, totalmente privi di
accatastamento e formale intestazione….
b. Violazione di legge con riferimento agli articoli 187-192 del
codice di procedura penale, 521 dello stesso codice, con
riferimento agli articoli 4 e 16 del decreto legislativo 1592011, nonché con

riferimento all’articolo

111 della

costituzione in relazione gli indizi di appartenenza ad una
associazione mafiosa.
1

con cui è stata disposta la confisca di alcuni beni nella disponibilità di

c.

Violazione di legge con riferimento agli articoli 192 del codice
di procedura penale, 111 della costituzione, anche in relazione
alle modalità di analisi scelte dalla Corte ed ai criteri utilizzati
per la determinazione dei costi resisi necessari all’epoca per la
costruzione dei beni, nonché al contrasto redditi-patrimonio.

d. Violazione degli articoli 192 del codice di procedura penale e
111 della costituzione, anche in relazione alle modalità di
analisi scelte dalla Corte e per aver escluso la stessa dai

vendita di pezzi di ricambio per auto.
4.

Il procuratore generale presso questa suprema Corte, dottor Gaeta,
ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

5. Il 18.11.2015 l’avv. Bellisario ha depositato memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Le conclusioni del procuratore generale vanno condivise quanto ad
infondatezza dei ricorsi; deve preliminarmente dichiararsi la
manifesta infondatezza delle questioni di legittimità proposte. Sul
punto, questa Corte si è già pronunciata (“È manifestamente
infondata, in riferimento agli artt. 3, 24, 27, 42 e 111 Cost., la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 12-sexies D.L. n. 306
del 1992, conv. con modd. nella L. n. 356 del 1992, nella parte in
cui, a differenza di quanto previsto dall’art. 2-ter L. n. 575 del 1965,
consente la confisca anche oltre il biennio dalla data di esecuzione del
sequestro dei medesimi beni, nonché nella parte in cui, secondo
l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità, può disporsi la
confisca di beni nella disponibilità del condannato a prescindere da
qualsiasi nesso di pertinenzialità o cronologico con i delitti contestati
ed anzi con l’onere di allegazione o dimostrazione probatoria a carico
dello stesso condannato circa la liceità della provenienza. La diversità
di disciplina del sequestro e della confisca dei beni nel processo
penale, instaurato per l’accertamento della responsabilità
dell’imputato in ordine ad uno dei delitti di cui all’art. 12-sexies
predetto, rispetto alla parallela disciplina del sequestro e della
confisca nel procedimento di prevenzione ex art. 2-ter L. n. 575 del
1965, è, infatti, giustificata dalla obiettiva disomogeneità, strutturale

2

redditi quelli scaturenti dall’attività di autodemolizione e

e funzionale, delle situazioni procedimentali considerate; né
contrasta con i parametri costituzionali suindicati la ragionevolezza
della presunzione di provenienza illecita dei beni patrimoniali, posto
che l’elemento della “sproporzione” deve, comunque, essere
accertato attraverso una ricostruzione storica della situazione dei
redditi e delle attività economiche del condannato al momento dei
singoli acquisti, il quale può esporre fatti e circostanza specifiche e
rilevanti, indicando puntualmente le proprie giustificazioni (v.Corte

Rv. 240091) per cui, non essendovi motivi per discostarsi dal
precedente orientamento, si fa integrale rinvio alla relativa
motivazione.
2. Va, poi, condiviso quanto affermato dal giudice di prime cure, il quale
ha osservato che i principi costituzionali e quelli contenuti nella
Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo non impongono che sia
imposto un limite temporale alla possibilità di chiedere la confisca, né
l’assenza di un tale limite appare irragionevole (considerata la
particolare natura e finalità del procedimento di prevenzione) e tale
da determinare una compromissione del diritto di difesa, nel fornire
la prova di legittima provenienza dei beni. Invero, la difesa può
ricorrere a qualsiasi mezzo di prova, non solo documentale, di cui a
distanza di molti anni potrebbe essere non agevole il reperimento,
ma anche a prove orali ed il giudice, nel valutare le stesse, deve
tener conto delle difficoltà di fornire una prova precisa in relazione a
redditi percepiti o a spese sostenute in anni assai risalenti. In ogni
caso, la questione appare inammissibile per difetto di rilevanza nel
giudizio a quo, atteso che la difesa non ha addotto concrete e reali
impossibilità di fornire la prova di specifici elementi e circostanze
rilevanti a causa del tempo decorso.
3. Ciò premesso, va detto che il primo motivo di ricorso è
manifestamente infondato; in assenza di intestatari formali per alcuni
degli immobili sequestrati, il giudice di merito ha fatto correttamente
riferimento alle norme sull’accessione, essendo irrilevante il fatto che
alcuni di questi beni siano attualmente occupati da soggetti terzi, in
quanto il provvedimento ablativo non può che essere indirizzato
contro colui che ne risulta formale intestatario e quindi, in assenza di
un titolo autonomo ed idoneo di proprietà dell’immobile, al
proprietario del terreno su cui esso sorge, ai sensi dell’articolo 934

3

cost. n. 18 del 1996)”; Sez. 1, n. 21357 del 13/05/2008, Esposito,

del codice civile; l’art. 936 c.c., d’altronde, non introduce una ipotesi
di trasferimento od acquisizione a titolo originario, ma semplicemente
una ipotesi di regolamentazione dei rapporti tra il proprietario ed il
terzo costruttore. L’accusa, pertanto, null’altro doveva provare in
merito alla riconducibilità degli immobili alla Monsellato, specie in
mancanza di accatastamento e dunque di formale intestazione dei
beni. Perciò ben ha fatto la Corte d’appello a dichiarare inammissibile
il ricorso dei terzi, in quanto non avevano provato di aver alcun

con data certa. D’altronde, l’acquisto per accessione delle opere in
favore del proprietario del suolo, ai sensi dell’art. 934 cod. civ., si
realizza istantaneamente, senza che occorra alcuna manifestazione di
volontà di questo volta a ritenere quanto edificato sul proprio terreno
(Sez. 2, Sentenza n. 11742 del 15/05/2013, Rv. 626227) ed “È
legittima la confisca di un fabbricato costruito su un terreno
sottoposto a sequestro e poi a confisca, ancorché non menzionato
nell’originario provvedimento di sequestro e nel successivo
provvedimento di confisca, in quanto, in virtù del principio di
accessione, i beni costruiti sul fondo appartengono al relativo
proprietario, con la conseguenza che l’edificazione di un nuovo
fabbricato resta automaticamente esposta alla misura patrimoniale
che colpisce il bene principale, senza che ciò comporti alcun
peggioramento della misura in atto”; cfr. sez. 5, n. 44994 del
27/10/2011 – dep. 02/12/2011, Albanese, Rv. 251442). In più, già il
giudice di prime cure diceva che l’affermazione che gli immobili
sarebbero stati realizzati dai figli era generica ed apodittica e che
risultava, invece, che era stato Miggiano Franco il committente delle
opere relative alla costruzione degli immobili (cfr. pag. 7), così
difettando lo stesso presupposto di fatto su cui si fonda la censura.
4. Il secondo motivo di ricorso, con il quale si eccepisce la violazione
dell’articolo 521 del codice di procedura penale, in considerazione del
fatto che la proposta originaria indicava quale fonte della pericolosità
sociale qualificata l’appartenenza di Miggiano Franco ad un sodalizio
criminale di tipo mafioso, mentre la Corte di merito ha confermato la
confisca sulla base di una pericolosità generica, sia sufficiente
rammentare che, per costante giurisprudenza, ciò non viola il
principio di correlazione: “Nel procedimento di prevenzione, non viola
il principio di correlazione tra contestazione e pronuncia, ritenere
sussistente la pericolosità generica in luogo di quella qualificata
4

diritto reale sull’immobile, validamente acquisito tramite atto scritto e

originariamente ipotizzata, purché sugli elementi fattuali fondanti la
decisione sia stato garantito il contraddittorio” (Sez. 1, n. 32032 del
10/06/2013 – dep. 23/07/2013, De Angelis, Rv. 256451). Nel caso di
specie, non vi è stata, da parte dei ricorrenti, alcuna specifica
contestazione circa asserite lesioni del contraddittorio.
5. Il terzo motivo di ricorso censura il provvedimento in relazione alle
modalità di analisi ed ai criteri utilizzati per la determinazione dei
costi di costruzione, in relazione ai redditi del nucleo familiare;

Corte e corredate di idonea motivazione ed in ogni caso non si versa
nel caso di motivazione inesistente o meramente apparente, che solo
legittima la censura motivazionale in sede di legittimità contro i
provvedimenti cautelari di natura reale. Ciò che, in concreto,
ottengono ottenere i ricorrenti è la richiesta di nuova valutazione di
elementi di fatto con riferimento ai costi di costruzione ed ai risparmi
ottenuti mediante l’attività diretta dei membri della famiglia, ma la
sede di legittimità non è il luogo opportuno per contestazioni di
merito, tanto più se ancorate a valutazioni di tipo tecnico confluite in
una perizia.
6. Infine, è inammissibile anche l’ultimo motivo di ricorso, relativo alla
esclusione dai redditi di lecita provenienza e di quelli scaturenti
dall’attività di autodemolizione e vendita di pezzi di ricambio per
auto; sul punto è lo stesso ricorso a riconoscere come la suddetta
attività non abbia alcun corredo documentale e che pertanto la
circostanza, che è stata peraltro adeguatamente valutata nella
opportuna sede di merito, non possa essere oggetto di adeguata
valutazione nell’ambito dei parametri di valutazione relativi ai redditi
leciti familiari.
7. In conclusione, considerato che la sentenza di annullamento ha
censurato esclusivamente la mancanza di motivazione su alcuni
redditi del nucleo familiare, senza individuare violazioni di legge nelle
modalità di calcolo e considerato altresì, da un lato, che la Corte ha
rimediato a tali omissioni, motivando in modo specifico sui predetti
redditi, dall’altro, che il ricorso per cassazione contro i provvedimenti
cautelari di natura reale non può essere dedotto per vizi della
motivazione (peraltro esistente e priva di vizi logici), ne consegue,
sotto il primo profilo, la infondatezza del ricorso e la inammissibilità
dello stesso nella parte in cui lamenta il vizio di motivazione, non
5

trattasi di censura attinente a valutazioni di merito operate dalla

prospettabile in questa sede. Ne consegue che i ricorsi devono essere
rigettati, con condanna dei ricorrenti alle spese del procedimento.

p.q.m.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

Così deciso il 25/11/2015

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