Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15498 del 11/02/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 15498 Anno 2013
Presidente: GRASSI ALDO
Relatore: SAVANI PIERO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DI DIA FRANCO N. IL 25/11/1982
avverso la sentenza n. 3021/2010 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 31/05/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;

r-

Data Udienza: 11/02/2013

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza emessa in
data 10 marzo 2010 dal Tribunale di Marsala, appellata da DI DIA Franco, dichiarato responsabile del delitto di violenza privata, commesso il 31 gennaio 2007.
Propone ricorso per cassazione l’imputato deducendo difetto di motivazione sulla responsabilità
e mancata applicazione delle attenuanti generiche.
Osserva il Collegio che le censure prospettate con il primo motivo sono inammissibili in quanto
tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi all’esclusiva competenza del giudice di merito e
già adeguatamente valutati sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello.
Nel caso in esame, difatti, i giudici del merito hanno ineccepibilmente osservato che la prova del
fatto ascritto all’imputato riposava nella testimonianza della persona offesa, la cui credibilità è
adeguatamente e sufficientemente argomentata, con riferimento a più deposizioni testimoniali,
né paiono decisive le indicazioni del ricorrente sul contrasto fra la motivazione e la deposizione
dei testimoni.
Occorre al proposito osservare che, pur affermando l’esistenza di un vizio di contraddizione della motivazione rispetto ai dati acquisiti e cioè di “travisamento della prova”, il ricorso si pone invece come censura sul significato e sulla interpretazione di tali elementi, laddove l’unico “travisamento” prospettabile in questa sede per effetto dell’art. 606, comma 1, lettera e), nuovo testo
c.p.p. dovrebbe concernere il significante, non il significato, continuando ad essere estraneo al
giudizio di legittimità ogni discorso meramente confutativo sul significato della prova e sulla sua
capacità dimostrativa: ogni censura con la quale si prospetti in via di mera contrapposizione dialettica l’esistenza di argomenti che attengono alla plausibilità della valutazione compiuta dai
giudici del merito.
Il ricorrente si limita ad affermare che le deposizioni dei testimoni non avrebbero confermato di
aver notato l’uso di espressioni minacciose nei riguardi della p.o. per costringerla a lasciare a lui
la guida del ciclomotore — seppur ammetta che i testimoni avevano parlato di un suo atteggiamento arrogante — ma resta sul piano della valutazione della prova, dell’interpretazione dei contributi dichiarativi che non può essere effettuata fuori del contesto in cui sono inseriti, che questa
Corte non conosce e non può valutare.
E gli aspetti del giudizio interni all’ambito della discrezionalità nella valutazione degli elementi
di prova e degli apprezzamenti del fatto, attengono interamente al “merito”, e non ai possibili vizi del percorso formativo del convincimento rilevanti in questa sede. Né questo può risolversi in
una istanza di revisione delle valutazioni effettuate e, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte
dal giudice di merito, quando abbia valutato la credibilità della persona offesa, destinataria diretta delle espressioni volte a convincerla a lasciare il ciclomotore.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in E. 1.000,00#.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di E. 1.000,00# in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Ra
1’11 febbraio 2013.

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