Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1548 del 21/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1548 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SANTERAMO FRANCO N. IL 10/02/1970
avverso l’ordinanza n. 48/2010 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
05/04/2012
sentita la azione fatta dal Consigliere D tt. PATI?t A PICCIALLI;
lette/s lite le conclusioni del PG Dott.

o

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 21/11/2013

A

Ritenuto in fatto

Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Bologna, su istanza presentata da
SANTERAMO Franco ai sensi degli artt. 314 e 315 c.p.p., condannava il Ministero dell’Economia e
delle Finanze a corrispondere allo stesso la somma di € 15.340,00 euro a titolo di riparazione
per l’ingiusta detenzione di 114 giorni, di cui 26 in carcere, nell’ambito di un procedimento in cui
gli erano stati contestati i reati di rapina aggravata e porto abusivo di arma, dai quali veniva

assolto in sede di giudizio di rinvio con la formula ” per non aver commesso il fatto”.

Il giudice della riparazione riteneva che l’adozione del parametro aritmetico consentisse di

liquidare adeguatamente i danni subiti dall’istante, che non aveva dimostrato di aver subito danni
morali o patrimoniali ulteriori rispetto a quelli derivanti normalmente dallo stato detentivo.

Sotto questo profilo, veniva affermato che il Santeramo non risultava aver patito maggiormente
di altri la privazione della libertà, sul rilievo che lo stesso non era incensurato ed all’epoca della

restrizione della sua libertà personale aveva già subito condanne irrevocabili per favoreggiamento
reale tentato e per istigazione alla corruzione. Si affermava, altresì, che non era provata in alcun

modo la connessione causale tra la separazione personale dalla moglie e le problematiche relative
all’affidamento del figlio con lo stato detentivo. Si affermava, infine, che non possono farsi
rientrare nel danno per ingiusta detenzione le spese sostenute per la difesa personale in giudizio.

Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione, tramite il difensore, Santeramo Franco,
sostenendo, innanzitutto, un errore di calcolo nella determinazione della somma liquidata, sul

rilievo che i giorni di detenzione ingiustamente trascorsi dall’istante erano complessivamente 114,
di cui 88 e non 78- come erroneamente indicato dalla Corte di merito- agli arresti domiciliari.

Si lamenta, inoltre, che il giudice della riparazione, rifacendosi al mero criterio aritmetico, aveva
omesso di valutare le ulteriori conseguenze derivanti dalla ingiusta privazione della libertà sul

piano familiare, morale ed economico. Sotto tale ultimo profilo ingiustamente la Corte di merito
aveva omesso di valutare anche le conseguenze derivanti al Santeramo sul piano professionale,
oggetto di documentazione, dalla quale emergeva che a seguito della detenzione, l’istante era
stato costretto a sciogliere la società di autotrasporti e a cambiare lavoro, assumendo la qualità
di collaboratore esterno della società Centro Commercio Rottami srl, con la qualifica di
procacciatore di rottami. Si sostiene, altresì, che il giudice della riparazione non aveva tenuto
conto dei gravi pregiudizi subiti sotto il profilo della propria dignità ed immagine.
Si censura, ancora, l’ordinanza impugnata, nella parte in cui aveva affermato che lo stato di

pregiudicato costituisse un fattore atto ad escludere che il Santeramo avesse patito
maggiormente di altri la privazione della libertà personale.

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2

Si censura, infine, la decisione nella parte in cui aveva ritenuto che non possono farsi rientrare
nel danno per ingiusta detenzione le spese sostenute dal Santeramo per la difesa personale in
giudizio.

E’ stata depositata memoria di costituzione del Ministero dell’Economia e delle Finanze con la
quale è stato chiesto il rigetto del ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato sul punto relativo all’ errore nella determinazione della somma liquidata a

titolo di indennizzo per i giorni di custodia cautelare agli arresti domiciliari che, contrariamente a

quanto affermato nella ordinanza impugnata, ammontano ad un totale di 88 giorni e non 78,

come erroneamente indicato dal giudice della riparazione, per un ammontare complessivo pari ad
euro 10.384,00 ( giorni 88x 118, euro, così arrotondato il parametro giornaliero fissato in euro

117,91). L’ indennizzo complessivamente spettante al Santeramo va, pertanto, determinato nella

somma complessiva di euro 16.520,00 ( euro 6.136,00 per i giorni di ingiusta sottoposizione a
custodia cautelare in carcere ed euro 10.384,00 per i giorni di ingiusta applicazione della misura
cautelare degli arresti domiciliari).

Per il resto, il ricorso si palesa infondato.

In tema di liquidazione dell’indennizzo previsto a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione

(articolo 314 e seg. c.p.p), il canone base per la liquidazione è costituito dal rapporto tra la

somma massima posta a disposizione dal legislatore [euro 516.456,90], il termine di durata
massima della custodia cautelare [di cui all’articolo 303, comma 4, c.p.p., espresso in giorni] e la
durata dell’ingiusta detenzione patita nel caso concreto. Tale criterio aritmetico di calcolo,

rispetto al quale, in particolare, la somma che ne deriva [euro 235, 82, per ciascun giorno di

detenzione in carcere] può essere ragionevolmente dimezzata [euro 117,91] nel caso di
detenzione domiciliare, attesa la sua minore afflittività, costituisce, però, solo una base utile per
sottrarre la determinazione dell’indennizzo ad un’eccessiva discrezionalità del giudice e garantire
in modo razionale una uniformità di giudizio. Il parametro aritmetico indicato, pertanto,
costituisce uno standard che fa riferimento all’indennizzo in un’astratta situazione in cui i diversi
fattori di danno derivanti dall’ingiusta detenzione si siano concretizzati in modo medio ed
ordinario; con la conseguenza che tale parametro può subire variazioni verso l’alto o verso il
basso in ragione di specifiche contingenze proprie del caso concreto. In ogni caso, al giudice è
chiesta una valutazione che pur equitativa, non può mai essere arbitraria, onde egli è tenuto ad
offrire una adeguata motivazione che dia conto, alla luce del materiale probatorio acquisito, delle
ragioni per le quali si è distaccato dai parametri standard, con l’unico limite che il frutto della sia
determinazione non può condurre allo sfondamento del tetto, normativamente fissato, dell’entità

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massima della liquidazione (cfr. Sezione IV, 16 luglio 2009- 5 novembre 2009 n. 42510, Ric.
Ministero dell’economia in proc. Morelli).

Si aggiunga che la natura equitativa della valutazione e la circostanza che la riparazione in
questione non abbia natura di risarcimento del danno- ma di semplice indennizzo in base ai
principi di solidarietà per chi sia stato ingiustamente privato della libertà personale- restringono i
margini del sindacato di legittimità sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione;
sindacato che è quindi limitato al controllo se il giudice di merito abbia logicamente motivato il

suo convincimento e non può essere esteso alla verifica della sufficienza, o insufficienza, della
somma liquidata a titolo di riparazione ( a meno che si tratti di somme palesemente simboliche o

immotivatamente incongrue, v. in senso conforme, Sezione IV, 21 febbraio 2012, Barbera, non
massimata, e 11 luglio 2007, n. 39815, Bevilacqua ).

Nella specie, il giudice, rispettando detto principio e fornendo una spiegazione in fatto qui non

rinnovabile, ha evidenziato profili oggettivi e soggettivi tali da giustificare una determinazione

della somma da liquidare in conformità al parametro aritmetico, avendo esplicitamente
richiamato le sofferenze morali e materiali – in cui vanno evidentemente ricomprese anche le

conseguenze negative sull’attività lavorativa – scaturite dalla detenzione, nonché il danno
all’immagine subito dall’interessato quali sopra ricordati, pervenendo in tal modo alla
determinazione della somma liquidata.

In tal senso è stata evidenziata l’assenza di elementi probatori in base ai quali ritenere la
sussistenza di eventuali altri danni rispetto a quelli strettamente inerenti al fatto stesso della

detenzione ed è stata, poi, rimarcata la sussistenza di precedenti penali del Santeramo, non per
giustificare una determinazione della somma in diminuzione rispetto al criterio matematico sopra

evidenziato, ma per confortare la valutazione già sopra espressa circa la mancanza di elementi da
cui inferire degli effetti pregiudizievoli diversi rispetto a quelli normalmente derivanti dallo stato
detentivo.

La somma così liquidata non assumendo, pertanto, carattere arbitrario, si sottrae al vaglio di
legittimità, involgendo una valutazione di natura equitativa riservata al giudice di merito.

Le censure mosse contro tale apprezzamento sono del tutto generiche, non essendo stati dedotti
elementi specifici idonei a far ritenere la violazione dei principi sopra indicati. Le doglianze sono
dirette, infatti, a valorizzare elementi che, secondo la prospettazione difensiva, sarebbero idonei
a dimostrare la sussistenza di ulteriori conseguenze rispetto al grave pregiudizio legato al fatto
stesso della detenzione, ulteriori conseguenze

che sono state escluse dal giudice della

riparazione con motivazione congrua e logica.

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L’ordinanza impugnata è, pertanto, in linea con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in
assenza di qualsiasi elemento idoneo a far ritenere la sussistenza di ulteriori conseguenze rispetto
al grave pregiudizio legato al fatto stesso della detenzione.

Anche la censura afferente il diniego di ricomprendere nel danno per ingiusta detenzione le spese
sostenute dal Santeramo per la difesa personale in giudizio, è infondata.

Sul punto, va rilevato che la decisione è in linea con il costante orientamento di questa Corte

secondo il quale le spese legali sostenute durante le fasi del giudizio di cognizione conclusosi con
l’assoluzione non possono trovare riconoscimento in sede di equa riparazione per ingiusta
detenzione.

Tale conclusione è fondata sulla valutazione che la riparazione per l’ingiusta detenzione non
presenta carattere risarcitorio, bensì solo restitutorio dei pregiudizi strettamente ed
inscindibilmente collegati alla privazione della libertà personale, sicché il relativo ammontare non

può essere determinato comprendendovi anche le spese di difesa sostenute nel giudizio di merito
( v. in tal senso, Sez. IV, 2 aprile 2007, n. 28082, Musicco, rv. 236827)

Per le considerazioni svolte il ricorso va accolto limitatamente alla determinazione della somma
afferente l’indennizzo per gli arresti domiciliari, con il conseguente annullamento senza rinvio

dell’ordinanza impugnata ex art. 620, lettera I), c.p.p. limitatamente all’entità dell’indennizzo, che
si determina nella somma complessiva di euro 16.520,00, mentre va rigettato nel resto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente all’entità dell’indennizzo che determina
in euro 16.520.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso nella camera di consiglio del 21 novembre 2013.

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