Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1547 del 21/11/2013
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1547 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GIORDANO GIORGIO N. IL 21/12/1954
avverso l’ordinanza n. 203/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
14/06/2011
2,
sentita la rej,azione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.; /7
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Data Udienza: 21/11/2013
Ritenuto in fatto
Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Napoli, su istanza presentata da
GIORDANO Giorgio ai sensi degli artt. 314 e 315 c.p.p., condannava il Ministero dell’Economia e
delle Finanze a corrispondere allo stesso la somma di € 2.004, 47 a titolo di riparazione per
l’ingiusta detenzione subita in carcere per il reato di associazione a delinquere dal 21.5.1998 al
17 giugno 1998, nell’ambito di un procedimento in cui gli erano stati contestati i delitti di
ed aggravata ( per il quale non era stata accolta la richiesta di misura avanzata dal PM).
associazione a delinquere ( per il quale era stata emessa la misura cautelare) e truffa continuata
Dagli atti emerge che la scarcerazione, avvenuta, come sopra indicato il 17.6.2008, era stata
determinatct dal provvedimento del Tribunale del riesame che aveva ritenuto insussistenti i gravi
indizi dell’esistenza di un’associazione a delinquere a carattere truffaldino, annullando l’ordinanza
cautelare. Emerge, altresì, che il Giordano è stato assolto già in primo grado dal reato associativo
mentre con riferimento alla truffa continuata aggravata è stata dichiarata la prescrizione, previo
riconoscimento delle circostanze attenuanti prevalenti sulla contestata aggravante (avverso tale
decisione venne proposto appello dall’imputato, che vi rinunciò successivamente con la
conseguente dichiarazione di inammissibilità dell’ atto di impugnazione).
Il
giudice della riparazione, nella quantificazione dell’indennità, applicato il parametro
matematico, osservava che doveva tenersi conto del comportamento tenuto nella vicenda dal
Giordano configurante un “fattore” colposo, non qualificabile come colpa grave, ma come “colpa
lieve”, che sicuramente aveva influito sulla emanazione del provvedimento cautelare ed era
quindi apprezzabile in termini economici per ridurre la quantificazione del diritto alla riparazione,
costituito dalle “marchiane truffe da lui commesse nella sua attività di perito liquidatore”,
ritenendo che le stesse avessero rafforzato negli inquirenti la convinzione che egli agisse
nell’ambito di un’organizzazione dedita a tale tipo di reato, capeggiata dai due coimputati, che lui
stesso, in sede di interrogatorio di garanzia, non aveva negato di conoscere.
Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione, tramite il difensore, Giordano Giorgio,
articolando tre motivi.
Con il primo ed il secondo motivo, strettamente connessi, lamenta che arbitrariamente il giudice
della riparazione aveva dedotto dagli atti processuali che il concorso nella determinazione dello
stato di detenzione fosse attribuibile anche alla condotta colposa dell’istante, il quale aveva in
ogni caso commesso le truffe ascrittegli. Si sostiene che tale conclusione contrasti con gli esiti dei
giudizi in sede penale che avevano escluso i presupposti per la emanazione della misura
cautelare. In particolare, la Corte territoriale aveva trascurato di prendere in considerazione che il
concorso nel reato associativo era stato contestato sulla base di una sola conversazione
intercettata tra parti terze in cui era stato fatto il nome del Giordano quale perito assicurativo ( e
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non liquidatore) cui affidare l’incarico per una determinata pratica assicurativa di risarcimento
danni.
Con il terzo motivo deduce, alla luce delle considerazioni suesposte, che erroneamente la Corte
territoriale aveva liquidato a titolo di indennizzo la somma di euro 2.004,47, dimezzando quanto
gli sarebbe spettato con l’applicazione del parametro aritmetico individuato da questa Corte.
Si lamenta, infine, l’erroneità della decisione laddove non aveva riconosciuto una ulteriore somma
in via equitativa per il decremento reddituale conseguente alla ingiusta detenzione.
Il ricorso è infondato.
Considerato in diritto
La giurisprudenza di legittimità, in tema di liquidazione del quantum relativo alla riparazione per
ingiusta detenzione, si è stabilmente orientata ( v. Sezioni unite, 9 maggio 2001, n. 24287,
Caridi, rv. 218975) nella necessità di contemperare il parametro aritmetico- costituito dal
rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’articolo 315, comma 2, c.p.p. (euro
516.456,90) e il termine massimo della custodia cautelare di cui all’articolo 303, comma 4, lett.
c).,c.p.p., espresso in giorni ( sei anni ovvero 2190 giorni), moltiplicato per il periodo anch’esso
espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita – con il potere di valutazione equitativa attribuito
al giudice per la soluzione del caso concreto, che non può mai comportare lo sfondamento del
tetto massimo normativamente stabilito.
Dato di partenza della valutazione indennitaria, che va necessariamente tenuto presente, è
costituito, pertanto, dal parametro aritmetico ( individuato, alla luce dei criteri so ra indic
nella somma di euro 235, 82 per ogni giorno di detenzione in carcere ed in quella
per ogni giorno di arresti domiciliari, in ragione della ritenuta minore afflittività della pena).
Siffatto parametro non è vincolante in assoluto ma, raccordando il pregiudizio che scaturisce dalla
libertà personale a dati certi, costituisce certamente il criterio base della valutazione del giudice
della riparazione, il quale, comunque, potrà derogarvi in senso ampliativo ( purchè nei limiti del
tetto massimo fissato dalla legge) oppure restrittivo, a condizione però che, nell’uno o nell’altro
caso, fornisca congrua e logica motivazione della valutazione dei relativi parametri di riferimento .
La giurisprudenza è, pertanto, costante nel ritenere che il quantum vada definito in via equitativa
( v. sul punto la già citata sentenza delle Sezioni unite Caridi), pur non dovendosi ricadere in
valutazioni arbitrarie e svincolate dai confini della ragionevolezza e della coerenza e nella scelta di
criteri di valutazione totalmente liberi. Ne consegue che – se è vero che in relazione all’entità
massima della riparazione prevista dall’art. 315, comma 2, c.p.p., si devono uniformare i
parametri che non creino contrasti liquidativi, da costituire forti disarmonie applicative della
legge- è indubbio che nel metro equitativo debbono essere presi in considerazione tutti gli
elementi da valutarsi globalmente con prudente apprezzamento.
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In questa prospettiva non può ritenersi irrilevante- anche in considerazione della persona
giuridica pubblica che provvede all’erogazione della somma- il contributo causale, anche se non
grave, dato dall’interessato all’applicazione della misura cautelare e parificare tale sua condotta a
quella di chi non ha in alcun modo favorito con la propria condotta la detenzione, poi risultata
ingiusta ( v. da ultimo in tal senso, Sezione IV, 13 dicembre 2011, n. 2430, Popa, rv.251739;
Sezione IV, 12 dicembre 2003, n. 3530/2004, Fiorentino, non massimata e 20 maggio 2008, n.
27529, Okumboro ed altro, rv. 205208 ).
Il Collegio è consapevole che sul punto la giurisprudenza più remota di questa Corte non era
uniforme, in quanto si sosteneva che l’unica colpa rilevante in tale procedimento fosse la colpa
grave, l’unica espressamente richiamata dalla normativa in esame, con implicita esclusione degli
altri livelli di colpa, laddove veniva, altresì, sottolineato, al fine di escludere il rilievo della colpa
“lieve”, la distinzione tra il risarcimento del danno ed il pagamento di un indennizzo, quale quello
previsto dall’art. 314 c.p.p. ( v. in tal senso, Sezioni unite, 13 gennaio 1995, n. 1, Ministero
Tesoro in proc. Castellani, rv. 201035)
L’opposto orientamento, condiviso da questo Collegio, rimarca che dal tenore complessivo della
normativa non si evince che le altre forme di colpa siano irrilevanti per la persona prosciolta ed in
precedenza ingiustamente sottoposta a misura detentiva. Quanto alla distinzione tra risarcimento
del danno ed indennizzo, si osserva che l’equa indennità non è un istituto sconosciuto al diritto
civile ( ad es. art. 2047 c.c., in tema di danno causato all’incapace) per cui è applicabile ad essa,
con riferimento al quantum debeatur il principio generale di (auto) responsabilità estraibile dalla
lettura degli artt. 1227 e 2056 c.c., per il quale non è da indennizzare il pregiudizio causato,
quanto meno per colpa (seppure lieve), dello stesso danneggiato.
Applicando tali principi al caso in esame, va rilevato che il richiamo del giudice della riparazione
alla condotta truffaldina del Giordano, fondato sulla sentenza di prescrizione intervenuta per il
reato di truffa continuata ( per il quale non era stata accolta la richiesta di misura cautelare
avanzata dal P.M.), a seguito della concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulle
aggravanti, costituisce argomento logico nel ravvisare una colpa, che, seppure non di gravità tale
da negare il diritto alla riparazione, legittima la configurazione di un concorso apprezzabile in
termini economici per ridurne la quantificazione, essendo evidente l’insussistenza delle condizioni
per un proscioglimento nel merito.
L’ altra censura del ricorrente, contenuta nel terzo motivo di ricorso, afferente l’omesso
riconoscimento di una ulteriore somma in via equitativa a titolo di decremento reddituale
riconducibile alla misura cautelare, è manifestamente infondata per la sua genericità a fronte di
una decisione congruamente motivata, che collega detto decremento alle varie truffe ai danni
delle compagnie assicuratrici.
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Il ricorso va, dunque, rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
P. Q. M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso nella camera di consiglio del 21 novembre 2013
Il Presidente
Il Consigliere estensore