Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1546 del 19/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1546 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE FALCO LUISA N. IL 07/12/1960
avverso l’ordinanza n. 164/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
12/07/2011

9,

sentita la r zione fatta dal Consigliere D t. PATRIZIA PICCIALLI;
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lette/se e le conclusioni del PG Dott.

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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 19/11/2013

Ritenuto in fatto

DE FALCO Luisa, a mezzo del difensore, ricorre avverso l’ordinanza di cui in epigrafe che
ha rigettato la sua richiesta di riparazione per ingiusta detenzione subita nell’ambito di un
procedimento in cui, contestatole il reato di concorso in detenzione ai fini di spaccio di
sostanze stupefacenti, era stato poi ritenuto configurabile il reato di favoreggiamento

1, c.p. per essere stato commesso il fatto da persona non punibile quale prossimo
congiunto.

Con un unico motivo prospetta la carenza di motivazione del diniego, sostenendo che il
giudice della riparazione aveva in,ammissibilmente sovrapposto la propria ricostruzione a
quella del giudice di merito laddove aveva ritenuto che la condotta posta in essere dalla
De Falco poteva far ritenere in teoria un suo inserimento anche nel reato di concorso in
detenzione a fine di spaccio di sostanze stupefacenti.

E’ stata ritualmente depositata memoria di costituzione nell’interesse del Ministero
dell’Economia e Finanze con la quale è stata rilevata la infondatezza del ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.

E’ noto, in proposito, che nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione, il
sindacato del giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento per la
riparazione dell’ingiusta detenzione è limitato alla correttezza del procedimento logico
giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare

i presupposti per

l’ottenimento del beneficio. Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito,
che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo convincimento, la
valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa o sull’esistenza del dolo ( v. tra le
ultime, Sezione IV, 11 aprile 2012, Hilario).

Ciò detto, l’ordinanza impugnata sfugge da censure in questa sede, perché fa corretta
applicazione dei principi di diritto operanti nella

subiecta materia ed è assistita da

congrua motivazione.

La decisione, infatti, è in linea con il principio in forza del quale il giudice di merito,
chiamato a pronunciarsi sull’ingiusta detenzione, per valutare se chi l’ha patita vi abbia

2

personale nei confronti del figlio, con la conseguente sua assoluzione ex art. 384, comma

dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo
autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento
alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza
o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una
motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al
riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi,
esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà
(e secondo un iter logico-

motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito), non se
tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia
ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza
della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di
“causa ad effetto” (cfr., tra le tante, la già citata sentenza Sezione IV, 11 aprile 2012,
Hilario).

La Corte di merito ha proceduto secondo le suindicate indicazioni di principio, attraverso
la valorizzazione della condotta equivoca dell’istante, che al sopraggiungere dei
verbalizzanti, prendeva dalle mani del figlio gli involucri, che poi è stato scoperto
contenessero sostanza stupefacente, ritenuta tale da fondare la colpa grave della istante,
sul rilievo che tale comportamento indusse evidentemente gli inquirenti a ritenere che la
stessa concorresse con il figlio nella detenzione a fine di spaccio della droga
La motivazione sul punto fornita è congrua e resiste alla lettura di segno diverso operata
nel ricorso.

Va del resto ricordato che la nozione di “colpa grave” di cui all’articolo 314, comma 1,
c.p.p., ostativa del diritto alla riparazione dell’ingiusta detenzione, va individuata in quella
condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica
negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme
disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile ragione di
intervento dell’autorità giudiziaria, che si sostanzi nell’adozione o nel mantenimento di un
provvedimento restrittivo della libertà personale. A tal riguardo, la colpa grave può
concretarsi in comportamenti sia processuali sia di tipo extraprocessuale, come la grave
leggerezza o la macroscopica trascuratezza, tenuti sia anteriormente che
successivamente al momento restrittivo della libertà personale; onde, l’applicazione della
suddetta disciplina normativa non può non imporre l’analisi dei comportamenti tenuti
dall’interessato, anche prima dell’inizio dell’attività investigativa e della relativa
conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non
integrino reato (anzi, questo è il presupposto, scontato, dell’intervento del giudice
della riparazione) (di recente, Sezione IV, 12 febbraio 2010, Petrozza).

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personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ente

La decisione gravata rispetto il suddetto principio, avendo valorizzato come sopra
dettagliato il comportamento gravemente imprudente della istante tale da avere posto le
premesse per l’adozione ed il mantenimento della gravata misura.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente, liquidate

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla
rifusione delle spese in favore del Ministero resistente che liquida in euro 750,00.
Così deciso nella camera di consiglio del 19 novembre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

come in dispositivo.

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