Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1545 del 19/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1545 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PETRONE ALFIDIO N. IL 28/04/1946
avverso l’ordinanza n. 189/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
15/12/2011
sentita la lazione fatta dal Consigliere D • ti. PATRIZIAtPaCjALIJ
lette/s ite le conclusioni del PG Doti
e RA,

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Data Udienza: 19/11/2013

;

Ritenuto in fatto

PETRONE Alfidio ricorre avverso l’ordinanza con cui la Corte di appello di Napoli ha rigettato
l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione, conseguente alli assoluzione con la formula
“perché il fatto non sussiste” dal reato di tentativo di rapina, per il quale era stato indagato
unitamente ad altre persone.

la colpa grave dell’ istante nel comportamento dallo stesso tenuto prima della emissione
della misura nei suoi confronti.
La Corte territoriale ha fondato la condotta ostativa sul contenuto di alcune intercettazioni
ambientali disposte sull’autovettura di due coimputati nonché dalle dichiarazioni ammissive
di questi ultimi, dalle quali emergeva il coinvolgimento del Petrone in una rapina
programmata ai danni di un gioielliere di Molfetta, sia pure ritenuto dal giudice penale
confinato agli atti preliminari non punibili.

Con il ricorso si censura la illegittimità ed illogicità della decisione, sostenendo

che il

giudice della riparazione aveva omesso di considerare che l’ordinanza cautelare emessa a
carico dell’istante era stata annullata in sede di riesame per difetto dei gravi indizi di
colpevolezza.

E’ stata

ritualmente depositata memoria di costituzione nell’interesse del Ministero

dell’Economia e Finanze con la quale è stata rilevata la infondatezza del ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.

La fattispecie in esame, in cui l’ istante ha scontato un periodo di detenzione in carcere in
forza di una misura cautelare oggetto di annullamento da parte del Tribunale del riesame
per insussistenza dei gravi indizi ex artt. 273 e 280 c.p.p, rientra, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi di ingiustizia formale della detenzione.

E’ noto che l’ ipotesi di ingiustizia formale riguardami casi in cui, a prescindere dall’esito
del processo (quindi anche in caso di condanna), venga accertato con decisione irrevocabile
che la custodia cautelare è stata disposta o mantenuta illegittimamente ( in questo caso,
pertanto, l’ingiustizia appartiene alla situazione cautelare, rilevano cioè i vizi della misura
tipizzati dal legislatore ed accertati con provvedimento irrevocabile), cioè, in generale,
nell’assenza delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 (gravi indizi di
2

Con l’ordinanza impugnata la Corte di merito ha escluso il diritto alla riparazione ravvisando

;

colpevolezza) e 280 c.p.p. (titolo del reato, ovvero nell’ipotesi del reato punito con pena
edittale inferiore al limite quantitativo indicato nell’art. 280 c.p.p.).

Sulla

nozione di “decisione irrevocabile” è da registrare una evoluzione della

giurisprudenza di legittimità.
Le Sezioni Unite di questa Corte ( v. sentenza 12 ottobre 1993, n.20, Durante, rv. 195353355), chiamate a risolvere il contrasto circa la persistenza o meno dell’interesse ad

avevano riconosciuto essere vero che in alcune ipotesi, pur marginali, l’illegittimità della
misura cautelare, ai sensi dell’art. 314,comma secondo, c.p.p., può risultare in modo
implicito, e tuttavia evidente, dalla stessa sentenza definitiva di merito, mentre per tutti gli
altri casi, e specialmente per quello concernente i gravi indizi di colpevolezza, la decisione
irrevocabile è quella, non impugnata, resa in sede di riesame o appello avverso il
provvedimento restrittivo della libertà o quella emessa da questa Corte a seguito di ricorso.
Tale ipotesi marginali sono state individuate dalla Suprema Corte” nei casi in cui l’imputato
sia stato condannato per un reato diverso da quello contestato ed inoltre punito con pena
edittale non superiore nel massimo a tre anni di reclusione, per cui la misura cautelare
risulti ex post inflitta in violazione del citato art. 280 c.p.p., ovvero nel caso in cui
l’imputato sia stato viceversa assolto perché il reato era estinto sin dal momento di
applicazione o conferma della stessa misura”.
Successivamente, un’altra sentenza delle Sezioni unite (8 luglio 1994, Buffa, rv 198211214) affermò che l’interesse dell’indagato a coltivare l’istanza di riesame non viene meno a
seguito di revoca della misura cautelare, intervenuta nel corso del procedimento di
riesame, in quanto la decisione irrevocabile, necessaria ex art. 314 c.p.p.. per la
riparazione dell’ingiusta detenzione, può essere individuata soltanto nell’ordinanza non
impugnata emessa dal Tribunale ai sensi degli artt. 309 e 310 c.p.p., ovvero nella
pronunzia adottata dalla Corte di Cassazione a seguito di ricorso contro tale ordinanza o in
sede di ricorso “per saltum” avverso il provvedimento cautelare.
Più recentemente, e ciò viene detto solo per completezza espositiva, vi è stata una
ulteriore evoluzione di tale orientamento (v. da ultimo Sez. IV, 8 maggio 2009, Spezi, rv.
243640, ed i riferimenti in essa contenuti ) in forza del quale può affermarsi, in
conclusione, che l’accertamento delle condizioni di applicabilità della misura cautelare
previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p. può intervenire anche a seguito della sentenza di
proscioglimento nel merito, purchè il contenuto della decisione sia incompatibile con
l’esistenza di quella condizioni.

Nel caso in esame l’illegittimità della misura cautelare ai sensi dell’art. 314, comma 2,
c.p.p. emerge con evidenza dalla pronuncia di annullamento della misura coercitiva per
insussistenza di indizi da parte del Tribunale del riesame.
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impugnare il provvedimento di custodia cautelare da parte dell’indagato ritornato in libertà,

Anche in tale caso, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte ( v. in tal
senso, Sezioni unite, D’Ambrosio, 27 maggio 2010, n. 32383, rv. 247664),
l’indennizzabilità del periodo di custodia cautelare è sempre condizionata, alla luce della
dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 314 c.p.p., all’accertamento del fatto
che l’interessato non abbia dato causa, per dolo o colpa grave, alla detenzione

citata sentenza delle Sezioni unite, è, pertanto, particolarmente importante appurare se
l’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura
custodiale sia avvenuto (vuoi nel procedimento cautelare vuoi nel procedimento di
merito) sulla base degli stessi precisi elementi che aveva a disposizione il giudice del
provvedimento della cautela ed in ragione esclusivamente di una loro diversa valutazione.
In tali casi, infatti, la possibilità del diniego del diritto alla riparazione per effetto della
condizione ostativa della condotta sinergica del soggetto rimane effettivamente preclusa,
giacchè si riconosce che il GIP era oggettivamente nelle condizioni di negare o revocare
la misura, così escludendosi la ravvisabilità di una coefficienza causale nella sua
determinazione da parte del soggetto passivo.

Diverso è, invece, il caso in cui l’assenza delle condizioni di applicabilità della misura
venga accertata sulla base di elementi diversi ( purchè rilevanti ai fini della decisione)
rispetto a quelli che aveva a disposizione il giudice del provvedimento della cautela, posto
che la problematica della condotta sinergica viene all’evidenza in rilievo solo nella
fattispecie in cui il giudice della riparazione deve verificare, con valutazione ex ante,
l’idoneità di tale condotta ad indurre in errore la struttura giudiziaria.

Ciò premesso, l’ordinanza impugnata, ha affrontato implicitamente la questione
applicando correttamente i principi sopra indicati.

Ai fini delle verifiche di pertinenza del giudice della riparazione, come evidenziato dalla

In tal senso il giudice della riparazione ha evidenziato che # il fatto storico della
partecipazione del Petrone agli atti preliminari alla commissione di una rapina in danno di
un gioielliere di Molfetta non veniva negata né esclusa dal Tribunale del riesame e che la
sentenza assolutoria, nello stesso senso, riteneva la condotta, come sopra accertata,
concretizzatasi in un sopralluogo alla gioielleria di Molfetta, non idonea ad integrare gli
estremi del tentativo punibile, in quanto non consentiva di affermare che il bene protetto
dalla norma fosse già esposto a pericolo, non essendo stata compiuta alcuna azione
ulteriore per la riscontrata difficoltà dell’azione programmata.

Il provvedimento è, pertanto, in linea con i principi sopra affermati, avendo il giudice
della riparazione espressamente valutato la configurabilità della colpa grave nella
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fl

condotta dell’istante, alla luce di circostanze fattuali diverse da quelle a disposizione del
giudice della cautela, come palesatesi dallo svolgimento dell’istruttoria.

Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p.la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali. La mancata costituzione nel giudizio di merito del Ministero
resistente, che solo in questa sede ha controdedotto alle ragioni del ricorrente,
costituisce la grave ed eccezionale ragione che giustifica la compensazione delle spese tra

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Compensa le spese tra le parti.
Così deciso nella camera di consiglio del 19 novembre 2013

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Il Consigliere estensore
at ea Picrli

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Il Presidente
Carlo G .

pe Brusco

le parti in questa sede.

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