Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1544 del 19/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1544 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SALERNI ALBERTO N. IL 22/08/1961
avverso l’ordinanza n. 138/2010 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 03/02/2012
sentita la r azione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
lette/se • e le conclusioni del PG Dott.
ti) j) l

evét. .t.41 1-2– (

)

Uditi difensor Avv.;//

LI

Data Udienza: 19/11/2013

4,
4

Ritenuto in fatto

Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Catanzaro, su istanza presentata da
SALERNI Alberto ai sensi degli artt. 314 e 315 c.p.p., condannava il Ministero dell’Economia e
delle Finanze a corrispondere allo stesso la somma di € 77.584,00 euro a titolo di riparazione
per l’ingiusta detenzione subita in carcere di complessivi 653 giorni, di cui 11 in carcere.

Il giudice della riparazione, nel determinare la somma suddetta, ha affermato di aver fatto
riferimento ai parametri medi di riferimento ai fini della liquidazione della indennità per la

detenzione carcerararia pari ad euro 235,82 giornalieri e a 117,00 euro per quella agli arresti
domiciliari.

Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione, tramite il difensore, il Salerni deducendo, in

modo generico ed assertivo, che la Corte di merito non aveva fatto corretta applicazione dei
parametri suindicati, omettendo di considerare le conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla
ingiusta detenzione.

E’ stata depositata memoria di costituzione del Ministero dell’Economia e delle Finanze con la
quale è stato chiesto il rigetto del ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso è manifestamente infondato per mancanza del requisito della specificità dei motivi.

L’ordinanza impugnata è in linea con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in assenza di

qualsiasi elemento idoneo a far ritenere la sussistenza di ulteriori conseguenze rispetto al grave
pregiudizio legato al fatto stesso della detenzione.

La giurisprudenza di legittimità, in tema di liquidazione del quantum relativo alla riparazione per
ingiusta detenzione, si è stabilmente orientata ( v. Sezioni unite, 9 maggio 2001, Caridi) nella
necessità di contemperare il parametro aritmetico- costituito dal rapporto tra il tetto massimo
dell’indennizzo di cui all’articolo 315, comma 2, c.p.p. (euro 516.456,90) e il termine massimo
della custodia cautelare di cui all’articolo 303, comma 4, lett. c).,c.p.p., espresso in giorni ( sei
anni ovvero 2190 giorni), moltiplicato per il periodo anch’esso espresso in giorni, di ingiusta
restrizione subita – con il potere di valutazione equitativa attribuito al giudice per la soluzione del
caso concreto, che non può mai comportare lo sfondamento del tetto massimo normativamente
stabilito.
)

2

Dato di partenza della valutazione indennitaria, che va necessariamente tenuto presente, è
costituito, pertanto, dal parametro aritmetico ( individuato, alla luce dei criteri sopra indicati,
nella somma di euro 235, 82 per ogni giorno di detenzione in carcere ed in quella di euro 117, 00
per ogni giorno di arresti domiciliari, in ragione della ritenuta minore afflittività della pena).
Siffatto parametro non è vincolante in assoluto ma, raccordando il pregiudizio che scaturisce dalla
libertà personale a dati certi, costituisce certamente il criterio base della valutazione del giudice
della riparazione, il quale, comunque, potrà derogarvi in senso ampliativo ( purchè nei limiti del
tetto massimo fissato dalla legge) oppure restrittivo, a condizione però che, nell’uno o nell’altro

Nel caso in esame, il giudice della riparazione, nella determinazione della somma,

caso, fornisca congrua e logica motivazione della valutazione dei relativi parametri di riferimento .

ha

correttamente indicato ed applicato i criteri di liquidazione adottati e ed ha riconosciuto all’istante
la somma di euro 77.584,00, calcolandola con esatto riferimento alla durata della detenzione.

La Corte di merito ha altresì precisato che la somma così liquidata faceva riferimento a tutti gli

aspetti complessivamente pregiudizievoli che la privazione della libertà aveva implicato, giacchè
l’istante non aveva offerto alcuna dimostrazione in ordine agli asseriti nocumenti personali,
familiari e lavorativi,
Le censure proposte sono del tutto generiche.

Come costantemente affermato da questa Corte ( v. tra le altre, Sez. VI, 30 ottobre 2008,
Arruzzoli ed altri, rv. 242129), in materia di impugnazioni, l’indicazione di motivi generici nel
ricorso, in violazione dell’art. 581 lett. c) c.p.p., costituisce di per sè motivo di inammissibilità del

proposto gravame. Ciò, anche se successivamente, ad integrazione e specificazione di quelli già
dedotti, vengano depositati nei termini di legge i motivi nuovi ex art. 585, comma quarto, c.p.p.

Nello stesso senso è stato più volte affermato da questa Corte, che è inammissibile, per
genericità, il motivo di impugnazione con il quale non si esaminano specificamente – per
confutarle- le considerazioni svolte da provvedimento impugnato: per l’effetto, deve ritenersi

inammissibile, per mancanza della specificità del motivo prescritta dall’articolo 581, lettera c),
c.p.p., il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni

argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione,
che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato senza appunto cadere nel vizio
di “aspecificità”, che conduce, ex articolo 591, comma 1, lettera c), c.p.p., all’inammissibilità del
ricorso (tra le tante, Sezione II, 13 ottobre 2009- 18 novembre 2009 n. 44038, Iania).

All’ inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p la condanna del

ricorrente al

pagamento delle spese processuali e della somma di euro 500,00 in favore della cassa delle
ammende non ravvisandosi assenza di responsabilità nella determinazione della causa di
inammissibilità, oltre alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, liquidate come
in dispositivo.

3

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 500,00 in favore della cassa delle ammende, oltre alla rifusione delle spese
in favore del Ministero resistente che liquida in complessivi euro 750,00.

Così deciso nella camera di consiglio del 19 novembre 2013.

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