Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1543 del 19/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1543 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’ANGELO GIUSEPPE N. IL 26/03/1933

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avverso l’ordinanza n. 58/2011 CORTE APPELLO di PALERMO, del
20/02/2012
sentita la r lazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
lette/se te le conclusioni del PG Dott. h.
e+ t eire…

Udit i difensor Avv.-77

Data Udienza: 19/11/2013

Ritenuto in fatto

D’ANGELO Giuseppe e ZIMMARDI Giovanna, a mezzo del difensore, ricorrono avverso
l’ordinanza di cui in epigrafe che ha rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta
detenzione subita dal primo nell’ambito di un procedimento in cui gli era stato contestato
il reato di estorsione aggravata ai sensi dell’art. D.Lgs 152/91 in danno di tale Vassallo

non sussiste”.
Il giudice della riparazione, nel rigettare l’istanza, ha valorizzato gli elementi emergenti
dalla misura cautelare, costituiti dalle dichiarazioni della persona offesa- che aveva
indicato l’odierno ricorrente come uno dei soggetti che nel gennaio del 2001 gli avevano
chiesto il “pizzo” per l’autosalone-, confermate dai precedenti penali del D’Angelo, già
condannato per il reato di associazione mafiosa nonché dalle propalazioni del coimputato
Battaglia concernenti gli incontri mafiosi cui avrebbe preso parte il predetto nella qualità
di “consigliere” del genero Scimò Fabio.
La colpa grave dell’istante veniva, pertanto, individuata nella frequentazione del
D’Angelo, già condannato due volte con sentenza irrevocabile per il delitto di associazione
mafiosa di cui all’art. 416 bis c.p con alcuni dei coimputati condannati per il reato di
associazione mafiosa, tra cui lo Scimò ed il Battaglia e nella partecipazione a riunioni in
compagnia del genero, concernenti anche questioni che non lo riguardavano
personalmente, come nel caso del Vassallo, nonché nell’essere punto di riferimento dello
stesso Battaglia su questioni riguardanti anche estorsioni.

Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 314 c.p.p e la manifesta illogicità della
motivazione con riferimento all’affermata colpa grave dell’istante, illogicamente fondata
su frequentazioni ” sospette” con coimputati, travisando il fatto. Si sottolinea sul punto
che le frequentazioni in occasione di quelle riunioni erano giustificate oltre che dal
rapporto di parentela con lo Scimò (suo genero), da un precedente rapporto commerciale
tra quest’ultimo e la pregressa gestione dell’autosalone e non da traffici illeciti.
Si sottolinea che la stessa persona offesa, dopo essere statck, escussok, dal pubblico
ministero, aveva successivamente fornito una diversa versione dei fatti in un memoriale,
ove aveva scagionato anche il ricorrente e che tale documento era stato posto a
fondamento della sentenza di assoluzione di secondo grado.
Si sottolinea, altresì, che le frequentazioni imprudenti possono dar causa all’adozione di
una misura cautelare solo se poste in essere con la consapevolezza che trattasi di
soggetti coinvolti in traffici illeciti.

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Giuseppe, dal quale era stato assolto in grado di appello con la formula perché ” il fatto

E’ stata ritualmente depositata memoria di costituzione nell’interesse del Ministero
dell’Economia e Finanze con la quale, affermata la coerenza della impugnata ordinanza
con i principi affermati da questa Corte, è stato chiesto dichiararsi l’inammissibilità o il
rigetto del ricorso.

Considerato in diritto

Quanto alla posizione della Zimmardi, va rilevato che la stessa, coniuge dell’interessato,
non ha proposto alcun motivo di censura avverso l’ordinanza che correttamente ha
rilevato il difetto di legittimazione della stessa alla proposizione dell’istanza.
Il ricorso va, pertanto, dichiarato, ai sensi dell’articolo 591, comma 1, lettera c), c.p.p., in
relazione all’articolo 581, lettera c), c.p.p. , inammissibile.

Manifestamente infondato è anche il ricorso proposto da D’Angelo Giuseppe.

Come è noto, il rapporto tra giudizio penale e giudizio per l’equa riparazione è connotato
da totale autonomia ed impegna piani di indagini diversi e che possono portare a
conclusioni del tutto differenti ( assoluzione nel processo penale ma rigetto della richiesta
riparatoria) sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti ma sottoposto
ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti.

In particolare, è consentita al giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non nella
loro valenza indiziaria o probante ( smentita dall’assoluzione) ma in quanto idonei a
determinare, in ragione di una macroscopica negligenza ° imprudenza dell’imputato,
l’adozione della misura, traendo in inganno il giudice ( v. tra le altre, Sez. IV, 10 giugno
2010, La Rosa, rv. 248077).

Il ricorso è manifestamente infondato.

Ciò che è importante sottolineare è che non potrebbero essere poste a fondamento del
diniego del diritto alla riparazione circostanze espressamente escluse nel giudizio di
merito.

Rientrano, pertanto, nel potere-dovere del giudice della riparazione la selezione, la
valutazione delle circostanze di fatto idonee ad integrare o escludere la sussistenza delle
condizioni preclusive al riconoscimento del diritto fatto valere, sotto il profilo, appunto,
del dolo o della colpa grave, pur sempre avendo egli l’obbligo di dare al riguardo
adeguata ed esaustiva motivazione, dispiegantesi secondo le corrette regole della logica,

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giacché il mancato assolvimento di tale obbligo in termini di adeguatezza, congruità e
logicità è censurabile in cassazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Nel caso di specie, il giudice della riparazione ha valorizzato in chiave ostativa a carico
dell’istante, già raggiunto da altre due condanne per delitti di associazione mafiosa, le
assidue frequentazioni con soggetti pregiudicati, gravitanti nel contesto mafioso ( e non
solo il genero Scimò Fabio ma anche Battaglia Fedele, del quale era divenuto punto di

tali elementi che doveva farsi carico all’istante medesimo, in quanto connotata da colpa
grave, di quella condotta posta a fondamento della misura cautelare (concretizzatasi nella
richiesta del “pizzo” al gestore dell’autosalone, che successivamente aveva ritrattato le
dichiarazioni rese dinanzi al pubblico ministero).

Come rilevato dal P.G in sede, i dati valutati dalla Corte di merito, in quanto incidenti
sull’applicazione della misura cautelare, sono stati, quindi, diversi e più ampi rispetto alla
mera presenza del D’Angelo in occasione degli incontri dello Scimò con la parte offesa e
indubbiamente espressivi di una colpevole vicinanza a quei contesti delittuosi, suscettibile
di avvalorare l’apparenza di reità anche per gli episodi inizialmente ritenuti estorsivi e
successivamente riconosciuti non tali.

Le stesse frequentazioni ambigue sono state considerate nella loro significatività
travalicante il mero rapporto con lo Scimò ed il legame di affinità con questi,
valorizzandosi la partecipazione del D’Angelo a riunioni cui non era direttamente
interessato ed il ruolo di consigliere assunto presso il coimputato Battaglia, soggetto di
rilievo nell’ associazione mafiosa.
Sul punto va ricordato che nei reati contestati in concorso, va apprezzata la condotta
che si sia sostanziata nel porre in essere una attività che si presti sul piano logico ad
essere percepita come contigua a quella criminale ( v. da ultimo Sez. IV, 25 novembre

riferimento per le questioni concernenti i fatti estorsivi) ed ha logicamente inferito da

2010, n. 45418, Carere, rv. 249237 ed i riferimenti ivi contenuti).
In tal senso la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che le frequentazioni
ambigue ossia quelle che si prestano oggettivamente ad essere interpretate come indizi
di complicità, quando non sono giustificate da rapporti di parentela, e sono poste in
essere con la consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti possono
dare luogo ad un comportamento gravemente colposo idoneo ad escludere la riparazione
(cfr. a proposito dell’idoneità delle frequentazioni ambigue ad escludere l’indennizzo, Sez.
III, 30 novembre 2007, Pandullo, rv. 238782, Sez. IV, 25 giugno del 1998, Nemala, rv.
212114 e da ultimo, Sez. IV, 11 luglio 2012, Lombardi, non massimata).
La motivazione sul punto fornita è congrua e resiste alla lettura di segno diverso operata
nel ricorso, diretta ad avallare l’ apodittica tesi di un travisamento del fatto da parte del
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giudice della riparazione e ad enfatizzare il rapporto di affinità, a giustificazione delle più
complesse frequentazioni ambigue, in contrasto con gli elementi logicamente valorizzati
dalla Corte territoriale idonei a dimostrare il coinvolgimento diretto del prevenuto in un
contesto ambientale oggettivamente e soggettivamente ambiguo, con evidente incidenza
causale nell’adozione del provvedimento restrittivo.

In conclusione, l’ordinanza impugnata sfugge da censure in questa sede, perché fa

congrua motivazione.

All’ inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di euro 500,00 in
favore della cassa delle ammende non ravvisandosi assenza di responsabilità nella
determinazione della causa di inammissibilità, oltre alla rifusione delle spese sostenute
dal Ministero resistente, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 500,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende,
oltre alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente che liquida in euro
750,00.
Così deciso nella camera di consiglio in data 19 novembre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

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