Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1541 del 19/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1541 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAMONE ANTONIO N. IL 25/04/1959
nei confronti di:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza n. 86/2010 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 15/04/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
lette/se ite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 19/11/2013

Uditi difensor

A

Ritenuto in fatto

Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Catanzaro, su istanza presentata da
Mamone Antonio ai sensi degli artt. 314 e 315 c.p.p., condannava il Ministero dell’Economia e
delle Finanze a corrispondere allo stesso la somma di C 125.994,00 euro a titolo di riparazione
per l’ingiusta detenzione subita in carcere di 759 giorni.

Il giudice della riparazione riteneva di ridurre ad euro 166,00 il parametro medio di riferimento ai

fini della liquidazione della indennità per la detenzione carcerararia pari ad euro 235,82

giornalieri, riducendolo alla somma di euro 166,00, alla luce dei precedenti penali dell’istante,
quale risultava dal curriculum giudiziario ( estorsione, furto, Aricettazione, rapina ed armi).

La Corte di merito, giustificava tale riduzione sul duplice rilievo che la dimestichezza con
l’ambiente carcerario rende meno traumatica l’ingiusta privazione della libertà e che il soggetto,

in tal caso, riceve minore discredito, trattandosi di persona la cui immagine sociale è già
compromessa.

Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione, tramite il difensore, il Mamone, deducendo

che la Corte di merito aveva omesso di considerare che con riferimento ai precedenti ritenuti
ostativi alla liquidazione dell’indennizzo nella sua totalità, era stata già riconosciuta al Mamone la

somma di euro 92.500,00, a titolo di indennizzo per la ingiusta detenzione subita, con ordinanza
della medesima Corte di appello in data 31 ottobre 2008, allegata in copia e che gli ulteriori reati

menzionati nel casellario erano precedenti di inconsistente entità afferenti a condanne risalenti ad
oltre 20 anni prima. Quanto al discredito sociale, conseguito alla carcerazione,

il giudice della

riparazione aveva trascurato la documentazione in atti che attestava la notevole eco che aveva

avuto sulla stampa la notizia dell’arresto. Si contesta, infine, il metodo di quantificazione
dell’importo liquidato sostenendo che la Corte di merito si era limitata a valorizzare

esclusivamente la durata e la forma della misura sofferta, senza prendere in considerazione le
conseguenze ulteriori della ingiusta detenzione sofferta.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.

In tema di liquidazione dell’indennizzo previsto a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione
(articolo 314 e seg. c.p.p), il canone base per la liquidazione è costituito dal rapporto tra la
somma massima posta a disposizione dal legislatore [euro 516.456,90], il termine di durata
massima della custodia cautelare [di cui all’articolo 303, comma 4, c.p.p., espresso in giorni] e la
durata dell’ingiusta detenzione patita nel caso concreto. Tale criterio aritmetico di calcolo,

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rispetto al quale, in particolare, la somma che ne deriva [euro 235, 82, per ciascun giorno di
detenzione in carcere] può essere ragionevolmente dimezzata [euro 117,91] nel caso di
detenzione domiciliare, attesa la sua minore afflittività, costituisce, però, solo una base utile per
sottrarre la determinazione dell’indennizzo ad un’eccessiva discrezionalità del giudice e garantire
in modo razionale una uniformità di giudizio. Il parametro aritmetico indicato, pertanto,
costituisce uno standard che fa riferimento all’indennizzo in un’astratta situazione in cui i diversi
fattori di danno derivanti dall’ingiusta detenzione si siano concretizzati in modo medio ed
ordinario; con la conseguenza che tale parametro può subire variazioni verso l’alto o verso il

basso in ragione di specifiche contingenze proprie del caso concreto. In ogni caso, al giudice è
chiesta una valutazione che pur equitativa, non può mai essere arbitraria, onde egli è tenuto ad

offrire una adeguata motivazione che dia conto, alla luce del materiale probatorio acquisito, delle
ragioni per le quali si è distaccato dai parametri standard, con l’unico limite che il frutto della sia
determinazione non può condurre allo sfondamento del tetto, normativamente fissato, dell’entità

massima della liquidazione (cfr. Sezione IV, 16 luglio 2009- 5 novembre 2009 n. 42510, Ric.
Ministero dell’economia in proc. Morelli).

Si aggiunga che la natura equitativa della valutazione e la circostanza che la riparazione in

questione non abbia natura di risarcimento del danno- ma di semplice indennizzo in base ai
principi di solidarietà per chi sia stato ingiustamente privato della libertà personale- restringono i

margini del sindacato di legittimità sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione;
sindacato che è quindi limitato al controllo se il giudice di merito abbia logicamente motivato il

suo convincimento e non può essere esteso alla verifica della sufficienza, o insufficienza, della

somma liquidata a titolo di riparazione ( a meno che si tratti di somme palesemente simboliche o

immotivatamente incongrue, v. in senso conforme, Sezione IV, 21 febbraio 2012, Barbera, non
massimata, e 11 luglio 2007, n. 39815, Bevilacqua ).

Nella specie, il giudice, rispettando detto principio e fornendo una spiegazione in fatto qui non

rinnovabile, ha evidenziato, innanzitutto, l’assenza di elementi probatori in base ai quali ritenere

la sussistenza di eventuali altri danni rispetto a quelli strettamente inerenti al fatto stesso della
detenzione ed ha, poi, rimarcato profili soggettivi tali da giustificare una determinazione della
somma in diminuzione rispetto al criterio matematico sopra evidenziato, alla luce dei precedenti
penali del Mamone, così pervenendo a determinare l’indennizzo nella misura complessiva di euro
125.994,00 ( pari ad euro 166, 00 al giorno).

La somma così liquidata non assumendo, pertanto, carattere arbitrario, si sottrae al vaglio di
legittimità, involgendo una valutazione di natura equitativa riservata al giudice di merito.

Le censure mosse contro tale apprezzamento sono del tutto generiche, non essendo stati dedotti\\I
elementi specifici idonei a far ritenere la violazione dei principi sopra indicati. Le doglianze sono
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dirette, infatti, a valorizzare elementi che, secondo la prospettazione difensiva, sarebbero idonei
a dimostrare la sussistenza di ulteriori conseguenze rispetto al grave pregiudizio legato al fatto
stesso della detenzione, ulteriori conseguenze che sono state escluse dal giudice della
riparazione con motivazione congrua e logica.

Il ricorso va quindi rigettato. Segue ex lart. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso nella camera di consiglio del 19 novembre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presid nte

PQM

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