Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1540 del 22/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1540 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: ESPOSITO LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ESPOSITO GIUSEPPE N. IL 27/01/1968
avverso l’ordinanza n. 178/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
14/07/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;
lette/s9Ate le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 22/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1.Esposito Giuseppe veniva sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere per 853
giorni per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. dal quale, dopo essere stato condannato in primo
grado, era stato prosciolto in appello.
Il predetto proponeva istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta, chiedendo che
gli venisse riconosciuta l’indennità nella misura dovuta.

all’emissione del provvedimento cautelare per avere tenuto un comportamento contrassegnato
da colpa grave, consistito nell’essersi avvalso, in sede di interrogatorio, della facoltà di non
rispondere, senza offrire chiarimento alcuno in ordine alla sua posizione processuale e ai suoi
contatti con l’imputato Venosa Raffaele, condannato per estorsione e per associazione per
delinquere in quanto promotore e organizzatore dell’omonimo clan camorristico. Con il
predetto l’istante intratteneva stretti rapporti, tanto da offrire piena e consapevole disponibilità
a farsi portavoce del capo clan (circostanza verificata a seguito di intercettazioni telefoniche).
3. L’istante, a mezzo del difensore, avanzava ricorso per cassazione avverso l’ordinanza,
deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 314 c.p.p. con riferimento alla ricorrenza
della colpa grave ostativa al riconoscimento dell’indennizzo. Rappresentava che la Corte
d’Appello aveva enfatizzato la circostanza dell’essersi l’Esposito avvalso della facoltà di non
rispondere nel corso dell’interrogatorio di garanzia, trattandosi di scelta defensionale inidonea
ex se a fondare un giudizio positivo di sussistenza di colpa; che, inoltre, aveva trascurato di
considerare che successivamente era stato sottoposto a interrogatorio nell’ambito del quale
aveva modo di fornire una ricostruzione dei fatti che aveva trovato pieno accoglimento nella
sentenza di assoluzione, rappresentando che egli era marito della sorella della compagna del
Venosa e che il rapporto di affinità giustificava la vicinanza al Venosa. Rilevava che la Corte
aveva omesso di motivare sulla natura dei rapporti e della frequentazione atte a configurare
colpa grave.
Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione instava per il rigetto del ricorso. Il Ministero
dell’Economia e delle Finanze ha presentato propria memoria formalizzando le medesime
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conclusioni.

2. La Corte di Appello di Napoli rigettava la domanda. Osservava che l’istante aveva dato causa

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è infondato e va rigettato.
Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare
se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve
valutare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare
riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza,
imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una

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motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il
giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta
tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire,
con valutazione ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a
quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se
sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità
procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla
detenzione con rapporto di “causa ad effetto” (Cass. Sez. U., Sentenza n. 34559 del

ai fini dell’accertamento del diritto alla riparazione e non della penale responsabilità, i fatti
accertati o non esclusi dai giudici del merito (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 27397 del 10/06/2010,
dep. 14/07/2010, Rv. 247867). La giurisprudenza di legittimità, inoltre, ha chiarito che il piano
valutativo del tutto diverso tra le condotte da considerare per la sussistenza delle condizioni
per la liquidazione dell’equo indennizzo e gli elementi posti a base della decisione da parte del
giudice della cognizione dimostra che tutti gli elementi probatori devono essere rivalutati, in
quanto, pur se ritenuti insufficienti ai fini della dichiarazione di responsabilità, possono essere
tali da configurare il dolo o la colpa grave, soprattutto nel momento dell’emissione della misura
cautelare personale (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 10987 del 15/02/2007, dep. 15/03/2007, Rv.
236508). Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extraprocessuale (grave
leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo)
o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non
siano state escluse dal giudice della cognizione.
5. Ciò premesso, il motivo d’impugnazione si palesa infondato, giacché correttamente il giudice
del merito ha rilevato la sussistenza in capo al ricorrente della colpa grave ostativa alla
concessione dell’indennizzo, in conformità ai parametri giurisprudenziali suindicati.
5.1. Ed invero la Corte territoriale, con congrua motivazione, ha adeguatamente considerato
utili a configurare la colpa grave ostativa all’indennizzo gli elementi offerti dal processo: in
primo luogo, la condotta di assidua frequentazione con un personaggio posto al vertice di
un’associazione camorristica, del cui spessore criminale l’istante era consapevole e della cui
volontà si era fatto portavoce (circostanza questa non contestata dal ricorrente, il quale si è
limitato a sminuirne la rilevanza); in secondo luogo la mancata risposta in sede di
interrogatorio di garanzia, comportante l’impossibilità di chiarire in quella sede che i rapporti
con il predetto personaggio fossero giustificati da rapporti parentali.
Riguardo alle argomentazioni difensive circa l’irrilevanza della condotta consistita nell’avvalersi
della facoltà difensiva di non rispondere va richiamato un condivisibile principio affermato dalla
giurisprudenza di legittimità, in forza del quale “in tema di riparazione per l’ingiusta
detenzione, la condotta dell’indagato che, in sede di interrogatorio, si avvalga della facoltà di
non rispondere, pur costituendo esercizio del diritto di difesa, può assumere rilievo ai fini
dell’accertamento della sussistenza della condizione ostativa del dolo o della colpa grave

26/06/2002, De Benedictis, Rv. 222263). Il giudice della riparazione, cioè, ben può rivalutare,

qualora l’interessato non abbia riferito circostanze, ignote agli inquirenti, utili ad attribuire un
diverso significato agli elementi posti a fondamento del provvedimento cautelare”( Cas. Sez. 3,
Sentenza n. 44090 del 09/11/2011 Cc. (dep. 29/11/2011 ) Rv. 251325).
Gli indicati elementi, valutati ex ante, fanno ritenere sussistente la causa impeditiva
dell’attribuzione dell’indennizzo e giustificano il rigetto del ricorso, fondato su un’inaccettabile
commistione di piani motivazionali tra la sentenza assolutoria di merito e i rilievi svolti in sede
di esame della domanda di indennizzo.

processuali, oltre alla rifusione delle spese di questo giudizio sostenute dal Ministero, liquidate
come da dispositivo.

P. Q. M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché alla rifusione delle spese in favore del Ministero ricorrente che liquida in
complessivi C 750,00.
Così deciso in Roma il 22-10-2013.

5.2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese

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