Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 154 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 154 Anno 2016
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIUGLIANO ROSARIO N. IL 28/01/1961
avverso l’ordinanza n. 53/2013 CORTE ASSISE APPELLO di
NAPOLI, del 03/06/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI
DEMARCHI ALBENGO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Data Udienza: 25/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Giugliano Rosario propone ricorso per cassazione contro l’ordinanza
del 3 giugno 2014 con la quale la Corte di assise di appello di Napoli
ha rigettato l’istanza di applicazione della disciplina del reato
continuato in relazione alle sentenze di cui all’istanza stessa. Il
ricorrente lamenta l’inosservanza di legge e di il vizio di motivazione

di elementi di riconducibilità dei vari reati ad un unitario disegno
criminoso ed in particolare dei reati fine rispetto a quello associativo,
come realizzazione degli obiettivi e del programma criminale del
sodalizio, avendo già peraltro lo stesso giudice ravvisato la
continuazione tra analoghi reati relativi ad altre sentenze. Eccepisce,
inoltre, l’identità del fatto ai sensi dell’articolo 669 del codice di
procedura penale in relazione ai reati di cui alle sentenze 29 giugno
2004 e 22 maggio 2003.
2. Il Procuratore generale presso questa suprema Corte, dottor Spinaci,
ha concluso per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato; come ha già avuto modo di osservare più volte
questa Corte, la continuazione tra il reato associativo ed i reati fine è
configurabile esclusivamente qualora vi sia prova specifica che questi
ultimi siano stati programmati nelle loro linee essenziali dal momento
della costituzione del sodalizio criminoso. Si vedano, ad esempio,
Sez. 6, Sentenza n. 13085 del 03/10/2013, Rv. 259481 e Sez. 1, n.
13609 del 22/03/2011, Bosti, Rv. 249930: “Non è configurabile la
continuazione tra il reato associativo e quei reati fine che, pur
rientrando nell’ambito delle attività del sodalizio criminoso ed
essendo finalizzati al rafforzamento del medesimo, non erano
programmabili “ah origine” perché legati a circostanze ed eventi
contingenti ed occasionali o, comunque, non immaginabili al
momento iniziale dell’associazione stessa. (Fattispecie in cui la Corte
ha rigettato il ricorso diretto al riconoscimento in sede esecutiva della
continuazione tra il reato di associazione di tipo mafioso ed un
duplice omicidio commesso da un associato, disattendendo la tesi
1

per erroneità della valutazione del giudice in ordine alla sussistenza

secondo cui, per ritenere configurabile la continuazione, sarebbe
stato sufficiente il solo rapporto di strumentalità del predetto reato
fine alla funzionalità della cosca)” (Massime precedenti Conformi: N.
1474 del 1997 Rv. 208916, N. 2960 del 1999 Rv. 214555, N. 23370
del 2008 Rv. 240489).
2. L’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti
principi e, nell’ambito dei propri poteri di merito, ha ritenuto,
dandone adeguata motivazione, priva di vizi logici evidenti, che nella

eliminazione degli avversari, essendo insufficiente il riferimento alla
mera volontà agevolatrice del sodalizio di appartenenza del ricorrente
ed essendo piuttosto gli atti di violenza correlati di volta in volta a
scelte e convenienze del gruppo criminale, autonomamente valutate
e maturate. Analogamente, i fatti del secondo gruppo di sentenze
sono stati ritenuti privi di alcun collegamento tra loro e con gli episodi
di sangue e sono stati ritenuti espressivi soltanto della scelta
delinquenziale di vita del ricorrente.
3. Quanto, infine, alla dedotta duplicazione delle condanne, si osserva
che l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico
naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi
elementi costitutivi e con riguardo alle circostanze di luogo, di tempo
e di persona; nel caso di specie, manca la concreta coincidenza fra
tutte le componenti delle fattispecie, trattandosi di condotte riferibili
a periodi ed ambiti territoriali non sovrapponibili.
4. Poiché il giudice di merito, nel provvedimento impugnato, ha fatto
corretta applicazione dei principi di diritto enunciati da questa Corte e
considerato che ha fornito adeguata motivazione delle valutazioni in
fatto, il ricorso è infondato laddove deduce la violazione di legge o la
erronea applicazione delle norme penali relative al concorso formale
e al ne bis in idem in executivis, ed è inammissibile laddove contesta
le valutazioni di merito della Corte, proponendo proprie
considerazioni alternative, senza che possano ravvisarsi illogicità
manifeste della motivazione, in costanza delle quali sarebbe
ammissibile una sindacato di legittimità.
5. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; ai sensi dell’art. 616
c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che
lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del
procedimento.

sentenza di condanna non vi fosse traccia di un progetto unitario di

p.q.m.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 25/11/2015

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