Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15399 del 07/03/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 15399 Anno 2014
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GALIPO’ CARMELO ALBERTO N. IL 15/05/1946
avverso la sentenza n. 969/2012 CORTE APPELLO di MESSINA, del
25/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 07/03/2014

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Carmine Stabile, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Messina, con sentenza del 25/2/2013, in parziale riforma
di quella emessa dal Tribunale di Patti, ha condannato Galipò Carmelo a pena di

personalmente il 18/1/1993, sottraeva ai creditori del fallimento i redditi
percepiti nell’esercizio – sotto falso nome – di due attività d’impresa: la Orlandina
Costruzioni di Mirenda Teresa e la Piana Costruzioni di Marano Giuseppe, che
effettuarono consistenti lavori edili prendendoli in sub-appalto dalla Cerasa srl.

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse
dell’imputato, l’avv. Luigi Cangemi, il quale, con unico motivo, si duole della
carente e manifesta illogicità della motivazione riguardante l’affermazione della
penale responsabilità. Lamenta che i giudici di primo e secondo grado non
abbiano attribuito il giusto rilievo alla circostanza che Galipò era regolarmente
assunto e stipendiato dalla Cerasa srl e che, per il suo status di imprenditore
fallito, era alla mercé dell’amministratore della ditta da cui dipendeva e ai cui
ordini sottostava. Fu infatti quest’ultimo (Milio) a imporgli di “recitare un ruolo”
dinanzi alla Guardia di Finanza, che aveva avviato la verifica fiscale a carico della
Cerasa srl: circostanza che lo espose in prima persona e fece pensare alla
Guardia di Finanza che egli fosse il dominus delle ditte che avevano preso in subappalto i lavori dalla Cerasa srl. Prova ne sia, aggiunge, che un imprenditore
esperto come Milio non avrebbe mai affidato lavori importanti ad un fallito, che
non era in grado di fornire alcuna garanzia; e prova è rappresentata dalle
dichiarazioni dibattimentali del direttore dei lavori (ing. Travaglia).
Lamenta che la Corte d’appello non abbia fornito risposta alle doglianze concernenti la logicità della motivazione – formulate col gravame. Infatti,
aggiunge, aveva censurato di illogicità la sentenza del Tribunale, che aveva
attribuito rilevanza alle fatture emesse dalla Orlandina Costruzioni e dalla Piana
Costruzioni, senza considerare che si trattava di fatture emesse da ditte,
“probabilmente fantasma”, che servivano a coprire gli alti profitti conseguiti dalla
ditta appaltatrice (la Cerasa srl). Aveva lamentato che il Tribunale avesse
attribuito rilevanza alla costante presenza del Galipò nel cantiere e al fatto che
buona parte della documentazione d’impresa fosse da lui firmata, senza tener
conto del ruolo che Galipò svolgeva come capocantiere e uomo di fiducia del

2

giustizia per bancarotta fraudolenta post-fallimentare perché, dichiarato fallito

Milio: circostanza che spiega, più ragionevolmente di quanto ritenuto dal
Tribunale, i fatti che vengono addebitati all’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile
In relazione alle doglianze di difetto di motivazione, formulate dal Galipò, in
ordine alla affermata penale responsabilità, va osservato che esse sono fondate

modo di precisare che “è inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su
motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal
giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza
di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua
genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione
tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a
fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del
giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità….” (Cass. 4, 5191/2000,
imp. Barone, rv. 216473).
In particolare il giudice di merito ha evidenziato come il coinvolgimento del
Galipò nell’attività gestionale della Orlandina Costruzioni di Mirenda Teresa e la
Piana Costruzioni di Marano Giuseppe fosse provata dagli accertamenti eseguiti,
sulle due imprese, dalla Guardia di Finanza, che mise in evidenza la costante
presenza del Galipò nel cantiere in cui venivano eseguiti i lavori; il suo rapporto
diretto con i fornitori, con i quali manifestò autonomia gestionale, e con gli
acquirenti degli immobili, con i quali trattò personalmente manifestando
autonomia decisionale; la sua perfetta conoscenza delle dinamiche operative e
delle vicende amministrative delle due imprese attenzionate, tant’è che fu
sempre presente nella fase del controllo operato dalla Guardia di Finanza. Il fatto
che egli fosse il vero dominus delle due imprese è confermato, poi, nel motivato
giudizio dei giudici di primo e secondo grato, dal fatto che nello stesso periodo
acquistò, per conto dei figli minori sprovvisti di reddito, un immobile di
rilevantissimo valore (500milioni di lire): segno, evidente, che l’attività espletata
nel cantiere non era avvenuta a titolo fiduciario e di longa manus del Milio, come
sostenuto nel corso del giudizio, bensì a titolo autonomo, che gli consentì di far
propri i notevoli guadagni conseguiti nell’esercizio delle imprese.
A fronte di questa logica e congrua motivazione il ricorrente non fa che
riproporre la tesi sostenuta e dibattuta nel giudizio, ignorando completamente le
argomentate riflessioni del giudicante e sollecitando questa Corte ad una nuova
valutazione e sovrapposizione argomentativa, di certo inammissibile nel giudizio
di legittimità.

3

su motivi non specifici. Con consolidato orientamento, questa Corte ha avuto

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché — ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento
a favore della cassa delle ammende della somma di mille euro, così
equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7/3/2014

P.Q.M.

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