Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15388 del 06/03/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 15388 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SANNA ROBERTO N. IL 09/10/1966
avverso la sentenza n. 139/2011 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
SASSARI, del 31/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 06/03/2014

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Roberto Aniello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
– Udito, per la parte civile, l’avv. Lucchi Clemente Niccolò, che ha chiesto il
rigetto del ricorso.
– Udito, per l’imputato, l’avv. Gabiela Pinna Nossai, che si è riportata al ricorso e
ne ha chiesto l’accoglimento.

1. La Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza del
31/5/2012, a conferma di quella emessa dal locale Tribunale, ha condannato
Sanna Roberto a pena di giustizia per lesioni personali e danneggiamento in
danno di Zirattu Lucio, nonché per interruzione di un pubblico servizio.
Secondo la prospettazione accusatoria, condivisa dai giudici del merito, Sanna,
per motivi di astio verso Zirattu Lucio, dottore in servizio alla guardia medica di
Ossi, in data 2 aprile 2005, dopo averne provocato, col danneggiargli
l’autovettura, l’uscita dall’ambulatorio in cui il medico si trovava, lo aggredì
procurandogli un trauma al rachide cervicale giudicato guaribile in più di venti
giorni. Con tale condotta provocò l’interruzione del servizio di guardia medica, a
cui Zirattu era applicato.
2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse
dell’imputato, l’avv. Gabriella Pinna Nossai con due motivi.
2.1. Col primo si duole della manifesta illogicità della motivazione – che il
ricorrente qualifica apparente, contraddittoria e illogica – concernente la prova
della responsabilità. A suo giudizio, i giudici non hanno attribuito il giusto rilievo
– nella valutazione delle dichiarazioni delle parti in causa – all’astio esistente tra
imputato e persona offesa ed hanno fondato il proprio convincimento sulle
dichiarazioni di quest’ultima, ravvisando inediti riscontri alle dichiarazione di
Zirattu, costituiti dalla chiamata del 118 e dal suo trasporto in ospedale
mediante ambulanza, oltre che dalle telefonate ai carabinieri. Lamenta che non
sia stata tenuta in nessun conto la tesi alternativa prospettata dalla difesa,
sebbene sostenuta dalle dichiarazioni di Sanna Angelo (cognato dell’imputato).
2.2. Col secondo si duole dell’erronea applicazione dell’art. 340 cp, ritenuto dai
giudici sussistente senza un adeguato esame dell’elemento psicologico del reato
e senza considerare che Zirattu, prima di lasciare il servizio, avrebbe ben potuto
attivare il meccanismo della sua sostituzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei motivi di ricorso merita accoglimento.

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P)A

RITENUTO IN FATTO

1. Per quanto concerne le doglianze di difetto di motivazione, lamentato dal
ricorrente col primo motivo, in ordine alla affermata penale responsabilità, va
osservato che esse sono fondate su motivi non specifici. Con consolidato
orientamento, questa Corte ha avuto modo di precisare che “è inammissibile il
ricorso per Cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già
discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi
considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero,
dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza,

decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non
potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di
aspecificità….” (Cass. 4, 5191/2000, imp. Barone, rv. 216473).
In particolare il giudice di merito ha evidenziato come la versione della
persona offesa (che ha riferito di essere stato provocato dall’imputato mentre si
trovava dinanzi all’ambulatorio di guardia medica; di essere rientrato per evitare
discussioni e di essere stato costretto a uscire perché Sanna stava danneggiando
la sua autovettura; di essere stato aggredito da quest’ultimo e di aver riportato
lesioni nella regione del collo e della schiena) sia stata confermata dalla
certificazione medica prodotta e dai carabinieri intervenuti (che hanno
confermato di aver ricevuto da Zirattu telefonate secondo la cadenza temporale
riferita da quest’ultimo e di aver notato i danneggiamenti all’autovettura
dell’offeso), mentre quella dell’imputato (che ha parlato di provocazione portata
Zirattu mentre egli transitava, in auto, davanti all’ambulatorio) è rimasta del
tutto sfornita di prova. In virtù di tanto i giudici di primo e secondo grado hanno
fatto propria la versione dell’offeso, sulla base dell’ovvia considerazione che
Zirattu non può essersi procurato da solo le lesioni riscontrate sulla sua persona
e non può aver preordinato una messinscena in cui compaiono i carabinieri e
l’autoambulanza che lo ha trasportato in ospedale, mentre la versione
dell’imputato manca di plausibilità ed è affidata al suo propalare, posto che
nessuno dei testi da lui indicati ha riferito circostanze utili per la ricostruzione
dell’episodio nella direzione proposta (anche il fratello si è limitato a riferire di
aver notato Zirattu sulla soglia dell’ambulatorio e di aver scambiato con lui il
saluto).
Alla stregua di tanto, il giudizio espresso dal Tribunale e dalla Corte
d’appello, che hanno proceduto ad una disamina esaustiva e penetrante delle
fonti di prova e delle contrapposte versioni, non merita alcuna censura, a fronte
della riproposizione di doglianze dirette alla rivalutazione di circostanze di fatto
già correttamente esaminate in sede di merito.
2. Il motivo concernente la sussistenza del reato di cui al capo B) (interruzione di
pubblico servizio) è manifestamente infondato. Il reato è integrato, infatti, da

3

ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla

•.JRA
qualsiasi comportamento che provochi l’interruzione o il regolare svolgimento di
un pubblico servizio (la norma punisce chi “cagiona”, in qualsiasi modo,
l’interruzione o il turbamento). Non rileva che l’interruzione sia definitiva né che
il turbamento sia totale, essendo il reato integrato da una interruzione
momentanea, purché di durata non irrilevante, e da un turbamento relativo,
purché non insignificante (si veda Cass. Sez. VI, 28/4/04, Armando, che ha
ritenuto integrato il reato nella condotta di un soggetto che, aggredendo il
capotreno di un convoglio ferroviario, aveva determinato un ritardo del convoglio

significativa, perché ha determinato l’interruzione del servizio di guardia medica
fino al momento della sostituzione del medico. Né ha pregio l’argomento
difensivo, secondo cui l’attivazione tempestiva del meccanismo di sostituzione
avrebbe evitato l’interruzione del servizio e, quindi, la lesione dell’interesse
protetto: la sostituzione del medico non poteva essere (e non è stata)
immediata; e comunque è indifferente, ai fini della sussistenza del reato, la
predisposizione di riparazioni all’impedimento del servizio, trattandosi di condotte
che intervengono allorché l’offesa all’interesse protetto è già consumata.
Quanto all’elemento psicologico del reato, trattasi di motivo inammissibile perché
– come correttamente rilevato dal Pubblico Ministero d’udienza – è stato
sollevato per la prima volta in Cassazione; e comunque infondato, giacché il
delitto è integrato (anche) dal dolo eventuale (Cass, 11-2-1998, Barbieri). Nella
specie, è fuor di dubbio che il Sanna, aggredendo il medico, abbia accettato il
rischio di incidere negativamente sul servizio pubblico che quest’ultimo stava
svolgendo.
Il ricorso è pertanto inammissibile. Consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a
favore della Cassa delle ammende, che, in considerazione dei motivi di ricorso, si
reputa equo quantificare in C 1.000. L’imputato va anche condannato al
pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano in
dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000 a favore della Cassa delle ammende,
nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che
liquida in C 1.500, oltre accessori di legge.
Così deciso il 6/3/2014

di 15 minuti). Nella specie è fuori discussione che l’interruzione sia stata

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