Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15386 del 06/03/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 15386 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CESARIA ANTONIO N. IL 09/06/1966
avverso la sentenza n. 348/2009 CORTE APPELLO di ANCONA, del
01/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 06/03/2014

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Roberto Aniello, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata limitatamente all’aggravante di cui all’art. 625, n. 7, c.p., con
trasmissione degli atti al giudice a quo per la rideterminazione del trattamento
sanzionatorio.
– Udito, per il ricorrente, l’avv. Paola Giurgola, che si è riportata ai motivi del
ricorso.

1. La Corte d’appello di Ancona, con sentenza dell’1/10/2012, ha confermato, in
punto di responsabilità, quella emessa dal Tribunale di Urbino, all’esito di giudizio
abbreviato, nei confronti di Cesaria Antonio per furto aggravato in danno di
Pocognoli Andrea ed ha rimodulato la pena. Secondo i giudici, il ladro, dopo
essersi impossessato delle chiavi dell’abitazione di Pocognoli Andrea,
prelevandole dall’autovettura che questi aveva parcheggiato sulla pubblica via, si
introdusse nell’abitazione della vittima per asportarne gli oggetti d’oro ivi
custoditi.
La prova della responsabilità è stata desunta dal fatto che nella stessa
giornata e nello stesso posto (all’esterno di un ristorante in cui erano in corso i
festeggiamenti per un matrimonio) furono prelevate da altra autovettura (quella
di Medici Emanuele) le chiavi di casa del proprietario, per poi svaligiarne
l’abitazione sita a circa 60 km di distanza. In questo caso il Cesaria fu colto in
flagranza di reato, arrestato e processato per direttissima.

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse
dell’imputato, l’avv. Paola Giurgola, con due motivi.
2.1. Col primo censura la sentenza per illogicità della motivazione con riguardo
all’affermazione di responsabilità. Lamenta che la Corte d’appello abbia attribuito
valore indiziario a semplici congetture, in assenza di prove concrete che
rimandino ad una partecipazione del Cesaria al furto, ed abbia dato per certa la
partecipazione di un concorrente nei reati (quello per cui è processo e quello per
cui Cesaria è già stato giudicato), in assenza di prove o indizi che suffraghino
tale impostazione; che non abbia dato una precisa qualificazione al concorso
ipotizzato per il Cesaria (se morale o materiale) e non ne abbia individuato, in
concreto, le forme di espressione; che abbia valorizzato, contro l’imputato, un
dato assolutamente neutro (il fatto che l’auto della moglie fu notata nei pressi
dell’abitazione del Medici: luogo in cui il Cesaria fu arrestato), oltre che estraneo
al materiale probatorio legittimamente acquisito al processo.

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RITENUTO IN FATTO

2.2. Col secondo si duole della ritenuta sussistenza, in relazione al furto delle
chiavi dell’abitazione (capo A), dell’aggravante dell’art. 625, corna 1, n. 7, cp,
motivata con l’osservazione, del tutto incongrua, che insieme alle chiavi
dell’abitazione si trovavano altre chiavi (verosimilmente, quelle di dotazione
dell’auto), nonché della ritenuta inammissibilità del motivo per carenza
d’interesse (la Corte ha ritenuto che l’eliminazione dell’aggravante dell’art. 625,
comma 1, n. 7, non gioverebbe all’imputato, atteso che il numero delle
aggravanti contestate farebbe comunque rientrare il fatto nella previsione

derivantegli dall’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., ove sia confermata la
condanna per furto pluriaggravato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Entrambi i motivi di ricorso sono fondati.
1. Secondo i giudici di merito, la prova della responsabilità per entrambi i furti
contestati, avvinti dal nesso teleologico, è di ordine logico: il contesto ambientale
e le modalità dell’azione fanno ritenere, incontrovertibilmente, che entrambi i
furti (quello in danno di Medici e quello in danno di Procognoli) siano opera dello
stesso autore o degli stessi autori (i giudici hanno sottolineato che le auto erano
parcheggiate nello stesso piazzale e che entrambi i proprietari erano invitati alla
stessa cerimonia; che in entrambi i casi furono rubate prima le chiavi di casa e
poi svaligiate le abitazioni; che in occasione di uno dei furti fu notata, nei pressi
dell’abitazione del derubato, l’auto della moglie del Cesaria. Hanno pure
sottolineato che la complessità dell’operazione – le abitazioni distavano tra loro
circa 60 km ed entrambe distavano dal luogo della cerimonia altri 60 km richiedeva una meticolosa preordinazione dell’azione o una cooperazione nel
reato da parte di soggetti rimasti sconosciuti).
Il suddetto argomentare – sebbene espressione di un notevole sforzo di
razionalizzazione e di comprensione della vicenda – non è idoneo, però, a
ritenere provata la responsabilità del Cesaria oltre il ragionevole dubbio, perché
muove da presupposti che non hanno valenza univoca e sono in un caso
congetturale e in un altro incoerente col ragionamento spiegato. L’affermazione
che il ladro conoscesse tanto bene le abitudini delle vittime da sapere che
entrambe solevano lasciare in auto le chiavi dell’abitazione richiede, infatti, la
prova che il Cesaria conoscesse e frequentasse le famiglie di Medici e Procognoli
o un membro delle stesse, o almeno qualcuno in contatto con costoro:
circostanza su cui, invece, la sentenza tace. La distanza tra le abitazioni delle
vittime e quella tra Fossombrone (dove fu consumato il furto delle chiavi) e
l’abitazione dei derubati è stata valorizzata contro l’imputato (perché richiedeva

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dell’art. 625, comma 2, c.p.). Il ricorrente segnala, per converso, il pregiudizio

preordinazione e rapidità d’azione), ma depone anche in direzione contraria: per
le difficoltà che frapponeva all’esecuzione dei delitti da parte della stessa
persona, la quale avrebbe dovuto forzare le portiere delle automobili e
impossessarsi delle chiavi, individuare l’abitazione delle vittime (in sentenza non
è chiarito come ciò sia avvenuto), recarsi a Fabriano (dove risiedeva il
Procognoli) e frugare nell’abitazione di costui (dopo averla individuata), disfarsi
della refurtiva e quindi recarsi a Monte San Vito, nell’abitazione del Medici (dopo
averla individuata), dove fu sorpreso e arrestato. E’ evidente che tali condotte

non risulta si siano interrogati (in sentenza non viene precisato quanto tempo sia
intercorso tra il furto delle chiavi a Fossombrone e la sorpresa in flagrante a
Monte San Vito), sebbene si tratti di un dato essenziale per la congruità della
ricostruzione operata dalla Corte di merito. Infine, privo di significato – come
correttamente rilevato dal difensore – è il dato rappresentato dalla notazione
dell’auto del Cesaria presso l’abitazione del Medici, posto che si tratta del luogo
in cui l’imputato fu arrestato.
Quanto, poi, all’eventualità che Cesaria si sia avvalso della collaborazione di un
complice, si tratta di possibilità e non di evenienza concretamente accertata, che
introduce proprio la prospettiva in cui si è mossa la difesa: quella, cioè, che i
furti siano stati consumati da soggetti operanti autonomamente, seppur in
singolare coincidenza di tempi e di modi. D’altra parte, anche la cooperazione nel
reato, ipotizzata, in alternativa, dalla Corte d’appello, esige pur sempre che
vengano chiariti e provati i termini del concorso, non potendosi confondere
l’atipicità della condotta criminosa concorsuale con l’indifferenza delle sue
manifestazioni nella realtà. E tanto vale anche per il concorso morale, che esige,
quantomeno, un’attività rafforzativa dell’altrui proposito criminoso, su cui non
risulta che la sentenza si sia proficuamente intrattenuta.

2. Fondata è pure la doglianza che investe la contestate, e ritenuta, aggravante
della esposizione alla pubblica fede, sia sotto il profilo della sussistenza della
circostanza che della ammissibilità del motivo. Sotto quest’ultimo profilo è
senz’altro da condividere l’argomento del ricorrente, secondo cui non è per lui
indifferente che vengano ritenute sussistenti una o due aggravanti tra quelle
contemplate dall’art. 625, comma 1, cp, giacché, se è vero che bastano le
aggravanti dell’art. 625, comma 1, n. 2, c.p. e dell’art. 61, n. 2, cp., pure a lui
contestate, per rendere applicabile la più grave sanzione dell’art. 625, comma 2,
c.p., è anche vero che solo il concorso delle aggravanti (in numero di almeno
due) dell’art. 625, comma 1, rende inoperante – a favore del condannato – la
sospensione dell’esecuzione prevista dall’art. 656, comma 5, cp.

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esigevano la disponibilità di un lasso di tempo notevole, su cui i giudici di merito

Quanto, poi, al merito del motivo, va considerato che, secondo la risalente
giurisprudenza di questa Corte, il furto di oggetti che si trovino all’interno di
un’autovettura, lasciata incustodita sulla pubblica via, deve considerarsi
aggravato per l’esposizione alla pubblica fede a norma dell’art 625, n. 7 cod.
pen., quando si tratti di oggetti costituenti parte integrante del veicolo, come
autoradio, attrezzi in dotazione per le minute riparazioni, i pezzi di ricambio
comunemente indispensabili e i documenti di circolazione che, per necessita o
consuetudine, non vengano portati via al momento in cui l’autoveicolo viene

Allorché il furto ricada, invece, sopra oggetti solo temporaneamente o
occasionalmente lasciati nell’autovettura, per la sussistenza dell’aggravante de
quo deve ricorrere una situazione contingente di necessità, tale da indurre il
possessore a confidare nella “buona fede” dei consociati e nel rispetto della cosa
altrui che dagli stessi è lecito pretendere, tenendo altresì conto che il concetto di
“necessità” va inteso in senso relativo e non assoluto e comprende ogni
apprezzabile esigenza di condotta imposta da particolari situazioni, in
contrapposizione agli opposti concetti di comodità e di trascuratezza nella
vigilanza (Cass., n. 14978 del 24/3/2005). E’ necessario, pertanto, che il giudice
dia conto delle speciali ragioni che – in base alle circostanze concrete – hanno
reso necessitata la custodia della cosa all’intervo dell’autoveicolo.
Nel caso di specie tale “necessità” non è stata esplicitata, essendosi la
Corte di merito limitata ad affermare che “il mazzo di chiavi sottratto non
conteneva solo quelle dell’abitazione della persona offesa ma anche altre chiavi,
alcune delle quali verosimile dotazione dell’auto”. Dal che non è dato
comprendere se la “necessità”, rilevante ai sensi dell’art. 625, comma 1, n. 7,
c.p., sia collegata alla presenza, nell’auto, di una copia delle chiavi della stessa
vettura e se le la presenza delle chiavi suddette sia reale o solo “verosimile”.

3. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al giudice a quo
– rappresentato, nella specie, dalla Corte di appello di Bologna, essendo la Corte
d’appello di Ancona è a sezione unica – affinché, alla luce dei criteri sopra
esposti, riesamini il profilo della responsabilità e, ove concluda la propria
indagine in senso affermativo, giudichi della ricorrenza dell’aggravante dell’art.
625, comma 1, n. 7 c.p. secondo i criteri pure dianzi esposti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello
di Bologna.
Così deciso il 6/3/2014

lasciato incustodito (Cass. N. 10298 del 29/9/93; Cass., n. 7132 del 7/3/1972).

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