Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15382 del 06/03/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 15382 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MURGIA STEFANO N. IL 22/12/1980
MARONGIU MARIO N. IL 05/04/1982
PIRODDI SIMONE N. IL 28/06/1986
avverso la sentenza n. 25/2012 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
SASSARI, del 04/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 06/03/2014

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Roberto Aniello, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Cagliari, con sentenza del 4/10/2012, a conferma di
quella emessa dal Tribunale di Nuoro, ha condannato Murgia Stefano, Marongiu

parcheggiata sulla pubblica via, di notte, in numero di tre.
L’azione fu osservata dal proprietario, che memorizzò il vestiario di uno dei
giovani che facevano da palo mentre gli altri due si erano introdotti nel veicolo.

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse
di tutti gli imputati, l’avv. Paolo Giuseppe Pilia, che lamenta:
a) l’inosservanza di norme stabilite a pena di nullità, per il fatto che si è
proceduto, a suo giudizio, in assenza di querela, resa necessaria dalla
insussistenza dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede (il proprietario sostiene – era in grado di tenere sotto controllo visivo l’autovettura dalla finestra
della cucina);
b) il vizio di motivazione con riguardo alla prova della responsabilità, derivante sostiene – dalle discordanti dichiarazioni rese dalla persona offesa in istruttoria e
a dibattimento; dal contrasto delle dichiarazioni della persona offesa con quelle
dei testi di polizia giudiziaria; dalla pretermissione delle dichiarazioni di Corrias
Eleonora (teste a difesa).

CONSIDERATO IN DIRITTO

Entrambi i motivi di ricorso sono manifestamente infondati.

1. La ragione dell’aggravamento di pena stabilito dall’art. 625, comma 1, n. 7,
c.p., risiede nell’affidamento sulla “pubblica fede” che è costretto a riporre chi
deve lasciare la cosa propria incustodita, anche per breve tempo, e quindi
soggetta a rischio di sottrazione. Evidentemente, non v’è “affidamento” quando il
possessore eserciti sulla cosa una vigilanza continua e diretta, e non quando
eserciti, al contrario, una vigilanza generica, saltuaria ed eventuale (In tal senso,
Cass., n. del 16/7/1997, catter; Cass., n. del 28/05/1990, Milici). Nella specie,
anche se corrispondesse a verità che il detentore poteva controllare l’autovettura
dalla finestra di casa propria, non per questo sarebbe escluso l’affidamento – e

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Mauro e Piroddi Simone a pena di giustizia per il tentato furto di un’autovettura

quindi l’aggravante – essendo impensabile che un soggetto rimanga incollato alla
finestra di casa per evitare il furto della vettura parcheggiata in strada.
La ricorrenza dell’aggravante rende irrilevante, pertanto, la mancanza di querela
da parte del soggetto legittimato a proporla.

2. Decisamente inammissibile, per manifesta genericità, è il secondo motivo di
ricorso, che impinge la prova della responsabilità. In questo senso, va rilevato
come il difetto di specificità delle ragioni di doglianza (art. 581, lett. c) sia da

cassazione si fondi su motivi che si risolvono nella ripetizione di quelli già dedotti
in appello, motivatamente esaminati e disattesi dalla corte di merito, dovendosi i
motivi stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non
assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di
ricorso (Cass., Sez. V, 27.1.2005, Rv 231708; Cass., RV 206507; Cass., Rv
193046; Cass., Rv 186143; Cass., Rv 179874; Cass., Rv 177306; Cass., Rv
173594; Cass., Rv 164347).
Nel caso di specie il ricorrente non fa che ripetere, senza varianti di sorta, le
doglianze già prese in considerazione dalla Corte d’appello e contrastate con
argomenti incontrovertibili, laddove è stato fatto rilevare che la responsabilità di
tutti gli imputati discende dal sicuro riconoscimento del “palo” operato dalla
persona offesa (nella persona del Piroddi), dal fatto che i tre giovani furono
sorpresi – pochi minuti dopo l’allarme dato dalla vittima – dalla polizia mentre
viaggiavano contromano in una strada pressoché adiacente a quella del furto
tentato e dal fatto che all’interno del veicolo furono rinvenuti arnesi atto allo
scasso. Per contro, il ricorrente continua a insistere sulle modalità del
riconoscimento operato in Questura, sebbene la Corte d’appello abbia chiarito
che si trattò di una ricognizione informale e non di una vera e propria
ricognizione di persona; adduce difformità di resoconti tra la persona offesa e i
testi di polizia giudiziaria – soffermandosi su particolari discutibili o irrilevanti senza chiarire il finalismo dell’indagine proposta (se non è credibile la persona
offesa o non sono credibili i testi di polizia); continua a dolersi della
sottovalutazione delle dichiarazioni di Corrias Eleonora, sebbene la Corte abbia
spiegato – in maniera assolutamente ragionevole – che le dichiarazioni della
ragazza non aiutano minimamente la tesi difensiva, essendosi limitata a riferire
di aver parlato a telefono col fidanzato (uno dei tre imputati), verso la
mezzanotte, e di aver preso con lui appuntamento a Nuoro: circostanza per nulla
incompatibile col tentativo di furto posto in essere circa un’ora dopo.
Il ricorso, quindi, non rappresenta una critica ragionata della motivazione esibita
dalla Corte d’appello – al cui scardinamento dovrebbe essere diretto – ma la
mera riproposizione di argomenti a difesa, che si muovono su una linea parallela

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annoverare tra le cause generali di inammissibilità, allorché il ricorso per

a quella del giudicante, ed è perciò inidoneo a sostenere il vizio di motivazione
lamentato.
Il ricorso è pertanto inammissibile. Consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma a
favore della Cassa delle ammende, che, tenuto conto dei motivi di ricorso, si
reputa equo quantificare in C 1.000 ciascuno.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000 ciascuno a favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 6/3/2014

P.Q.M.

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