Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1538 del 22/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1538 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: ESPOSITO LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE ECCHER CLAUDIO N. IL 27/06/1951
avverso l’ordinanza n. 150/2007 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
05/04/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;
lette/set.ite le conclusioni del PG Dott. Fomu CO

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Data Udienza: 22/10/2013

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza in data 5/4/2011, la Corte di Appello di Napoli accoglieva limitatamente alla somma, molto inferiore a quella richiesta, di € 21.791,00 (di cui
10.000,00 equitativamente liquidate, in via aggiuntiva rispetto alla ordinaria
liquidazione secondo il criterio num7graf, 9per le peculiari conseguenze personali
della carcerazione) – l’istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione proposta da

giorni, perché imputato dei delitti di cui agli artt. 416 bis e 323 c.p.
Il procedimento relativo ai reati in discussione si era concluso con la sentenza del
Tribunale di Napoli del 28/6/2004, irrevocabile il 14/6/2005, con la quale l’imputato
era stato assolto dai reati ascrittigli.
2.Con il primo motivo il ricorrente deduce erronea applicazione della legge penale in
relazione agli artt. 314 e 315 c.p.p., nonché mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione in ordine alla determinazione del quantum
liquidato.
Osserva che la misura cautelare era stata adottata con riferimento a un’accusa
particolarmente infamante per un imprenditore, inerente alla partecipazione ad
un’associazione camorristica, con contestazione di condotte gravissime attinenti ad
attività illecite pretesamente poste in essere dal ricorrente nella qualità di legale
rappresentante responsabile e gestore della società Rizzani de Eccher, nel corso di
aggiudicazione ed esecuzione di importanti lavori pubblici. Ciò aveva cagionato
irreparabile discredito alla persona e all’intero gruppo imprenditoriale, con la
conseguente necessità di valutare in termini più ampi le “conseguenze personali e
familiari” derivanti dalla carcerazione subita.
3.Con il secondo motivo rileva che la valutazione dell’entità del risarcimento
risultava incongrua in relazione alla vicenda giudiziaria che aveva tolto all’uomo e
alla sua azienda la credibilità faticosamente acquisita sul campo: la notizia del
coinvolgimento nelle indagini e dell’arresto si era diffusa immediatamente, con
ripercussioni negative per l’intero gruppo imprenditoriale.
4.Con il terzo motivo deduce che era stato dimostrato il nesso eziologico tra la
detenzione e i danni patiti dal gruppo, in ragione dell’obbligata rinuncia
all’espletamento di gare per il divieto di stipulare contratti con la P.A. e il mancato
rilascio di certificazioni antimafia, con impossibilità per la società di operare sul
mercato nazionale dei lavori pubblici. Evidenzia, inoltre, le gravi conseguenze patite
dall’intera famiglia, in ragione delle umiliazioni connesse all’arresto di uno stretto
familiare, soprattutto in un ambiente ed in un contesto sociale qualificato, nonché le
ulteriori ripercussioni familiari e personali in ragione del deterioramento del

2

Claudio de Eccher, il quale era stato sottoposto a misura cautelare carceraria per 50

rapporto coniugale, tali da determinare la separazione coniugale alcuni anni dopo il
fatto.
4. L’Avvocatura Generale dello Stato con propria memoria conclude per la
declaratoria d’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso, evidenziando
la natura di rimedio indennitario e non risarcitorio della riparazione per l’ingiusta
detenzione, la rimessione della determinazione del quantum alle valutazioni del
giudice di merito, tranne casi di irragionevolezza (nella specie non ravvisabile in

mera detenzione).
Con sua memoria il ricorrente insiste preliminarmente per l’ammissione di udienza
pubblica e di udienza camerale partecipata; deduce come ulteriore profilo di nullità
la celebrazione del procedimento con rito camerale nella fase di merito; contesta
specificamente ogni rilievo formulato dal Ministero.

Considerato in diritto

5.Va affrontata preliminarmente la questione, sollevata dal ricorrente con le
memorie integrative, concernente la validità del rito camerale non partecipato nel
procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione, tanto in sede di legittimità
quanto in sede di merito.
Per quanto attiene al primo aspetto, valgono i rilievi formulati da Corte
Costituzionale n. 214 del 2013. Nella citata sentenza, come già nella precedente
decisione n. 80 del 2011, la Corte ha infatti evidenziato che, in ragione del
peculiare oggetto del giudizio di legittimità (dal quale esulano aspetti processuali in
relazione ai quali l’esigenza di pubblicità delle udienze è più avvertita, quali
l’assunzione delle prove e, in generale, l’accertamento dei fatti, mentre viene in
considerazione esclusivamente la risoluzione di questioni interpretative) la
trattazione camerale “non partecipata”, in assenza del pubblico, non si pone in
contrasto né con il principio dettato dall’art. 6, paragrafo 1, della CEDU e dalle fonti
internazionali e sovranazionali che sanciscono una regola consimile, ne’ con il
precetto della pubblicità dei giudizi insito nei principi costituzionali.
In applicazione del richiamato principio nessun profilo di nullità può in concreto
ravvisarsi per l’omessa partecipazione del ricorrente al procedimento di legittimità,
svoltosi nella forma camerale piuttosto che in quella dell’udienza pubblica.
Con riferimento alla rilevanza dell’udienza pubblica nel grado di merito che
caratterizza il procedimento di cui si discute, non risulta intervenuta, invece, alcuna
pronuncia da parte della Corte Costituzionale, la quale si è limitata ad accertare il
difetto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale connesso alla
mancata formulazione di istanza di trattazione in forma pubblica del procedimento

ragione dell’intervenuto congruo aggiustamento del criterio base rapportato alla

da parte dell’interessato nel precedente grado di giudizio. E’ stato richiamato in
proposito un postulato di evidenza logica già utilizzato largamente nella
giurisprudenza del giudice delle leggi, in forza del quale “una questione finalizzata a
riconoscere una determinata facoltà a una parte processuale è priva di rilevanza
attuale se, nel giudizio a quo, quella parte non ha mai manifestato la volontà di
esercitare la facoltà in discussione” e ciò perché, in assenza di tale manifestazione
di volontà, la rilevanza della questione risulta meramente ipotetica, non potendosi
ritenere con certezza che in caso di annullamento con rinvio del provvedimento

Facendo applicazione al caso in esame dei richiamati principi deve concludersi che,
in difetto di allegazione riguardo alla proposizione da parte del ricorrente di istanza
di partecipazione all’udienza camerale in sede di merito, il profilo di nullità del
procedimento non partecipato per contrasto con il richiamato principio della Cedu
non può essere preso in considerazione per difetto di interesse del ricorrente a
dedurlo.
Così risolta la questione di rito e venendo all’esame dei motivi d’impugnazione si
evidenzia, quanto alle prime due censure, relative alla congruità dell’importo
liquidato, che, secondo l’orientamento costante della giurisprudenza di questa Corte
“in tema di ingiusta detenzione, il controllo sulla congruità della somma liquidata a
titolo di riparazione é sottratto al giudice di legittimità, che può soltanto verificare
se il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento e non
sindacare la sufficienza o insufficienza dell’indennità liquidata, a meno che,
discostandosi sensibilmente dai criteri usualmente seguiti, lo stesso giudice non
abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia liquidato
in modo simbolico la somma dovuta” (Sez. 4, Sentenza n. 10690 del 25/02/2010
Rv. 246424).
Alla luce del principio richiamato risulta congrua la valutazione compiuta dal giudice
del merito ai fini della determinazione dell’indennizzo. L’importo liquidato in
aggiunta all’entità determinata mediante il criterio aritmetico, pur contenuto in
relazione alla gravità dell’accusa per cui è avvenuta l’imputazione, si rivela, infatti,
congruo laddove si consideri che non è in contestazione la circostanza, atta a
limitare le conseguenze dell’ingiusta detenzione in ambito economico e
commerciale, dell’esistenza in capo al ricorrente di pregresse condanne per reati
contro la Pubblica Amministrazione e per associazione per delinquere (pg. 3
dell’ordinanza impugnata), atte a significare che la misura cautelare disposta ha
inciso in una sfera imprenditoriale già compromessa.
In relazione al terzo motivo, va premesso che, valendo nella materia in argomento
il principio indennitario, sfuggono alla quantificazione dell’indennizzo quei pregiudizi
allegati che, al di fuori della sofferenza derivante dalla carcerazione – già valutata in
4

l’interessato si avvalga della facoltà di partecipare all’udienza.

termini di maggiore gravità rispetto ai parametri ordinari in ragione delle particolari
conseguenze negative sul piano economico e sociale subite dal ricorrente – non
sono direttamente riconducibili alla subita restrizione della libertà personale, ma,
piuttosto, alla vicenda giudiziaria in sé considerata, prescindendo dai suoi risvolti
sul piano cautelare. Nella specie le lamentate conseguenze negative sulle gare e sui
contratti risultano riconducibili alla vicenda processuale in sé, piuttosto che alla
ingiusta carcerazione subita, mentre le conseguenze negative sul piano familiare

l’altro adeguatamente incrementato.
9.In base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato. Ne consegue per il
ricorrente l’onere del pagamento delle spese processuali.
Spese compensate nei confronti dell’Avvocatura Generale dello Stato, in ragione del
limitato approfondimento delle questioni oggetto del giudizio.
P. Q. M.
La Corte
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Compensa le spese tra le parti.
Così deciso in Roma il 22 ottobre 2013.

devono ritenersi già ricomprese nel generale criterio nummario d’indennizzo, tra

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