Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15375 del 05/03/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 15375 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: POSITANO GABRIELE

Data Udienza: 05/03/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CECCONI GIANCARLO N. IL 03/05/1950
avverso la sentenza n. 303/2012 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
20/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

4b/t/

Il Procuratore generale della Corte di Cassazione, dott.ssa Elisabetta Cesqui, ha concluso
chiedendo il rigetto del ricorso.
Per il ricorrente è presente l’Avvocato Saverio Giangrandi, il quale chiede l’accoglimento del
ricorso, con annullamento della sentenza e rinvio.
RITENUTO IN FATTO
1. Il difensore di Cecconi Giancarlo propone ricorso per cassazione avverso la sentenza

riforma della decisione del Tribunale di Prato del 29 novembre 2010, veniva dichiarato non
doversi procedere, in ordine al reato di cui all’articolo 217 n. 4 e 219 della legge
fallimentare, per intervenuta prescrizione, confermando, per il resto, la condanna
dell’imputato per il reato di cui all’articolo 216 numero 1 e 219 della medesima legge, con
una riduzione della pena ad anni due di reclusione e concessione del beneficio della
sospensione condizionale della pena.
2. All’imputato si contestava che, quale amministratore unico fino alla 19 marzo 2003, della
società MBC Global Trading Company, dichiarata fallita il 6 novembre 2003, aveva sottratto
la somma di euro 84.747, facendola confluire nella ditta individuale ESTECO, di cui egli era
titolare, aggravando il dissesto della società ed astenendosi dal richiedere il fallimento della
società, benché la società fosse inattiva sin da94 2002 e, infine, di avere tenuto vari libri e
le scritture contabili in modo irregolare e incompleto.
3.

La Corte d’Appello di Firenze ha rilevato che, a fronte di un accertamento avvenuto in
contraddittorio in sede civile, come emerge dalla sentenza del Tribunale civile e dalla
consulenza di ufficio espletata in quella sede e richiamata anche dal curatore nella sua
testimonianza, la difesa aveva prodotto una relazione del consulente di parte che
sostanzialmente confermava gli esiti di quegli accertamenti, aggiungendo valutazioni in
termini di verosimiglianza, riguardo a condotte alternative. Ha precisato che il consulente di
parte si era sempre espresso in forma dubitativa riportando i pretesi pagamenti che
sarebbero stati effettuati dalla Esteco nei confronti della MBC, in termini di plausibilità,
precisando che neppure l’imputato, Cecconi Giancarlo, in sede di interrogatorio aveva
saputo offrire specifici elementi a sostegno del proprio assunto. Conseguentemente, con
riferimento al capo A, la Corte territoriale ha confermato la sentenza di primo grado.

4.

Avverso tale decisione propone ricorso la difesa di Cecconi Giancarlo lamentando:

vizio di motivazione ed errata applicazione della disciplina della bancarotta per distrazione,
con riferimento all’elemento soggettivo del reato;

vizio di motivazione in ordine alle risultanze dibattimentali, con particolare riferimento agli
esiti della consulenza tecnica di parte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata non merita censura.

emessa dalla Corte d’Appello di Firenze in data 20 dicembre 2012, con la quale, in parziale

1. Con il primo motivo la difesa del ricorrente denuncia vizio di motivazione ed errata
applicazione delkistte norme in tema di bancarotta per distrazione, con riferimento
all’elemento soggettivo del reato. In particolare, evidenzia che la decisione della Corte di
merito si fonda sul dato documentale del passaggio della somma di denaro di euro 84.747
dalla MBC alla ditta individuale di Cecconi Giancarlo, ma non ha valutato una serie di
ulteriori circostanze; in particolare, non avrebbe adeguatamente considerato i versamenti
che sarebbero stati effettuati dall’imputato nelle casse della società fallita e di cui vi è

secondo la difesa- ha tentato di ripianare le perdite, ad esempio, per l’esercizio 1999, per
un totale di lire 200 milioni circa ed avrebbe prestato garanzie personali anche per il
tramite dei propri familiari; infine, nei tre anni di amministrazione, non avrebbe percepito
alcun compenso. Tali elementi attestano la mancanza dell’elemento soggettivo. La censura
è inammissibile poiché introduce esclusivamente elementi di fatto non valutabili in questa
sede e già presi in esame adeguatamente dalla Corte d’Appello con motivazione corretta e
puntuale.
2. Con il secondo motivo lamenta vizio di motivazione in ordine alle risultanze dibattimentali,
con particolare riferimento agli esiti della consulenza tecnica di parte. Il consulente di parte
ha esaminato i diversi pagamenti effettuati dall’imputato tenendo conto che le scritture
contabili cessano di essere tenute in data successiva alla 31 dicembre 2001, con la
conseguenza che l’accertamento ha avuto ad oggetto pagamenti che non risultavano
contabilizzati nelle scritture della società, successivamente fallita. Per tali motivo il curatore
non ha tenuto conto di quelle indagini. La difesa evidenzia tutta una serie di tracce di
pagamenti, emissione di effetti cambiari e somme corrisposte a fornitori e dipendenti al fine
di supportare tale censura. Il motivo è inammissibile esulando, anche in questo caso, dal
novero di quelli consentiti dall’art. 606 c.p.p.. Infatti le censure con esso elevate, dietro
l’apparente denuncia di vizi della motivazione, si traducono nella sollecitazione di un
riesame del merito – non consentito in sede di legittimità – attraverso la rinnovata
valutazione degli elementi probatori acquisiti. La Corte di cassazione non deve stabilire se
la decisione di merito proponga la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne’ deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
logica e compatibile con il senso comune. L’illogicità della motivazione, come vizio
denunciabile, dev’essere, inoltre, percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità
essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime
incongruenze. Dunque, non è possibile per questa Corte procedere ad una ricostruzione
alternativa dei fatti, sovrapponendo a quella compiuta dai giudici di merito una diversa
valutazione del materiale istruttorio, se, come nel caso di specie, vi è congrua e logica
motivazione nel provvedimento (o, meglio, nei provvedimenti, dato che le motivazioni della
sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un
risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare

traccia nei documenti e nelle dichiarazioni del consulente tecnico di parte. L’imputato –

della congruità della motivazione; cfr. Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa, Rv.
236181).
p.q.m.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 5/3/2014

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