Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1535 del 17/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1535 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CUTRI’ SALVATORE N. IL 30/12/1982
avverso l’ordinanza n. 72/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
06/10/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
lette/seye le conclusioni del PG Dott. (-1 Arte” “12 INAte
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Data Udienza: 17/10/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Cutrì Salvatore, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata
la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 3.7.2007 al
23.6.2009 in relazione al delitto di cui agli artt. 110, 575, 576 n. 4 e 61 n. 1
cod. pen., per il quali era stato mandato assolto per non aver commesso il fatto
(sentenza irrevocabile il 6.11.2009).

riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto il
comportamento dell’odierno ricorrente aveva dato corso all’ordinanza di custodia
cautelare, individuando gli estremi della colpa grave, preclusiva al
riconoscimento dell’indennizzo richiesto.
Il Cutrì era stato tratto in arresto perché ritenuto concorrente con Grasso
Antonio nell’omicidio di Spagnuolo Rocco; secondo la ricostruzione degli
inquirenti, il Cutrì aveva preso parte all’alterco che si era verificato tra due
gruppi di giovani per l’ingresso in un locale pubblico; in quello contrapposto vi
era lo Spagnuolo, che ad un certo punto si era allontanato in compagnia del
Grasso e di un’altra persona. I tre erano saliti sull’autovettura dello Spagnuolo;
questa si era appena allontanata quando si erano uditi alcuni colpi di arma da
fuoco, che avevano raggiunto e ucciso lo Spagnuolo. La persona che era salita in
auto con la vittima ed il Grasso veniva dall’ordinanza cautelare identificata nel
Cutrì.
Ad avviso della Corte di Appello la condotta gravemente colposa del Curtì era
consistita nell’esser stato costantemente presente accanto al Grasso, sin dalle
prime discussioni con il gruppo di giovani che del quale faceva parte lo
Spagnuolo; discussioni che rendevano prevedibile il tragico epilogo.

2. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Con un primo motivo deduce violazione di legge, per aver la Corte di Appello
fondato il proprio giudizio su circostanze valorizzate dall’ordinanza di custodia
cautelare ma escluse dal giudizio di merito. Peraltro, si afferma, le valutazioni del
dato probatorio operate dal Gip risultano viziate da ‘errata o forzata lettura’; ed
al riguardo l’esponente opera una rivisitazione critica di talune emergenze
probatorie (riconoscimento fotografico del Curtì, contenuti delle intercettazioni e
dei tabulati telefonici, elaborazioni concernenti la giacitura dei bossoli esplosi).
Con un secondo motivo si lamenta vizio motivazionale, per aver la Corte di
Appello individuato la condotta gravemente colposa del Curtì in una generica
condivisione delle condotte e delle frequentazioni, nonché nel comportamento

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La Corte territoriale ha ravvisato l’insussistenza dei presupposti del diritto alla

omertoso; rileva l’esponente che l’essersi avvalso il Cutrì della facoltà di non
rispondere in dibattimento costituisce legittimo esercizio del diritto di difesa.
Inoltre, il Cutrì, tanto prima dell’omicidio che dopo, ebbe condotte in alcun modo
contrarie a norme.

3. Con memoria depositata il 1.10.2012 il Ministero dell’Economia e delle Finanze
ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso e in subordine il rigetto
dello stesso.

4. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.
4.1. A fronte dei rilievi mossi con il ricorso che si esamina è opportuno
premettere, con estrema sintesi, l’indicazione delle linee portanti della disciplina
dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, così come delineata dalla
giurisprudenza di legittimità.
In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare
se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave,
deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori
disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino
eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o
regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se
adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. U, n. 34559 del
26/06/2002 – dep. 15/10/2002, Min. Tesoro in proc. De Benedictis, Rv. 222263).
In particolare, quanto al compendio degli elementi valutabili, il S.C. ha
ripetutamente puntualizzato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno
della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per
ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa
grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia
cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che
successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento
della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. U,
n. 32383 del 27/05/2010 – dep. 30/08/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664; nel
medesimo senso già Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro
ed altri, Rv. 203636).
Va inoltre tenuta distinta l’operazione logica propria del giudice del processo
penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua
commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della
riparazione. Questi, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso
materiale, deve seguire un “iter” logico-motivazionale del tutto autonomo,
perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno

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CONSIDERATO IN DIRITTO

reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel
concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione”; ed in
relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare
il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di
controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica),
sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa
di esclusione del diritto alla riparazione (in tal senso, espressamente, Sez. U, n.
43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203638).

costante giurisprudenza di questa Corte è nel senso della possibile rilevanza delle
modalità di esercizio delle facoltà difensive, ma a ben precise condizioni. Infatti
si afferma che, ai fini dell’accertamento della sussistenza della condizione
ostativa della colpa grave dell’interessato – fermo restando l’insindacabile diritto
al silenzio o alla reticenza o alla menzogna da parte della persona sottoposta alle
indagini e dell’imputato – nell’ipotesi in cui solo questi ultimi siano in grado di
fornire una logica spiegazione, al fine di eliminare il valore indiziante di elementi
acquisiti nel corso delle indagini, non il silenzio o la reticenza, in quanto tali,
rilevano ma il mancato esercizio di una facoltà difensiva, quanto meno sul piano
dell’allegazione di fatti favorevoli, che se non può essere da solo posto a
fondamento dell’esistenza della colpa grave, vale però a far ritenere l’esistenza
di un comportamento omissivo causalmente efficiente nel permanere della
misura cautelare, del quale può tenersi conto nella valutazione globale della
condotta, in presenza di altri elementi di colpa. Sez. 4, Sentenza n. 7296 del
17/11/2011, Berdicchia, Rv. 251928).
Peraltro, la valorizzazione del silenzio serbato dal ristretto non può essere
portata di per sé a ragione dell’affermazione di sussistenza di colpa grave,
avendo essenziale rilievo che quel silenzio abbia mantenuto ignote all’autorità
procedente informazioni che, nella disponibilità del silente, avrebbero avuto
l’effetto di sottrarre gli inquirenti all’errore. Inoltre, ed è il secondo aspetto che
pure merita di essere rimarcato, quel silenzio va pur sempre accompagnato ad
altri elementi, convergenti verso la strutturazione di una condotta
macroscopicamente imprudente o negligente.
Siffatti principi comportano la necessità che la motivazione del provvedimento
reso sull’istanza di riparazione dell’ingiusta detenzione dia conto della natura e
consistenza degli elementi che, in possesso dell’istante, avrebbero potuto essere
rivelati e la cui mancata ostensione ha avuto sinergica efficienza causale nel
mantenimento della misura cautelare.

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Va poi rammentato che, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, la

4.2. Alla luce di tali premesse emerge con nettezza la manifesta infondatezza dei
rilievi del ricorrente concernenti la valutazione del materiale disponibile operata
dal Gip: trattasi di giudizio non censurabile in questa sede e che peraltro attinge
profili squisitamente di merito. Del pari manifestamente infondato è il motivo
concernente la valorizzazione della condotta asseritamente omertosa del Cutrì
perché (almeno in parte) modalità di esercizio del diritto di difesa.
4.3. Fondata, per contro, è la censura che segnala la valorizzazione di elementi
che, affermati con l’ordinanza di custodia cautelare, sono stati esclusi o ritenuti

La Corte di Appello da un canto ascrive al Curtì di essere “rimasto presente nel
gruppo in tutte le fasi che hanno portato al tragico epilogo”, il fatto di non
essersi “mai dissociato dalle pretese e dalle discussioni comuni agli amici”;
dall’altro dà conto della dichiarazione dell’imputato secondo la quale egli si era
allontanato prima dell’omicidio, distaccandosi dal Grasso. Ciò fatto formula una
serie di affermazioni chiaramente espressive di un giudizio di inattendibilità di
tale dichiarazione concludendo che “in una simile situazione, dove – si ripete ciascuno di costoro poteva avere sparati i quattro colpi di arma da fuoco che
avevano condotto a morte lo Spagnuolo – riconoscere al Cutrì l’indennizzo
richiesto significherebbe chiudere gli occhi alla storia di quelle ore in cui egli ha
condiviso tutti gli alterchi e tutte le discussioni, per poi inspiegabilmente
dismettere l’abito dell’arrogante partecipe per acquisire quello di chi non ne vuol
più sapere, lasciando che altri se la vedessero”.
Senonchè, secondo quanto riportato dalla stessa ordinanza impugnata, la
sentenza di assoluzione trova origine nella ritrattazione svolta da Rocco Spagnolo
(del 1975), che non ha reso possibile identificare il numero preciso e l’identità
dei giovani che si appartarono con Rocco Spagnuolo (vittima); né risulta
confutata e respinta la dichiarazione che il Curtì rese nel corso delle indagini (e
confluita nel fascicolo per il dibattimento in ragione del suo rifiuto di sottoporsi
all’esame), secondo la quale egli, una volta visto che gli animi si accendevano, si
era allontanato con la propria auto.
Le circostanze che per il Collegio distrettuale strutturano la colpa grave del Cutrì
risultano quindi ben diversamente descritte dal giudice del merito: non è
accertato che il Cutrì fosse tra quelli che erano in auto con la vittima e non è
stato escluso che egli si fosse effettivamente allontanato prima che la vicenda
giungesse al suo culmine. L’autonomia di giudizio che si riconosce al giudice della
riparazione si è quindi volta in una nuova e diversa descrizione dei fatti oggetto
del processo principale, con riflessi su circostanze di evidente rilevanza, delle
quali va valutato il peso, quanto meno in rapporto al comportamento tenuto nel
corso delle discussioni e del grado di conflittualità raggiunto dai due gruppi. In

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non provati con la sentenza assolutoria.

tal modo la Corte di Appello incorre in violazione di legge e rende una
motivazione manifestamente illogica, considerata la contraddizione tra le
premesse enunciate e le conclusioni alle quali perviene.
Operazione indebita quella della Corte di Appello, che peraltro relega ai margini
del percorso ricostruttivo imposto dall’istanza di indennizzo altri elementi, pure
incidentalmente citati ed in grado di assumere in astratto rilevanza ai fini della
decisione: si allude ai “plurimi contatti nella notte e fughe di ciascuno sin
dall’alba” che seguì alla tragica notte, con il Cutrì che fece ritorno in Calabria,

dell’imputato, mendaci laddove negavano la sua presenza in Lombardia nel
tempo anteriore all’omicidio.

5. Pertanto l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di
Appello di Milano, perché operi un nuovo esame dell’istanza avanzata dal Cutrì
alla luce dei principi e dei rilievi qui formulati; al medesimo giudice va rimesso
anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Milano, cui
rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17/10/2013.

che ebbe contatti telefonici con il Grasso alle ore 5,36; alle iniziali dichiarazioni

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