Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1534 del 17/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1534 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
X. VINCENZA N. IL 21/06/1964
MONTANARO ANTONIO N. IL 03/03/1959
avverso l’ordinanza n. 35/2009 CORTE APPELLO di BARI, del
03/10/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
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lette/sentite le conclusioni del PG Dott. 49:s: P4

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Data Udienza: 17/10/2013

RITENUTO IN FATTO
1. X. Vincenza e Montanaro Antonio, a mezzo del proprio difensore, hanno
proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la
quale è stata rigettata la loro istanza di riparazione, proposta in qualità di
ascendenti di Montanaro Francesco, in relazione all’ingiusta detenzione subita
per reato in ordine al quale è intervenuta archiviazione del procedimento per
morte del reo.

riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto – pur
ricorrendo il requisito della pronuncia di assoluzione dei coimputati per
insussistenza del fatto – gli istanti non hanno né dedotto né provato un danno
patito a seguito della detenzione subita dal defunto.

3.

I ricorrenti hanno chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata

lamentando erronea applicazione della legge. La Corte di Appello avrebbe
rigettato l’istanza sull’erroneo presupposto che gli eredi facciano valere
conseguenze dannose patite in proprio, laddove il giudice delle leggi ha stabilito
che gli eredi fanno valere il diritto dell’imputato deceduto, rispetto al quale non
vi è necessità di prova del danno.

4. Con memoria depositata il 12.10.2012 il Ministero dell’Economia e delle
Finanze ha chiesto la reiezione del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.
5.1. Come è noto, a seguito della sentenza della Corte costituzionale del 13
dicembre 2004 n. 413, l’art. 314, comma terzo cod. proc. pen., deve essere
interpretato nel senso che il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione
opera anche in favore degli eredi dell’indagato la cui posizione sia stata
archiviata “per morte del reo”, qualora nella sentenza irrevocabile di assoluzione
pronunciata nei confronti dei coimputati risulti accertata l’insussistenza del fatto
a lui addebitato (Sez. 4, Sentenza n. 30315 del 21/06/2005, Bottari ed altro, Rv.
232024). Nella definizione della natura di tale diritto, ed in particolare se si tratti
di diritto proprio degli eredi o piuttosto del diritto del defunto, questa Corte ha
assunto, con una pluralità di pronunce, una posizione per la quale “la riparazione
per l’ingiusta detenzione ha natura di indennizzo conseguente all’atto lecito
dannoso e pertanto, pur attribuendo l’art. 644 cod. proc. pen. agli eredi un
diritto “iure proprio”, esso è comunque commisurato a quello della persona
defunta, con la conseguenza che i prossimi congiunti possono far valere in

2

2. La Corte territoriale ha ravvisato l’insussistenza dei presupposti del diritto alla

giudizio il danno subito dal defunto (Sez. 4, Sentenza n. 20916 del 19/04/2005,
Pirrera ed altri, Rv. 231655; Sez. 4, Sentenza n. 76 del 22/11/2012, Pansini e
altro, Rv. 254377). Su tale premessa si reputa che non sussiste l’onere dei
congiunti subentrati, ex art. 644, comma primo, cod. proc. pen., richiamato
dall’art. 315 cod. proc. pen., di provare il pregiudizio subito nella propria sfera a
causa dell’ingiusta detenzione del congiunto, in quanto essi subentrano nel
diritto all’indennità dovuta a quest’ultimo e non già ad una nuova e diversa
indennità commisurata alle ripercussioni di detta ingiusta detenzione nella

5.2. L’ordinanza impugnata non fa corretto governo dei principi appena
evocati. Essa postula un onere degli eredi di dare prova del danno patito,
laddove questo è costituito dal danno subito dal congiunto. Danno che quindi va
quantificato secondo i noti criteri. Poichè la privazione ingiusta della libertà è di
per sè fattore generatore di conseguenze negative, sul piano personale, familiare
e sociale, la quantificazione della riparazione non può richiedere la necessaria
prova, e neppure l’allegazione, di specifiche voci di danno (pur essendo queste
da esaminare, ove siano adeguatamente rappresentate e sostenute), dovendosi
in ogni caso dar luogo ad una pronuncia equitativa da valutare, anche sotto il
profilo motivazionale, nella sua intrinseca ragionevolezza e non con criteri
mutuabili dai principi civilistici attinenti all’onere della prova. Diversamente è da
ritenersi quando la parte interessata intenda far si che nella determinazione del
“quantum” (sempre e comunque equitativa) si tenga conto di determinati,
specifici fattori idonei ad incidere sul risultato dell’operazione; allora essa è
gravata dall’onere di dare prova di tali fattori (Sez. 1, n. 4931 del 17/12/1991 dep. 17/01/1992, Ministero Tesoro in proc. Parente, Rv. 188915).

6. Pertanto l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di
Appello di Bari, cui va rimesso anche il regolamento delle spese tra le parti del
presente giudizio.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Bari, cui
rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17/10/2013.

propria sfera personale (Sez. 4, Sentenza n. 76/2012, cit.).

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