Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1531 del 09/07/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1531 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
NASUFI ALBAN N. IL 05.10.1991
Avverso la ordinanza del TRIBUNALE DEL RIESAME DI VENEZIA del 22/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI, viste le
conclusioni del PG in persona del dott. Roberto Aniello che ha chiesto il rigetto del ricorso.—
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 22 febbraio 2013, il Tribunale del riesame di Venezia rigettava
la richiesta di riesame proposta da Nasufi Alban, indagato di estorsione e spaccio di
sostanza stupefacente e confermava l’ordinanza cautelare emessa in data 4 febbraio
2013 dal GIP presso il Tribunale di Treviso, con cui il Nasufi .
Avverso tale decisione proponeva ricorso il Nasufi lamentando la illegittimità
2.
dell’impugnata ordinanza stante la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da Legda
Ayoub in quanto assunte senza gli avvertimenti di cui all’art. 63 c.p.p. e nei confronti di
soggetto indiziato di reato connesso nonché la violazione dell’art. 606 1 comma lett. e)
c.p.p. e la omissione e/o la illogicità della motivazione in ordine ai gravi indizi di
colpevolezza ed alle esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato. Va premesso in fatto che il minore Legdah Ayoub veniva
avvicinato da certo Alban, poi identificato nel Nasufi, persona che già in precedenza gli
aveva fornito della marijuana con la richiesta di provvedere alla vendita di 50 grammi
della predetta sostanza dietro il prezzo di 300 euro. Il minore invece di commerciarla
l’aveva consumata insieme ai suoi amici. Il Nasufi lo avvicinava nuovamente
chiedendogli di consegnargli i soldi e minacciandolo, in caso contrario, di portarlo dai
fornitori che “gliela avrebbero fatta pagare”, accompagnando la frase con due sberle.

Data Udienza: 09/07/2013

In quella occasione aveva voluto vedere il portafoglio del Legdahe vi aveva prelevato la
carta di identità dicendo che gliela avrebbe restituita solo dopo aver ricevuto i soldi.
Denunciato il fatto ai carabinieri ove il minore si era recato accompagnato dal padre,
d’accordo con i militi il Legdahe si incontrava con il Nasufi e gli consegnava una
banconota da cento euro. I carabinieri procedevano quindi all’immediato fermo del
Nasufi e di altra persona che lo aveva accompagnato all’appuntamento. Da tale episodio
scaturivano le imputazioni a carico del Nasufi
Ciò posto, osserva la Corte con riferimento al primo motivo di gravame: il Tribunale del
riesame respingendo analoghe censure dell’indagato ha precisato come nel caso di
specie si verta al di fuori della ipotesi di cui all’art. 63 c.p.p., trattandosi non
dell’assunzione di sommarie informazioni, ma piuttosto di una denuncia orale sporta dal
minore e recepita in apposito verbale. Sostiene a riguardo il ricorrente che anche a tale
atto andavano comunque applicate le modalità garantite di cui all’art. 63 c.p.p.
Osserva la Corte : anche a voler prescindere dalla circostanza che gli elementi indiziari
a carico del Nasufi non derivano solo dalla denuncia querela del minore, è comunque
assorbente la considerazione che , secondo costante giurisprudenza di questa Corte
(Sez. 3, Sentenza n. 15476 del 24/02/2004, Rv. 228546; Cass. 7 ottobre 1997,
Bonavota, Rv. 209162), dette dichiarazioni possono essere utilizzate contra alios,
poiché differenti sono i presupposti e la “ratio” dei due diversi regimi delineati dalla
norma di cui all’art. 63 c.p.p. al primo ed al secondo comma. Infatti, se entrambi sono
attuazione del principio “nemo tenetur se detegere” il primo comma dell’art. 63 cit.
riguarda la tutela di chi, senza aver ancora assunto la veste di indagato, vede mutata la
sua veste processuale in seguito alle dichiarazioni rese, mentre il secondo comma
concerne la diversa situazione di chi risulti già indiziato di reato e debba perciò essere
sentito, sin dall’inizio, con le garanzie previste per l’imputato o l’indagato. Ed invero, nel
primo caso la norma tende a tutelare il soggetto che ha reso dichiarazioni
autoindizianti, donde l’utilizzabilità delle dichiarazioni contra alios, mentre nell’altra
ipotesi l’inutilizzabilità erga omnes discende dalla volontà di evitare il pericolo di
dichiarazioni accusatrici, compiacenti o negoziate (cfr. Cass. sez. un. 9 ottobre 1996,
Carparelli, Rv. 206846). Peraltro, consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez.
6 12 luglio 2000 n. 8131, Pinto, Rv. 216927) ha ritenuto la prevalenza della qualità di
teste – persona offesa di un reato, qualora concorra con quella di imputato in un
procedimento connesso, giacché sono inutilizzabili solo le dichiarazioni autoindizianti
(Cass. sez. 5, 2 marzo 1999 n. 2846, Basili, Rv. 212865)
Con riferimento agli ulteriori motivi di gravame, va premesso che, come è noto, in
materia di provvedimenti de liberiate, la Corte di cassazione non ha alcun potere di
revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo
spessore degli indizi, ne’ di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato, in
relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, trattandosi di
apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che
ha applicato la misura e del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è quindi
circoscritto all’esame dei contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le
ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti,
ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento
(Sezione 4, 3 febbraio 2011, Di Rocco). In questa prospettiva, il vaglio
sull’apprezzamento della motivazione sviluppata dal Tribunale sfugge al sindacato di
legittimità. Ed invero nel provvedimento impugnato sono stati considerati sia gli
elementi indizianti quanto alla posizione del Nasufi (in particolare, olte agli elementi
derivanti dal contenuto della denuncia-querela, è stato sottolineato come
sostanzialmente questi sia stato arrestato in flagranza di reato e trovato in possesso
dei 100 euro appena ricevuti e della carta di identità del minore; come possa farsi
riferimento alle dichiarazioni del Nassiri e del padre del minore.
Quanto all’affermata sussistenza delle esigenze di cautela, il Tribunale del riesame ha
posto in rilievo la gravità dei fatti e la negativa personalità del ricorrente che, a dispetto
della sua pregressa incensuratezza, non ha avuto remore di sorta a dedicarsi all
spaccio di drofghe di divbersa tipologia, curando la sua, diffusione nella scuol
rivolgendosi personalmente ad un alunno minorenne. La misura adotttata – secondo il
provvedimento impugnato- appare l’unica idonea a salvaguardare le esigenze di tutela

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al
direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito
dall’art. 94 c. 1 ter disp. att. del c.p.p.
Così deciso nella camera di consiglio del 9 luglio 2013
IL CONSIGLIERE ESTENSORE

IL PRESIDENTE

della collettività e della comunità studentesca di Oderzo, mentre la custodia domestica
non è opportuna poiché dotata di ampi spazi di incontrollabilità e rimesag
prevalentemente per la sua esecuzione alla spontanea osservanza dell’interessato che si
è dimostrato soggetto inaffidabile, incurante del disvalore eí propri comportamenti,
attento solo a circoscrivere le proprie responsabilità ed a occultare i nomi dei propri
fornitori e degli altri clienti, con ciò dimostrando di essere pronto a riallacciare, appena
possibile, le sue illecite relazioni.
Risulta evidente l’esaustività delle argomentazioni del tribunale della libertà, che
basano il giudizio di conferma della misura attraverso un’analitica, affatto superficiale,
disamina con argomenti di fatto immeritevoli di alcuna censura in sede di legittimità, in
ragione anche dei ricordati limiti del giudizio di cassazione in materia di misure
cautelari.
4. Il ricorso va, dunque, rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Deve, altresì, disporsi che copia del presente provvedimento sia trasmesso al Direttore
dell’istituto penitenziario di competenza perché provveda a quanto stabilito nell’art. 94,
comma 1 ter, disp. att. c.p.p.

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