Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1530 del 27/06/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1530 Anno 2014
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

febbraio 2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI, viste le
conclusioni del PG in persona del dott. Piero Gaeta che ha chiesto il rigetto del
ricorso. E’ presente l’avvocato lemma Giuseppe come sostituto processuale
dell’avvocato Maio il quale si riporta ai motivi di ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 10 febbraio 2013 il Tribunale del riesame di Reggio
Calabria confermava l’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia
in carcere emessa dal GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria in data 4
dicembre 2012 nei confronti di Carbone Pasquale, indagato per i reati di cui agli
artt. 73 e 74 d.P.R. nb. 309/1990.
2. Avverso tale decisione ricorre a mezzo del difensore il Carbone deducendo la
violazione dell’art. 606, 1 comma lett. b) ed e) c.p.p. in relazione all’art. 273
stesso codice ed in relazione agli artt. 73 e 74 del d.P.R. n. 309/1990. E ciò
principalmente in ordine al ritenuto erroneo ed illogico percorso valutativo circa il
concetto di gravità indiziaria, alla valutazione della conversazione fra terze
persone ed, infine, in ordine alla contestazione di partecipazione quale
organizzatore ad un’associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Le censure contenute nel ricorso sono in parte generiche (e quindi inammissibili),
in parte infondate. Il ricorso, dunque, è, nel suo complesso, meritevole di rigetto.
Va premesso che, come è noto, in materia di provvedimenti de libeitte, la Corte

Data Udienza: 27/06/2013

di cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali
delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne’ di rivalutazione
delle condizioni soggettive dell’indagato, in relazione alle esigenze cautelari ed
alla adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti
nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del
tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame dei
contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che
lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la
congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento
(Sezione 4, 3 febbraio 2011, Di Rocco). In questa prospettiva, il vaglio
sull’apprezzamento della motivazione sviluppata dal Tribunale sfugge al sindacato
di legittimità.
Infatti, quanto alla sussistenza dei gravi indizi, il provvedimento impugnato, li
elenca e li valuta in maniera dettagliata ed approfondita, facendo riferimento
tanto al contenuto delle eseguite intercettazioni sia telefoniche che ambientali,
quanto all’esito delle indagini condotte dalla polizia giudiziaria in merito alle
predette intercettazioni. In ordine dunque alla gravità indiziaria, il provvedimento
de quo appare adeguatamente motivato. Quanto in particolare al delitto
associativo, il tribunale del riesame, interpreta in maniera coerente e logica – e
dunque insindacabile in questa sede – il contenuto delle intercettazioni effettuate.
Numerose sono le considerazioni che il collegio cautelare sviluppa per fondare il
suo assunto, richiamando oltre all’elevatissimo numero delle chiamate in un
intervallo temporale di poco meno di un anno tra soggetti per i quali non appare
plausibile la esistenza di relazioni commerciali così stringenti, una serie di
elementi fondamentali tipici, ricorrenti e rappresentativi della procedura di
cessione di sostanze stupefacenti, quali tra l’altro, le trattative più o meno
laboriose per il reperimento del materiale e per la individuazione del luogo di
incontro, la stretta consequenzialità tra le conversazioni telefoniche e gli incontri
stessi, l’improvvisazione e l’apparente causalità di questi ultimi, ecc.
A tali dati obiettivi il tribunale aggiunge quanto, in particolare,
al reato
associativo, la considerazione, certo non illogica, in base alla quale la rassegna
(.)
degli episodi addebitatigli consente di apprezzare i consolidati rapporti
dell’indagato con altri membri dell’organizzazione criminosa ed il suo stabile
inserimento, quale abituale fornitore dello stupefacente dell’organizzazione
criminosa. Da tali dati – coerentemente e logicamente coordinati – il collegio
cautelare ha tratto l’argomentato convincimento della intraneità del Carbone
all’associazione.
Quanto le esigenze cautelari, il tribunale del riesame, dopo aver richiamato la
presunzione normativa di cui all’art. 275 comma 3 c.p.p. ha parimenti sviluppato
idonea motivazione, facendo riferimento alla gravità dei reati contestati e
considerando anche esplicitamente la negativa personalità del Carbone, valutata
nell’ottica di un’elevata probabilità di reiterazione criminosa.
Risulta evidente l’esaustività delle argomentazioni del tribunale della libertà, che
basano il giudizio di conferma della misura attraverso un’analitica, affatto
superficiale, disamina con argomenti di fatto immeritevoli di alcuna censura in
sede di legittimità, in ragione anche dei ricordati limiti del giudizio di cassazione
in materia di misure cautelari.
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Deve, altresì, disporsi che copia del presente provvedimento sia trasmesso al Direttore
dell’istituto penitenziario di competenza perché provveda a quanto stabilito nell’art. 94,
comma 1 ter, disp. att. c.p.p.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La
Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al direttore
dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall’art. 94
comma 1 ter disp. att. c.p.p.

Così deciso nella camera di consiglio del 27 giugno 2013
IL ESIDENTE

IL CONSIGLIERE ESTENSORE

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