Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1529 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1529 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
BRESCIA
nei confronti di:
FRANZE’ ROBERTO N. IL 17/04/1976
avverso la sentenza n. 2771/2012 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
05/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. F el N c Ere?) Rami
che ha concluso per ì t q,;6,a2ii Qta r1,1′ e..1) 44- 3

I

Udito, per la parte
ifensor Avv.

Data Udienza: 12/12/2013

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 28/09/2011 il Tribunale di Brescia condannava Franzè
Roberto alla pena di mesi 6 di reclusione ed euro 200 di multa perché
riconosciuto colpevole del delitto di furto aggravato di una confezione del
farmaco Rivoltril di proprietà dell’amministrazione penitenziaria, previa
concessione delle attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante e
alla recidiva, assolvendo invece il coimputato Di Leo Giuseppe, assistente di

per non aver commesso il fatto.
Il primo giudice, dopo aver esposto analiticamente i risultati dell’attività
istruttoria dibattimentale, era giunto alla conclusione che la boccetta vuota di
Rivoltril (uno psicofarmaco) rinvenuta il 16 luglio 2008 nel corso di una
perquisizione all’interno della cella del Franzè, unitamente ad una bottiglietta
d’acqua che odorava di farmaco, era stata sottratta dall’infermeria del carcere
verosimilmente dallo stesso Franzè, che poteva aver approfittato del fatto che
tale farmaco era custodito – come tutti quelli di uso giornaliero – in una
vetrinetta della sala visite lasciata aperta, sicché la sottrazione ben poteva
essere avvenuta nel corso di una delle visite mediche cui lo stesso era stato
sottoposto durante la detenzione.
Pronunciando sull’appello proposto dal Franzè, che deduceva l’insufficienza,
sotto vari profili, dell’istruttoria acquisita a fondare il contestato giudizio di
colpevolezza e rilevava inoltre, con successiva memoria depositata in data
24/1/2013, la nullità assoluta della sentenza di primo grado, per essere stata
svolta l’attività di assunzione delle prove a carico del Franzè in assenza di
quest’ultimo e del suo difensore, la Corte d’appello di Brescia, con sentenza resa
in data 5 marzo 2013, in riforma della decisione impugnata, assolveva
l’appellante dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste.
Rilevava a fondamento, anzitutto, che «l’assunzione delle prove testimoniali

e, più in generale, l’attività istruttoria svolta all’udienza del 4 novembre 2010,
dopo che era stata disposta la separazione del giudizio nei confronti dell’imputato
Franzè, in assenza di quest’ultimo e del suo difensore»,

sebbene non

comportasse il denunciato vizio di nullità assoluta della sentenza di primo grado
(atteso che le prove erano state comunque correttamente assunte per il
coimputato), ne comportava tuttavia la loro inutilizzabilità nei confronti del
Franzè

«trattandosi di prove acquisite in palese violazione del principio

costituzionale del contraddittorio nella formazione della prova, non ricorrendo
peraltro alcuna delle circostanze derogatorie al suddetto principio, ovvero 11

polizia penitenziaria della casa circondariale di Brescia ove il furto era avvenuto,

consenso dell’imputato, l’accertata impossibilità di natura oggettiva, l’effetto di
comprovata condotta illecita».
Soggiungeva inoltre che,

«anche a prescindere dalla declaratoria di

inutilizzabilità di parte delle prove assunte», non poteva comunque affermarsi,
«in esito al dibattimento, la provenienza del farmaco rinvenuto all’interno della
cella e, nello specifico, se esso fosse di proprietà dell’amministrazione
penitenziaria».

Rilevava, infatti, che

«nessuno dei testimoni esaminati ha

confermato tale provenienza, riferendo al contrario della sostanziale impossibilità

giornaliero, per il quale non vengono tenuti registri di carico e scarico; il flacone
in questione, d’altro canto, non recava alcun segno esteriore che potesse
ricondurlo alla proprietà dell’amministrazione penitenziaria».

Evidenziava

peraltro che era anche rimasta in ombra «la diretta riferibilità del flacone

sequestrato all’odierno appellante»

atteso che «la mancata acquisizione al

fascicolo del dibattimento del verbale di perquisizione, così come la mancata
assunzione degli agenti operanti, non ha consentito di appurare in termini di
certezza non solo quanti detenuti si trovassero all’interno della cella, ma neppure
se il farmaco sia stato rinvenuto, o meno, tra gli effetti personali del Franzè».

2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il Procuratore
Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Brescia denunciando vizio
di inosservanza di norme processuali (ex art. 606, comma 1, lett. c, cod. proc.
pen.) e, segnatamente, degli artt. 181, comma 4, 191, commi 1 e 2, 526,
comma 1, 597, comma 1 e 603, comma 3, cod. proc. pen., in relazione alla
ritenuta utilizzazione da parte del giudice di primo grado di prove assunte in
violazione del contraddittorio.
Deduce che l’utilizzazione ai fini della decisione del giudizio di primo grado di
prove assunte nel processo a carico del coimputato Leo Giuseppe, dopo che era
stata stralciata la posizione dell’attuale imputato per legittimo impedimento,
posizione poi riunita a quella del Leo, non comporta nullità rilevabile d’ufficio in
ogni stato e grado, ma solo una nullità relativa come tale rientrante nella
previsione di cui all’art. 181 comma 4 cod. proc. pen. con la conseguenza che,
non essendovi stata tempestiva impugnazione sul punto da parte dell’imputato,
la stessa è da considerarsi sanata. A tal riguardo rileva infatti che il difensore
non ha fatto valere tale censura con l’atto d’appello o con motivi aggiunti
tempestivamente depositati ex art. 585 comma 4 cod. proc. pen., bensì solo con
memoria depositata il 24/01/2013 mentre l’udienza per il giudizio d’appello era
fissata per il 23/01/2013. Soggiunge che peraltro implicita ma univoca
acquiescenza all’utilizzo di tali prove doveva desumersi dal fatto che, quando

di accertare l’origine del flacone, trattandosi di un farmaco di uso comune e

all’udienza del 2/3/2011 il Tribunale ha disposto la riunione del procedimento
stralciato, il difensore di Franzè nulla ha eccepito sul punto né ha chiesto la
rinnovazione delle prove assunte all’udienza del 4/11/2010.
In punto di rilevanza di tale tema del giudizio assume che, avendo escluso le
prove sopra indicate, la Corte non ha potuto valorizzare quanto era emerso nel
processo di primo grado e di cui il Tribunale dà conto nella sua sentenza, ossia:
che era stata esclusa la provenienza del medicinale dall’esterno della struttura
carceraria; che il farmaco suddetto era certamente presente nell’infermeria del

impossessarsene in caso di disattenzione del personale; che l’imputato ne faceva
uso e aveva chiesto varie volte di avene una disponibilità autonoma al fine di
diluirlo in una bottiglia d’acqua e assumerlo ogni qual volta ne avesse bisogno;
che a tale richiesta non era stato dato corso e che era vietato che i detenuti
potessero avere farmaci in cella essendo previsto che la somministrazione dei
farmaci avvenisse de visu tramite l’infermiere portando al detenuto una dose
singola e verificando che l’assumesse; che nella cella del Franzè a seguito di
perquisizione era stata trovata una bottiglia d’acqua che odorava di tale farmaco
e una boccetta di Rivoltril vuota.
Sotto altro connesso profilo, il ricorrente deduce infine violazione dell’art.
603 comma 3 cod. proc. pen. nella parte in cui la corte territoriale rileva di non
poter pervenire a un convincimento positivo circa la diretta riferibilità del flacone
sequestrato all’appellante per la mancata acquisizione al fascicolo del
dibattimento del verbale di perquisizione (oltre che per la mancata assunzione
degli agenti operanti); invero giacché il verbale di perquisizione è un atto di
polizia giudiziaria di natura irripetibile e come tale deve far parte degli atti del
fascicolo per il dibattimento, la Corte – secondo il ricorrente – avrebbe dovuto
acquisirlo con rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale d’ufficio avendone
implicitamente ritenuta la assoluta necessità, tanto più che aveva escluso la
utilizzabilità di molte prove dibattimentali.
Allo stesso modo – sostiene ancora il ricorrente – la corte d’appello avrebbe
dovuto ritenere assolutamente necessario sentire gli agenti operanti se aveva
riconosciuto che questo era un ulteriore aspetto “rimasto in ombra”.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato.
La sentenza impugnata si fonda su due alternative rationes decidendi.
La seconda di esse, diversamente da quanto postulato dal ricorrente, si basa
sulla valutazione dell’intero materiale istruttorio acquisito nel dibattimento,

carcere e che i detenuti che accedevano nell’infermeria potevano

comprese le prove testimoniali assunte all’udienza del 4/11/2010, delle quali
pure la stessa corte territoriale, con la prima alternativa motivazione, aveva
ritenuto l’inutilizzabilità.
Inequivoca in tal senso appare l’osservazione (contenuta in apertura del
penultimo capoverso di pagina 4 della sentenza e già sopra ricordata) secondo
cui «anche a prescindere dalla declaratoria di inutilizzabilità di parte delle prove

assunte, va ritenuta la fondatezza delle argomentazioni difensive nella parte in
cui rilevano come non sia stato possibile appurare, in esito al dibattimento, la

esso fosse di proprietà dell’amministrazione penitenziaria».
A giustificazione di tale affermazione la corte territoriale offre poi una
valutazione completa e congruamente motivata, che non rivela lacune o
incoerenze, avendo essa in particolare evidenziato, come già riferito in
premessa, che: «nessuno dei testimoni esaminati» (considerati dunque anche
quelli la cui deposizione pure è indicata come inutilizzabile) ha confermato la
provenienza del farmaco dall’infermeria del carcere; il flacone non recava alcun
segno esteriore che potesse indicare tale provenienza; non poteva affatto
escludersi che il farmaco, nonostante i controlli in vigore, sia stato introdotto
dall’esterno; non era possibile affermare la diretta riferibilità del flacone in
sequestro al Franzè; il flacone rinvenuto peraltro era vuoto e non v’era certezza
che lo stesso fosse stato riversato nella bottiglietta d’acqua rinvenuta nella
disponibilità dell’imputato, ciò essendosi in primo grado supposto sulla base di un
giudizio olfattivo espresso da alcuni testi in via del tutto soggettiva, e in termini
peraltro dubitativi (la bottiglietta «forse» odorava di farmaco), in assenza di
alcun accertamento di tipo chimico-tossicologico effettuato sul liquido in
questione; la circostanza che il Franzè avesse in precedenza assunto tale
tipologia di farmaco, di cui aveva fatto ulteriore richiesta in tempi coevi al
ritrovamento del flacone nella cella, non può assumere valore dirimente,
trattandosi di sostanza di uso comune, frequentemente assunta dalla
popolazione detenuta.
Tale motivazione resiste alle censure del procuratore distrettuale che sul
punto, invero, si limita a ben vedere ad offrire una mera alternativa valutazione
delle medesime emergenze istruttorie, come tale inidonea a giustificare un
giudizio di “manifesta illogicità” di quella invece contenuta nella sentenza
impugnata.
Questa peraltro si articola, come visto, in una serie di rilievi distinti ma tutti
convergenti a supporto del convincimento dell’infondatezza della accusa e come
tali idonei anche a giustificare il mancato esercizio – di cui pure il ricorrente si
duole – del potere di rinnovazione dibattimentale ai fini dell’acquisizione al

provenienza del farmaco rinvenuto all’interno della cella e, nello specifico, se

fascicolo del dibattimento del verbale di perquisizione e/o dell’esame
testimoniale degli agenti operanti. Permangono infatti comunque altri elementi
(quale, tra quelli sopra ricordati, il mancato rinvenimento con certezza di tracce
del farmaco all’interno della bottiglietta nella disponibilità dell’imputato) che nulla
autorizza a ritenere possano essere confutati dall’esito delle prove che si trattava
eventualmente di assumere ex art. 603 cod. proc. pen. e comunque di per sé
sufficienti a suffragare un giudizio di insufficienza degli elementi d’accusa.
Non vi sono pertanto margini per poter ritenere sindacabile l’operato sul

Trattasi invero, come noto, per costante affermazione, di potere di carattere
eccezionale, esercitabile pertanto solo in ipotesi di assoluta necessità a sua volta
ravvisabile solo quando allo stato degli atti risulti impossibile decidere allo stato
degli atti, ossia quando, come è stato condivisibilmente evidenziato, anche alla
luce del rilievo ermeneutico doverosamente attribuibile all’art. 111 Cost., «i dati

probatori già acquisiti sono contraddittori od incerti nonché quando l’incombente
richiesto rivesta carattere di decisività nel senso che lo stesso possa eliminare le
eventuali suddette contraddizioni od incertezze oppure sia di per sé
oggettivamente atto ad inficiare ogni altra risultanza» (Sez. 6, n. 9333 del
27/06/1995, Puddu, Rv. 202595).

4. Sebbene le considerazioni che precedono risultino assorbenti, pare
opportuno altresì incidentalmente osservare che è corretto il rilievo, contenuto in
sentenza (ancorché, come detto, superato di fatto nella alternativa

ratio

deddendi sopra esaminata), relativo alla inutilizzabilità delle prove testimoniali
assunte in assenza dell’imputato e del suo difensore, nell’udienza medesima in
cui era stata disposta la separazione del giudizio nei suo confronti e si era quindi
proceduto alla detta assunzione nell’ambito del procedimento separatamente
proseguito nei confronti dell’altro coimputato.
Ai sensi, infatti, dell’art. 238, comma 2 bis, cod. proc. pen. (introdotto
dall’art. 3, L. 7 agosto 1997, n. 267 e poi novellato dall’art. 9, L. 1 marzo 2001,
n. 63) i verbali di dichiarazioni resi in altro procedimento penale (quale
certamente deve ritenersi quello svoltosi separatamente nei confronti del
coimputato, ancorché successivamente riunito a quello nei confronti
dell’imputato della cui posizione si tratta)

«possono essere utilizzati contro

l’imputato soltanto se il suo difensore ha partecipato all’assunzione della prova»,
salvo che l’imputato vi acconsenta o che si tratti di atto irripetibile, nei limiti di
cui al comma 3 della citata disposizione: ipotesi queste che nella specie
certamente non possono ravvisarsi, non potendosi in particolare desumere il
consenso all’utilizzazione dell’imputato dal mero silenzio dello stesso sul tema

punto della corte territoriale.

una volta che, successivamente all’assunzione della prova testimoniale nel detto
contesto di separazione dei procedimenti, questi erano stati nuovamente riuniti.
Trattasi indubbiamente di una previsione di inutilizzabilità in quanto tale
insanabile e rilevabile d’ufficio (art. 191, comma 2, cod. proc. pen.: v. Sez. 4, n.
6839 del 15/01/2009, )endoubi Nouri, non mass. sul punto), dovendosi per
contro ritenere infondato l’opposto assunto interpretativo del ricorrente che, non
tenendo conto del suddetto dato positivo, ritiene trattarsi di nullità relativa

5. In ragione delle superiori considerazioni, il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Così deciso il 12/12/2013.

sanabile se non ritualmente eccepita ex art. 181, comma 4, cod. proc. pen..

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