Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15251 del 13/12/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 15251 Anno 2014
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

Data Udienza: 13/12/2013

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SASSI KAMEL N. IL 16/05/1970
avverso l’ordinanza n. 187/2012 TRIBUNALE di LIVORNO, del
18/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

fl

9

(

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 18 gennaio 2013 il Tribunale di Livorno,
giudice dell’esecuzione, ha respinto la domanda di Sassi Kamel di
applicazione della disciplina della continuazione tra i fatti, separatamente
giudicati, di cui a quattro sentenze di condanna: la prima per i reati di
minaccia e resistenza a pubblico ufficiale, commessi in Livorno il 12 maggio
2006; la seconda per rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale,

pubblico ufficiale e rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale,
commessi in Livorno il 17 ottobre 2007; la quarta per il reato di rapina
impropria, commesso in Livorno il 26 maggio 2006.
Con la stessa ordinanza il Tribunale ha revocato la condanna del Sassi
per il reato previsto dall’art. 6, comma 3, d. Igs. n. 286 del 1998, come
novellato dall’art. 1, comma 22, lett. h), legge 15/07/2009, n. 94
(Disposizioni in tema di sicurezza pubblica), postulando il nuovo testo del
detto articolo che lo straniero, obbligato ad esibire agli ufficiali e agenti di
pubblica sicurezza, che ne facciano richiesta, congiuntamente, il documento
di identificazione e il titolo che legittima il suo soggiorno in Italia, non sia
irregolarmente presente sul territorio nazionale.
A ragione della decisione il Tribunale ha addotto che i fatti erano stati
commessi in tempi diversi e, trattandosi di minaccia, resistenza a pubblico
ufficiale e rifiuto di fornire le proprie generalità, costituivano reati di impeto,
posti in essere sulla base di situazioni contingenti, tra i quali non era
ravvisare alcun collegamento e previsione anche generica di ripetizione,
senza tacere la totale eterogeneità del delitto di rapina, commesso il 26
maggio 2006.
Il Tribunale ha, inoltre, respinto la richiesta difensiva intesa a ritenere
non applicabile, sulla base delle disposizioni introdotte con la legge n. 94
del 2009, la norma incriminatrice di cui all’art. 651 cod. pen. al cittadino
extracomunitario in posizione di clandestinità e privo di documenti di
identificazione.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il
Sassi tramite il difensore, il quale deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1,
lett. b) ed e), cod. proc. pen.: a) violazione dell’art. 651 cod. pen. e degli
artt. 666 e 673 cod. proc. pen., in relazione all’art. 1, comma 22, lett. g),
legge 15/07/2009, n. 94, e contraddittorietà della motivazione sul punto; b)
violazione di legge (artt. 81 c.p., 666 e 671 cod. proc. pen. in relazione agli

commessa in Livorno il 15 luglio 2007; la terza per i reati di resistenza a

artt. 3, 24 e 27 Cost.) e contraddittorietà della motivazione, precisando di
aver richiesto l’applicazione della disciplina della continuazione solo tra reati
omogenei, ad esclusione della rapina, commessa il 26 maggio 2006.

CONSIDERATO in DIRITTO

1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Correttamente il Tribunale ha ritenuto che le modifiche apportate al

differente reato di cui all’art. 651 cod. pen., poiché tale norma punisce una
condotta del tutto differente e finalizzata a consentire alle forze dell’ordine
di generalizzare le persone nei confronti delle quali sono in corso attività di
servizio, precisando che l’obbligo di dare indicazioni sulla propria identità
deve ritenersi valido per tutti i cittadini, comunitari e non, essendo
funzionale ai compiti d’istituto della polizia (identificare le persone coinvolte
nelle attività di servizio e permettere i successivi eventuali controlli
sull’autenticità delle dichiarate generalità).
2. Il secondo motivo, che sollecita un riconoscimento parziale della
continuazione con riguardo ai fatti di resistenza a pubblico ufficiale e rifiuto
di indicare le proprie generalità, ove quest’ultima violazione sia ritenuta
applicabile anche agli stranieri, è generico e, comunque, postula un diverso
giudizio di merito non ammissibile in questa sede.
Il giudice dell’esecuzione, invero, con motivazione completa e coerente,
immune da vizi logici e giuridici, e, perciò, insindacabile in questa sede, ha
dato ampia ragione, nei termini già sopra riferiti, della negata applicazione
della disciplina del reato continuato.

i. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616,
comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del
2000), anche la condanna al versamento a favore della cassa delle
ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare, tra il
minimo ed il massimo previsti, in euro mille.

2

d.lgs. n. 286 del 1998 dalla legge n. 94 del 2009, cit., non incidano sul

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 13 dicembre 2013.

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