Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1524 del 20/11/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 1524 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) CONFORTINO MARCO N. IL 27/03/1977
avverso il decreto n. 50/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
03/11/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 20/11/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto del 3 novembre 2011, la Corte d’appello di Milano ha
rigettato il ricorso proposto da Confortino Marco per l’annullamento del decreto
del 6 maggio 2011 del Tribunale di Milano – Sezione autonoma misure di
prevenzione, che aveva applicato allo stesso la misura di prevenzione della
sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune

l’infondatezza delle censure per essere sussistenti i presupposti soggettivi e
oggettivi della disposta misura e per essere il giudizio di pericolosità sociale
attuale e tale da giustificarne il mantenimento, unitamente all’imposto obbligo di
soggiorno, nella sua intera durata.
2. Avverso detto decreto ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del
suo difensore, Confortino Marco, che ne chiede l’annullamento sulla base di unico
motivo con il quale denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., violazione ed errata applicazione della legge n. 1423 del 1956, e
illogicità e contraddittorietà della motivazione risultanti dal testo del
provvedimento e dagli atti del procedimento, dolendosi della omessa analisi degli
elementi soggettivi valorizzati con l’atto di impugnazione e delle ragioni del
diniego della sua richiesta di lavorare presso una impresa in comune confinante.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Occorre premettere che, l’art. 4, comma 11, legge 27 dicembre 1956, n.
1423, recante “Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per
la sicurezza [e per la pubblica moralità]”, limita alla sola violazione di legge il
ricorso contro il decreto della corte d’appello in materia di misure di prevenzione.
Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, confortato anche da
intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 321 del 2004), in tema di
misure di prevenzione non è, pertanto, deducibile il vizio di manifesta illogicità
della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., ma
solo quello di mancanza di motivazione, qualificabile come violazione dell’obbligo
di provvedere con decreto motivato imposto al giudice di appello dall’art. 4,
comma 10, legge n. 1423 del 1956. Alla mancanza di motivazione è, peraltro,
equiparata l’ipotesi in cui la motivazione risulta del tutto priva dei requisiti

di residenza o di abituale dimora per la durata di anni due e mesi sei, rilevando

minimi di coerenza, di completezza e di logicità, al punto da essere meramente
apparente, o è assolutamente inidonea a rendere comprensibile l’iter logico
seguito dal giudice (tra le altre, Sez. 6, n. 15107 del 17/12/2003,
dep. 30/03/2004, Criaco, Rv. 229305; Sez. 6, n. 35044 del 08/03/2007,
dep. 18/09/2007, Bruno, Rv. 237277; Sez. 5, n. 19598 del 08/04/2010,
dep. 24/05/2010, Palermo, Rv. 247514).
3. Tanto premesso in ordine all’ambito del controllo riservato a questa
Corte, si osserva che, nel caso di specie, benché nella enunciazione dei motivi di

censure mosse attengono alla sola congruenza logica del, non condiviso,
ragionamento seguito dalla Corte d’appello nella valutazione dei presupposti
richiesti per l’applicazione della misura di prevenzione applicata.
In relazione a questi profili, tuttavia, la Corte ha coerentemente condiviso le
valutazioni svolte dal Tribunale, che aveva compiutamente argomentato con
riguardo agli elementi sintomatici della pericolosità sociale del proposto, e ha
dato alle deduzioni difensive prospettate nel gravame adeguate risposte,
esaustive in fatto, per la loro coerenza interna e per la loro logica congruenza ai
dati riferiti, e corrette in diritto, per la esatta interpretazione delle norme
applicate.
Il ricorrente tende, invece, a provocare, esprimendo un diffuso dissenso di
merito rispetto alle risposte ricevute e opponendo la sua analisi degli aspetti
attinenti alle circostanze fattuali, una nuova lettura dei dati acquisiti che si
traduce nel sostanziale riesame nel merito, invasivo del campo della valutazione
discrezionale ragionevolmente espressa, non consentito in sede di legittimità.
4. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il
contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma,
ritenuta congrua, di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna Il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2012

Il Consigliere estensor

DEPOSITATA

Il Presidente

ricorso la difesa abbia fatto riferimento anche al vizio di violazione di legge, le

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