Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15228 del 13/12/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 15228 Anno 2014
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MAESANO SANTO N. IL 15/09/1957
avverso l’ordinanza n. 1735/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 14/12/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 13/12/2013

c/dr-

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza deliberata il 14 dicembre 2012 e depositata il 9
gennaio 2013 il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo
avverso il provvedimento del Ministro della giustizia, in data 5 marzo 2012,
di proroga per anni due del regime differenziato, ex art. 41-bis Ord. Pen.,
applicato nei confronti di Maesano Santo, arrestato in Spagna il 20/05/2002
ed estradato da quel paese il 27/01/2004, detenuto in esecuzione della

associazione di tipo mafioso e ad associazione finalizzata al traffico di
sostanze stupefacenti e due omicidi, commessi nel 1990 e nel 1993.
Ad avviso del Tribunale, la proroga del suddetto regime penitenziario
era giustificata da plurimi elementi indicati nelle note informative della
Direzione nazionale antimafia, della Direzione distrettuale antimafia, del
Ministero dell’Interno e del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri,
come segue: a) attuale operatività della cosca di appartenenza, operante
nella zona di San Lorenzo, Roghudi, Roccaforte del Greco e Condofuri, nel
versante ionico della provincia di Reggio Calabria, con diramazioni nel nord
Italia e con collegamenti internazionali in Spagna e Sud America, con la
disponibilità di ingenti risorse finanziarie, accumulate nel corso degli anni
con il traffico della droga e delle armi, custodite e amministrate in Svizzera
dal finanziere Boscaro Claudio e in Calabria dal fratello del ricorrente,
Maesano Francesco, come emergente dagli esiti di recenti investigazioni
richiamate nel decreto; b) ruolo apicale rivestito da Maesano Santo nella
suddetta organizzazione criminale, già dirigente della movimentazione dei
capitali e dei lucrosi traffici illeciti del sodalizio per via telefonica o recandosi
personalmente in Svizzera; c) irregolare condotta penitenziaria del Maesano
e assenza di alcuna rivisitazione critica dei trascorsi criminali, come da
relazione di sintesi del 7 dicembre 2012 in cui si riferiva l’atteggiamento
molto polemico del Maesano, con miglioramento registrato solo nell’ultimo
anno.
Sussistevano, quindi, secondo il Tribunale, elementi sufficienti per
ritenere, in concreto, l’attuale pericolo di collegamenti del reclamante con la
criminalità organizzata, anche in considerazione della tendenziale
indissolubilità del patto associativo criminoso, salva esplicita rottura
mediante scelta collaborativa o dissociazione, non attuata nel caso di
specie; non senza sottolineare che la capacità di mantenere contatti con la
cosca di appartenenza, tuttora operativa, anche in ragione del ruolo di
vertice rivestito dal reclamante, è cosa ben diversa dall’effettivo rapporto
1

pena dell’ergastolo con isolamento diurno per partecipazione ad

con la stessa durante la carcerazione a precluso proprio dal rigoroso regime
detentivo applicato in funzione del suo impedimento.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Maesano
tramite il difensore di fiducia, il quale deduce due motivi: la violazione
dell’art. 41 bis Ord. Pen. e il difetto di motivazione.

1. Il ricorso risulta basato su motivi non consentiti nel giudizio di
legittimità.
L’art. 41 bis, comma 2-bis, della I. n. 354 del 1975, sostituito dall’art. 2,
comma 25, lett. d), della I. 15 luglio 2009, n. 94, stabilisce che i
provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato sono
proroga bili “per successivi periodi, ciascuno pari a due anni (..), quando
risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione
criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno”.
L’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione è segnato dal
comma 2-sexies [recentemente sostituito dall’art. 2, comma 25, lett. b), I.
n. 94 del 2009, cit.] del novellato art. 41-bis, a norma del quale il
Procuratore nazionale antimafia, il Procuratore della Repubblica che procede
alle indagini preliminari, il Procuratore generale presso la Corte d’appello, il
detenuto, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni della
sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale
(solo) “per violazione di legge”.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da
intendere nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso,
oltre che all’inosservanza delle disposizioni di legge sostanziale e
processuale, all’inesistenza della motivazione, dovendo in tale vizio essere
ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei
requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto di risultare
meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il
filo logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga,
ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente
scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le
ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un. 28 maggio 2003,
Pellegrino, Rv. 224611; Sez. I, 9 novembre 2004, Santapaola, Rv. 230203;
Sez. 6, n. 7651 del 14/01/2010, dep. 25/02/2010, Mannino, Rv. 246172).

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Alla luce di questi principi il Collegio osserva che il ricorso, pur
denunciando formalmente il vizio di violazione di legge per inosservanza
dell’art. 41 bis Ord. Pen., sul presupposto dell’inesistenza di attuale capacità
del ricorrente di mantenere contatti con il gruppo mafioso di appartenenza,
tende in realtà a provocare una non consentita nuova valutazione delle
circostanze di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di legittimità.
L’ordinanza impugnata, peraltro, ha correttamente valutato gli elementi
risultanti agli atti, senza violare la legge penale sostanziale e processuale,

dirigenziale esercitato dal Maesano con la coerente affermazione, in assenza
di elementi concreti da cui desumere la rescissione dei vincoli
delinquenziali, dell’attuale pericolo che il detenuto possa mantenere i
collegamenti con l’associazione criminale di appartenenza, ove sottoposto al
regime penitenziario ordinario.

3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in
mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità (Corte cost. sentenza n. 186 del 2000), al
versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria
che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 13 dicembre 2013.

sottolineando l’attuale operatività del sodalizio mafioso e, in esso, il ruolo

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