Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15217 del 13/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 15217 Anno 2014
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: CERVADORO MIRELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PALMA RAFFAELE N. IL 15/10/1988
MARINO ANTONIO N. IL 19/10/1985
avverso la sentenza n. 6052/2012 GIP TRIBUNALE di SALERNO, del
27/03/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MIRELLA
CERVADORO;
lette/sentite le conclusio del PG Dott.

Uditi di sor Avv.;

Data Udienza: 13/12/2013

Letta la requisitoria del sostituto procuratore generale, dr.Eduardo
Scardaccione, il quale ha concluso chiedendo che la Corte di Cassazione
dichiari inammissibile il ricorso con le conseguenze di legge.

Marino Antonio e Palma Raffaele ricorrono avverso la sentenza, in data
27.3.2013, del GIP del Tribunale di Salerno, con la quale è stata applicata, su
richiesta delle parti ai sensi dell’art.444 c.p.p., la pena di anni tre e mesi
quattro di reclusione ed euro 800,00 di multa per i reati di cui agli artt.110,
628, 605, 699 c.p. e, chiedendone l’annullamento, deducono (ricorso Marino)
l’erronea applicazione degli artt. 129 c.p.p. e 133 c.p. e il vizio di motivazione
in riferimento alle cause di non punibilità e alla concessione delle attenuanti
generiche con giudizio di equivalenza e non di prevalenza, nonché (ricorso
Palma) l’erronea qualificazione giuridica dei fatti e il mancato assorbimento
del reato di cui all’art.605 c.p. in quello di rapina.
Rileva il Collegio che entrambi i ricorsi sono, da un lato, privi della
specificità prescritta dall’art. 581, lett. c) in relazione all’art. 591 c.p.p., da
ritenersi addirittura “rafforzata” rispetto ad ipotesi di diversa conclusione
del giudizio, dato che la critica al provvedimento che abbia accolto la
domanda dell’imputato deve impegnarsi a demolire, prima di tutto, proprio
quanto dalla stessa parte richiesto (v.Cass.S.U.sent.n.11493/1998, Verga,
Rv.211468; S.U. sent.n.35738/2010 Rv.247839) e, dall’altro, manifestamente
infondati, in quanto la sentenza del giudice di merito che applichi la pena su
richiesta delle parti, escludendo che ricorra una delle ipotesi di
proscioglimento previste dall’art. 129 cod. proc. pen., può essere oggetto di
controllo di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se
dal testo della sentenza impugnata appaia evidente la sussistenza di una
causa di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen. (cfr, tra le tante, Cass. Sez.I,
Sent.n. 4688/2007 Rv. 236622). In tema di patteggiamento, una volta che

OSSERVA

l’accordo tra le parti sia stato ratificato dal giudice con la sentenza di
applicazione della pena, non è poi consentito, fuori dai casi di palese
incongruenza, censurare il provvedimento in punto di qualificazione
giuridica del fatto e di ricorrenza delle circostanze, neppure sotto il profilo
della mancanza di motivazione, ricorrendo in proposito un dovere di
specifica argomentazione solo per il caso che l’accordo abbia presupposto

32004/2003 Rv. 228405). L’obbligo di motivazione in ordine all’entità della
pena va, poi, ritenuto assolto da parte del giudice quando egli dia atto di
avere positivamente effettuato la valutazione della correttezza della
qualificazione giuridica del fatto, dell’applicazione e comparazione delle
circostanze prospettate dalle parti e della congruità della pena (Cass. Sez. V,
Sent. n. 489/2000 Rv. 215489); la richiesta di applicazione della pena e
l’adesione alla pena proposta dall’altra parte integrano, infatti, un negozio
di natura processuale che, una volta perfezionato con la ratifica del giudice
che ne ha accertato la correttezza, non e’ revocabile unilateralmente, sicché
la parte che vi ha dato origine, o vi ha aderito e che ha così rinunciato a far
valere le proprie difese ed eccezioni, non e’ legittimata, in sede di ricorso
per cassazione, a sostenere tesi concernenti la congruità della pena, in
contrasto con l’impostazione dell’accordo al quale le parti processuali
sono addivenute (Cass. sez III, 27.3.2001, Ciliberti, Rv. 219852).
Non emergendo dal testo della gravata sentenza alcuna palese
incongruenza circa la qualificazione giuridica dei fatti (in particolare in
relazione all’art.605 c.p. in quanto – come affermato in sentenza – “in
entrambe le circostanze, i correi, per garantirsi la fuga, hanno obbligato i
presenti a rimanere per un apprezzabile periodo di tempo in una stanza
chiusa a chiave dall’esterno, la seconda volta addirittura dopo averli legati ai
polsi e alle caviglie, con apposite fascette di plastica”), e risultando invece
che è stata verificata, con esito positivo per la ratifica del patto, l’
insussistenza di elementi che importino decisioni ex art. 129 c.p.p., e la

una modifica dell’imputazione originaria (cfr. Cass.Sez.VI, sentenza n.

congruità della pena come richiesta dalle parti, l’obbligo di motivazione è
stato assolto.
I ricorsi vanno, pertanto, dichiarati inammissibili.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibili i ricorsi, i ricorrenti che li hanno proposti devono
essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonché –

inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della
somma di millecinquecento euro ciascuno, così equitativamente fissata in
ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e della somma di millecinquecento euro ciascuno alla cassa
delle ammende.
Così i iberato in camera di consiglio, il 13.12.2013.

ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di

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