Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15194 del 13/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 15194 Anno 2014
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: CERVADORO MIRELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DACOMO MARIANGELA N. IL 28/06/1948
ANNUCCI VINCENZO N. IL 25/09/1939
avverso la sentenza n. 4202/2012 CORTE APPELLO di TORINO, del
13/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MIRELLA CERVADORO
Udito il Procuratore Generale in ersona del Dott.
che ha concluso per

Atto, per la parte civile, l’Avv
U’ it i difensor Avv.

Data Udienza: 13/12/2013

Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, nella persona del dr.
Carmine Stabile, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso venga
dichiarato inammissibile.
Udito il difensore di fiducia della parte civile avv.Stefano Campanello che ha

concluso per l’inammissibilità, e in subordine per il rigetto del ricorso.
Chiede altresì che la Suprema Corte di Cassazione voglia condannare gli
imputati in solido alla refusione delle spese ed assistenza determinate in
separate note.
Udito il difensore degli imputati avv.Roberto Ponzio che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 31.12.2011, il Tribunale di Alba dichiarò Dacomo
Mariangela e Annucci Vincenzo responsabili dei reati di cui agli artt.81, 110,
61 n.7 e 643 c.p., e li condannò alla pena di anni quattro di reclusione ed €
2100,00 di multa.
Avverso tale pronunzia proposero gravame gli imputati, e la Corte
d’Appello di Torino, con sentenza del 13.12.2012, in riforma della decisione
di primo grado, dichiarati estinti per prescrizioni i reati anteriori al 13.6.2005,
rideterminava la pena in anni due mesi otto di reclusione ed euro 1000,00 di
multa.
Ricorre per cassazione il difensore degli imputati, deducendo: 1) la
contraddittorietà, mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in
ordine alla ritenuta sussistenza del requisito dell’infermità o deficienza
psichica in capo alla persona offesa nel periodo oggetto di imputazione
i

(art.606, co.1 lette c.p.p.); a) la motivazione è illogica e/ o errata in quanto la
deficienza psichica è stata dedotta unicamente dalle condizioni di solitudine
e di ridotta pulizia della parte offesa; b) la motivazione è processualmente
contraddittoria (travisamento delle risultanze probatorie) in relazione
all’omessa valutazione di prove essenziali raccolte in giudizio e riportate

nell’atto d’appello e relative all’eccentricità, bizzarria e stile di vita sui generis
che tratteggiano la personalità dell’Ademollo anche quando era giovane e
svolgeva regolare attività lavorativa (l’Ademollo era stata preside di un liceo,
era donna colta e aveva sempre vissuto in solitudine contornata da libri ed
animali); 2) inosservanza o erronea applicazione della legge penale
(art.606,co.1 lett.b c.p.p. in relazione agli artt.40 co.1 e 110 c.p.). L’imputato
Annucci avrebbe dovuto essere assolto per insussistenza del contributo
causale fornito dalla sua condotta al fatto di circonvenzione oggetto di
imputazione. La gravata sentenza fonda l’affermazione di responsabilità
dell’Annucci a titolo di concorso in considerazione di tre fatti: l’incontro con
il maresciallo Capurro nella seconda metà del mese di maggio 2006 per una
richiesta di intervento in ordine all’introduzione della signora Varada, amica
della Ademollo, nella proprietà di quest’ultima; la richiesta nel maggio 2005
di informazioni all’addetto della direzione della filiale delle poste di Alba da
parte di un uomo dall’apparente età di sessanta anni; l’incontro tra l’Annucci
insieme alla moglie Dacomo e l’assistente sociale signora Pesce. Tutti e tre gli
episodi, anche se riferibili al ricorrente, non sono tali da poter ricavare
l’esistenza dell’apporto causale fornito dalla condotta atipica dell’Annucci
alla realizzazione del fatto tipico di circonvenzione. La condotta di abuso
dell’asserito stato di infermità o deficienza psichica che si ritiene posta dalla
Dacomo si colloca poi in un momento anteriore al 22.11.2004 data di apertura
del conto corrente intestato alla Ademollo e alla Dacomo. I successivi
accreditamenti non sono che conseguenza di tale unica condotta, e non si
vede come possa aver fornito contributo causale alla stessa i fatti che vedono
2

coinvolto l’Annucci nel 2005, e nel 2006; 3) contraddittorietà e/ o illogicità
e/o mancanza della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del
contributo causale fornito dall’Annucci al fatto circonvenzione oggetto
d’imputazione; 4) illogicità e contraddittoriatà della motivazione ai sensi
dell’art.606, co.1, lett. e) c.p.p. in riferimento alla ritenuta sussistenza della

condotta del signor Annucci (richiesta di informazioni sul libretto postale).
L’esistenza del libretto era conosciuta anche ad altre persone; quanto al fatto
di un preteso valido motivo per impossessarsi dello stesso, tale affermazione
non può di per sé sola provare che effettivamente l’Annucci si sia recato
all’ufficio postale ed abbia richiesto le informazioni riportate dal Baresi; 5)1′
inosservanza ed errata applicazione di norme della legge penale e mancanza,
ai sensi dell’art.606 lett. b) c.p.p. in relazione agli artt.643 e 158 c.p.: il delitto
di cui all’art.643 c.p. è reato di pericolo per la cui consumazione non è
necessario il verificarsi di un danno al patrimonio del circonvenuto. Nella
fattispecie, la consumazione degli episodi di circonvenzione riguardanti il
conto cointestato Ademollo/Dacomo va fatta coincidere con l’apertura del
conto e non già con i successivi accreditamenti. Ne deriva che i fatti oggetto
di imputazione risultano consumati in data 17.6.2004 (donazione
dell’immobile di via Macrino 11) ed in data 22.11.2004 (apertura del conto) e
pertanto entrambi i reati devono considerarsi estinti per prescrizione,
essendo decorso il più favorevole termine di anni sette e mesi sei di cui alla
novella legislativa del 2005; 6) l’ inosservanza ed errata applicazione di
norme della legge penale e mancanza, ai sensi dell’art.606 lett. b) c.p.p. in
relazione all’art.61 n.7 c.p. Il giudice d’appello ha erroneamente ritenuto
l’aggravante in questione in relazione al presunto fatto di circonvenzione
consumato con l’accreditamento nel maggio 2006 della somma di euro 8.383,
e considerato che il conto era contestato e il danno va quantificato nella metà
della somma in parola appare evidente che una somma di tale entità non
risulta idonea ad integrare un danno patrimoniale di rilevante gravità; 7)
3

mancanza totale di motivazione ai sensi dell’art.606, co.1 lett. e c.p.p. in
relazione all’art.61 n.7 c.p.; 8) erroneità e/o mancanza della motivazione in
ordine alla quantificazione della pena, e al comportamento processuale degli
imputati di cui non si è tenuto conto nonostante che gli stessi abbiano
mantenuto un comportamento improntato a correttezza e lealtà.

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.

L’avv .Roberto Ponzio, con memoria pervenuta 1’11.12.2013, insiste
nell’accoglimento del ricorso, rilevando a ulteriore illustrazione del motivo di
cui al punto 5 che la Corte d’Appello ha erroneamente individuato la data di
consumazione del reato nel verificarsi dell’evento di danno al patrimonio
della p.o., ininfluente a tal fine trattandosi di reato di pericolo. I reati
commessi in data 17.6.2004 e 22.11.2004 sono pertanto estinti per
prescrizione.

Motivi della decisione

1. Con il primo, secondo, terzo e quarto motivo, i ricorrenti hanno
dedotto l’erronea applicazione delle norme indicate nei motivi medesimi e il
vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità degli imputati,
attesa l’ illogicità di alcune argomentazioni al riguardo sviluppate, sia in
relazione all’incapacità della Ademollo che all’abuso da parte della Dacomo e
all’apporto causale dell’Annucci alla condotta della moglie. Con il

primo

motivo, si è prospettato anche il medesimo vizio, sotto il profilo del
travisamento della prova, in relazione all’incapacità della Ademollo. In
sostanza, i ricorrenti si dolgono del fatto che la Ademollo sia stata ritenuta
incapace all’epoca dei presunti abusi da parte della Dacomo, e del fatto che
l’Annucci sia stato ritenuto concorrente nella presunta condotta di abuso di
4

detta incapacità da parte della moglie, dal momento che i fatti allo stesso
addebitati, quand’anche fossero veri (e tali non sono per mancanza di prova),
sono comunque successivi alla condotta della Dacomo. Le censure sono
inammissibili in quanto con le stesse si muovono non già precise
contestazioni di illogicità argomentativa, ma solo doglianze di merito, non

condividendosi dal ricorrente le conclusioni attinte ed anzi proponendosi
versioni più persuasive di quelle dispiegate nella sentenza impugnata. La
Corte di merito ha risposto a tutti i motivi d’appello, e con ampia e logica
motivazione ha illustrato le ragioni del giudizio di responsabilità,
affermando che l’Ademollo nel periodo di interesse era certamente in stato di
infermità e/ o deficienza psichica (v.pagg. 15-23 della sentenza impugnata, in
ordine alle dichiarazioni dei testi escussi, alla loro attendibilità e alla
relazione del consulente tecnico del pubblico ministero, avvalorata dalle
dichiarazioni della dr.ssa Dal Cielo Cecilia direttore del Dipartimento di
salute mentale di Alba, la quale ha negato che l’esito del test somministrato
alla Ademollo durante il ricovero ospedaliero del 2002 avesse escluso la
sussistenza della “demenza senile”, e della dr.ssa Impallomeni Maria
dell’ambulatorio di psichiatria della Usl di Alba, la quale ha dichiarato che
gli accertamenti avevano rivelato “l’inizio di un deterioramento cognitivo
legato ad un quadro di demenza”), che la donazione dell’immobile di via
Macrino n.11 non era la contropartita della cessione di un usufrutto, cessione
avvenuta ben 23 anni prima (v.pag.25), che non vi era alcun titolo per il quale
la Dacomo dovesse diventare proprietaria o comproprietaria del patrimonio
dell’Ademollo, e non certamente per la cura ed assistenza prestata
all’anziana donna che viveva in condizioni di miseria materiale e morale
(v.pagg.24-28), che dalle circostanze indicate nella sentenza di primo grado
emergeva chiaramente la prova della compartecipazione materiale e morale
dell’Annucci (marito della Dacomo) il quale conosceva molto bene
l’Ademollo, avendo in passato insegnato nella stessa scuola ove la Ademollo
5

era preside, e si è attivato personalmente anche per evitare l’instaurarsi di
rapporti tra la parte offesa e terze persone (v.pagg.31-33). E contro tali
valutazioni sono dai motivi in esame formulate mere contestazioni di
veridicità, in un impensabile tentativo di ottenere da questa Corte di
legittimità un revisione di merito delle valutazioni stesse. Esula, infatti, dai

poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi
di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in
via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare vizio di
legittimità la mera prospettazione da parte del ricorrente di una diversa
valutazione delle risultanze processuali ritenuta più adeguata (Cass., Sez.
un., 2 luglio 1997, Dessimone); questo valendo, in particolare, relativamente
alla valutazione sull’attendibilità e valenza dei mezzi di prova posti a
fondamento della decisione. Non va del resto dimenticato che, nel momento
del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non deve (né può)
stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti,
né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se
questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di
una “plausibile opinabilità di apprezzamento”.
Nel caso di specie, va poi ricordato che ci si trova dinanzi ad una
“doppia conforme” e cioè ad una doppia pronuncia di eguale segno, e
pertanto il vizio di “travisamento della prova”, di cui alla lettera e) come
modificato dalla 1.n.46/ 2006 (che si ha quando nella motivazione si fa uso di
un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la
valutazione di una prova decisiva), può essere rilevato in sede di legittimità
solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che
l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta
introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento
di secondo grado, “non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi
il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui
6

il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia
richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice” ( v.
Cass. Sez.IV, sent. n. 19710/2009 Rv. 243636; Cass., n. 5223/07, Rv. 236130).
2. Il quinto motivo è manifestamente infondato.

I ricorrenti deducono che la natura istantanea e di pericolo del delitto di
circonvenzione di incapaci farebbe maturare la consumazione nel luogo e nel
tempo di compimento del primo atto pregiudizievole per la persona offesa e
non in quelli in cui si è verificata l’effettiva diminuzione patrimoniale.
Secondo la deduzione difensiva il reato si è consumato con la sottoscrizione
del contratto di donazione (17.6.2004), e con l’apertura di un nuovo conto
corrente bancario cointestato a Ademollo Giulia e a Dacomo Mariangela
(22.11.2004), mentre tutti gli atti successivi di trasferimento e prelievo su quel
conto costituirebbero un “post factum” irrilevante e non punibile.
Si tratta, con tutta evidenza, di una costruzione giuridica
manifestamente infondata atteso che nei reati a condotta plurima (come nel
caso, induzione e apprensione) si verte nell’ipotesi di una condotta unica di
induzione, nel cui ambito l’eventuale successiva apprensione non è
irrilevante costituendo invero il conseguimento del profitto ingiusto che
circostanzia il pericolo insito nell’induzione che la norma voleva evitare.
Nella sentenza impugnata, si chiarisce che la condotta criminosa è
iniziata nel giugno 2004 con l’induzione della persona offesa a firmare un
atto di donazione, e che la condotta successiva si è frazionata in più atti
perduranti nel tempo fino al novembre 2006 (apertura del conto in questione;
estinzione di altro conto intestato alla parte offesa; accreditamento mensile
della pensione; accreditamento nel marzo 2005 della somma di € 90.103,69
proveniente dall’ altro conto corrente estinto; accreditamento nel maggio
2006 dell’importo di €8383,11; prelievi in contanti per € 26.500,00 nel periodo
7

tra 30.3.2005 e il 5.6.2006; acquisto da parte della Dacomo con denaro
esistente sul conto di titoli per l’importo di euro 95.115,38). Ha quindi
dichiarato prescritti solo gli atti compiuti prima del 13.6.2005, essendo – solo
nei confronti degli stessi – maturato il termine massimo di sette anni e mesi

Tale conclusione non risulta eccentrica rispetto alla giurisprudenza di
legittimità, e anzi è perfettamente conforme agli stessi principi enunciati da
questa Corte sia in relazione al reato di circonvenzione di incapace (v.
Cass.Sez.II, Sent. n. 45786/2012 Rv. 254352) che in relazione ad altre ipotesi
delittuose a condotta frazionata o plurima. In tali ipotesi, si è infatti
ripetutamente affermato che il reato si perfeziona sin dalla realizzazione del
primo atto costituente l’illecito, anche se non caratterizzato dal
conseguimento del profitto e che, tuttavia, la condotta successiva non integra
un “post factum” non punibile ma costituisce l’ulteriore elemento concorrente
alla consumazione del reato, spostata in avanti sino al conseguimento del
profitto nella sua interezza.
Ove il reato si protragga sino alla commissione di successivi atti
appropriativi, ripetuti nel tempo, la condotta di induzione perde di rilievo
autonomo e gli atti successivi non costituiscono quindi un “post factum” non
punibile ed irrilevante ai fini penali, ma integrano la complessiva fattispecie
delineata nella norma incriminatrice; ogni dazione o apprensione effettiva fa
parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante e segna il momento
consumativo “sostanziale” del reato. Tale situazione, non necessariamente
assimilabile alla “permanenza”, mantiene intatta la sua natura unitaria ed
istantanea, secondo la struttura dei delitti cd. a condotta frazionata e a
consumazione prolungata, quale ad esempio la truffa inerente al
conseguimento di erogazioni periodiche da parte della p.a.

sei.

Tanto premesso, poiché alla data della pronuncia d’appello (13.12.2012)
non era ancora trascorso il termine massimo di prescrizione per gli episodi
appropriativi intervenuti dopo il 30.6.2005, correttamente la Corte non ha
dichiarato per tali episodi la prescrizione.
L’inammissibilità originaria del ricorso comporta il passaggio in

giudicato della sentenza di merito, con la conseguente impossibilità di
dichiarare l’eventuale, sopravvenuta prescrizione del reato ex articolo 129
cod. proc. pen. in relazione agli episodi commessi successivamente al
30.6.2005 (cfr. Cass.Sez.I, Sent. n. 24688/ 2008 Rv. 240594).
3. Il sesto e settimo motivo sono inammissibili, non avendo i ricorrenti
proposto motivi in appello circa l’aggravante ex art.61 n.7 c.p., e sussistendo
il divieto di “novum” in Cassazione.
4. L’ottavo motivo è privo della specificità, prescritta dall’art. 581, lett.

c), in relazione all’art 591 lett. c) c.p.p., a fronte delle motivazioni svolte dal
giudice d’appello, che non risultano viziate da illogicità manifeste. In
relazione al trattamento sanzionatorio, peraltro ridotto in considerazione
comunque dell’incensuratezza degli imputati, la Corte ha ritenuto di non
poter concedere le attenuanti generiche non solo per le dimensioni, invero
ragguardevoli, delle somme e dei beni sottratti alla parte offesa, ma “anche e
soprattutto per essersi gli imputati avvalsi del loro pregresso rapporto con la
stessa nel contempo isolandola da tutti coloro che avrebbero potuto
intervenire a suo favore nonché per non aver prestato alla stessa, che stavano
così accuratamente depredando, neppure quel minimo di assistenza e cura
che avrebbe evitato all’Ademollo di vivere, come i testi hanno riferito, in
un’accettabile condizione di umiliazione fisica e morale”. Si tratta di
considerazioni ampiamente giustificative del diniego, che le censure dei
ricorrenti non valgono minimamente a scalfire.

9

L’art.643 c.p. prevede, poi, la pena della reclusione da due a sei anni e la
multa da €206 a €2.065, sicché la condanna di anni due e mesi otto di
reclusione e € 1.000 di multa ciascuno, inflitta ai ricorrenti si attesta in
prossimità dei minimi consentiti dalla normativa.

secondo cui nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti di
molto dai minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale di
cui all’art. 125 c.p.p., comma 3, adoperando espressioni come pena congrua,
pena equa, congruo aumento, ovvero si richiami alla gravita del reato o alla
personalità del reo (v. per tutte Cass. Sez. I, Sent. 14 febbraio 1997, n. 1059).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’articolo 616
cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso,
gli imputati che lo hanno proposto devono essere condannati al pagamento
delle spese del procedimento, e – ravvisandosi profili di colpa (v.Corte Cost.
sent.n.186/ 2000), nella determinazione della causa di inammissibilità – al
pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille euro
ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti, nonché
alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile che
liquida in euro 2500,00 oltre IVA e CPA.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille ciascuno alla Cassa delle
ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla
parte civile che liquida in euro 2500,00 oltre IVA e CPA.
Così deliberato, il 13.12.2013.

Trova quindi applicazione il principio affermato da questa Corte

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