Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15176 del 06/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 15176 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Milano
nei confronti di
Ia q uinan g elo Armando, nato in Milano il 19/08/1958
avverso la sentenza del 24/04 / 2013 del Tribunale di Milano ;
visti g li atti, il provvedimento impu g nato e il ricorso ;
udita la relazione svolta dal consi g liere Vito Di Nicola ;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore g enerale An g elo
Di Popolo, che ha concluso chiedendo il ri g etto del ricorso;
udito per l’imputato g li avv.ti Andrea Calvi e Saverio Stellari ;

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Data Udienza: 06/02/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Milano, con sentenza emessa in data 24 aprile 2013,
assolveva Armando Iaquinangelo perché il fatto non costituisce reato dal delitto
di cui all’art. 10 ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 per avere, quale legale
rappresentante della società M.A.I.E.R. Project s.r.I., omesso il versamento entro
il termine previsto per il pagamento dell’acconto IVA relativo al periodo
d’imposta successivo, dell’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla

ammontare superiore a 50.000 euro) per il periodo d’imposta 2007.
Il tribunale giungeva a tale conclusione ritenendo, sulla base degli esiti
dell’istruttoria dibattimentale, non configurabile l’elemento soggettivo del reato,
(o quanto meno riteneva la presenza di un ragionevole dubbio sulla sussistenza
del dolo), sul rilievo dell’esistenza di una obiettiva situazione di illiquidità della
società M.A.I.E.R. Project s.r.I., dovuta peraltro ai sistematici e gravissimi ritardi
nei pagamenti da parte dei clienti della società.
Secondo il giudice di merito occorreva, in linea peraltro con una lettura
costituzionalmente orientata della norma incriminatrice, considerare che la
volontà di non effettuare nei termini il versamento dovuto (che costituiva un
segmento indefettibile del dolo richiesto dalla fattispecie) presupponeva secondo la struttura tipica dei reati omissivi – la possibilità di assolvere il dovere
di pagamento: la crisi acuta di liquidità aveva, nel caso di specie, comportato
una effettiva mancanza di volontà dell’omissione in considerazione di una sorta
di causa di impossibilità relativa, da valutarsi in relazione a quanto umanamente
esigibile dal soggetto su cui incombe il dovere di adempiere.

2. Per l’annullamento della sentenza ricorre per cassazione il Procuratore
generale presso la Corte di appello di Milano affidando il gravame ad un unico
motivo di gravame con il quale lamenta inosservanza od erronea applicazione
della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto
nell’applicazione della legge penale (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc.
pen.).
Si sostiene che l’elemento soggettivo dei reato di omesso versamento
dell’IVA è costituito dal dolo generico, essendo sufficiente, ai fini dell’integrazione
del reato, la consapevolezza di omettere i dovuti versamenti, a nulla rilevando la
finalità di eludere gli obblighi tributari, né tantomeno che l’impresa abbia
attraversato una fase di criticità che l’abbia indotta ad assolvere a debiti ritenuti
più urgenti.
Si tratta, secondo il ricorrente, di un principio più volte affermato dalla
giurisprudenza di legittimità in tema di omesso versamento dei contributi
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dichiarazione annuale per l’ammontare di Euro 228.167,00 (e dunque per un

previdenziali o di omesso versamento delle ritenute operate sulle retribuzioni dei
dipendenti e ciò tanto più che il soggetto che esegue la cessione di beni o la
prestazione di servizi incamera dal cliente beneficiario della cessione o della
prestazione una somma di denaro a titolo di imposta sul valore aggiunto, che
deve obbligatoriamente accantonare per la successiva effettuazione del
versamento a favore dell’Erario.
Non si tratta di una risorsa di sua proprietà, ma di pertinenza dello Stato,
esattamente come avviene nel caso delle ritenute operate dal sostituto d’imposta

dell’Iva, l’imposta grava sul consumatore finale, ma colui che la incassa, per
effetto della prestazione, deve destinarla all’Erario, con la conseguenza che, in
caso di mancato versamento, non viene meno in nessun caso l’elemento
soggettivo del reato.

3. La difesa del ricorrente ha prodotto note di udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato nei limiti e sulla base delle considerazioni che
seguono.

2. Il Tribunale ha assolto l’imputato perché il fatto non costituisce reato
esternando il suo convincimento mediante una motivazione immune da vizi
logici.
Ed infatti, sulla base delle risultanze probatorie acquisite, il Giudice del
merito ha accertato come la società M.A.I.E.R. Project s.r.l. (società avente ad
oggetto la progettazione e la realizzazione di impianti elettrici, elettronici, di
automazione, hardware e software, impianti di sicurezza, impianti industriali,
civili e di trazione elettrica su mezzi ferroviari, tramviari ed il trasporto in genere,
oltre che il collaudo, la manutenzione, riqualificazione, realizzazione e fornitura
di materiali per tutte le tipologie di servizi sopra menzionate) avesse, a
decorrere dal 2003, svolto attività incentrata sulla manutenzione delle carrozze e
delle locomotive ferroviarie e sulla progettazione dei prodotti elettronici per i
servizi ferroviari, sviluppando rapporti con pochi grossi clienti, costituiti dalle più
grandi aziende del settore, quali Trenitalia, Ansaldo Breda, Alstom, Firema e
RG M.
Detti clienti (in particolare Trenitalia, che da sola assorbiva il 70% circa del
fatturato della M.A.I.E.R.) pagavano con sistematico e grave ritardo le loro
prestazioni: l’imputato ha riferito di attese medie di 200 – 250 giorni dalla

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sulle retribuzioni dei dipendenti o sui compensi dei professionisti: nel caso

prestazione; i testi La Manna e Vitiello hanno riferito che l’emissione delle fatture
veniva autorizzata dalla cliente (con l’approvazione dei s.a.I.) solo 3-4 mesi dopo
la prestazione, con pagamenti effettivi che seguivano l’emissione delle fatture
anche di 150/180 giorni.
Per fronteggiare la conseguente, grave crisi di liquidità provocata da detti
ritardi, l’imputato, nella sua qualità di amministratore della M.A.I.E.R. Project
s.r.I., fece ricorso massiccio allo sconto bancario delle fatture, grazie ad un
“castelletto” che nel 2007/2008 ammontava a circa 1,5/1,8 milioni di euro:

interamente assorbito nell’arco di due o tre mesi.
Nell’arco del 2007 l’imputato aveva assolto parzialmente l’onere di
versamento mensile dell’Iva (è comunque risultato un pagamento, sebbene
tardivo, per le mensilità di aprile, maggio, giugno, agosto, ottobre, novembre
2007), pagati i dipendenti e i debiti contributivi nei loro confronti; la società
chiudeva il bilancio al 31.12.2007 con crediti esigibili entro 12 mesi di 4,132
milioni di euro, a fronte di un volume d’affari di circa 6,7 milioni di euro (nella
nota integrativa al bilancio, significativamente si poneva in evidenza l’incremento
del “monte crediti” dovuto sia all’incremento del volume d’affari, sia al
“perdurare delle condizioni di pagamento conosciute dal mercato che obbligano
ad un’pesante’ finanziamento ai clienti”).
Alla fine del 2008, i ritardi nei pagamenti si aggravarono ulteriormente: il
bilancio al 3.12.2008 (prodotto dalla difesa) aveva fatto registrare disponibilità
liquide modestissime, a fonte di un’impennata dei crediti esigibili entro 12 mesi a
6,5 milioni di euro; gli oneri finanziari – complessivamente oltre 308.000,00 euro
– vanificavano il risultato positivo della gestione caratteristica; anche il monte
debiti aveva subito un notevole incremento rispetto all’esercizio precedente, di
oltre 1,9 milioni di euro.
Nello stesso periodo la società non aveva più liquidità disponibile per il
pagamento del residuo debito IVA per il 2007: tutti i conti correnti della
M.A.I.E.R. Project s.r.l. facevano registrare saldi negativi.
Ciò posto, a fronte della prova emersa in dibattimento dell’esistenza di una
obiettiva situazione di illiquidità della società M.A.I.E.R. Project s.r.I., dovuta
peraltro ai sistematici e gravissimi ritardi nei pagamenti da parte dei clienti della
società, il tribunale ha ritenuto come non fosse configurabile il dolo del delitto
contestato (o quanto meno vi fosse un ragionevole dubbio sulla sussistenza
dell’elemento soggettivo del reato).

3. Si deve pertanto ribadire quanto già affermato da questo Collegio con la
sentenza n. 9264 del 2014, emessa in caso analogo, essendosi ritenuto come,
attraverso l’accertamento in fatto, così espletato, il Tribunale sia pervenuto a
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margine che, considerati i volumi d’affari della società, venne tuttavia

qualificare come inesigibile una condotta alternativa rispetto a quella
concretamente adottata dall’imputato; e tale accertamento, che compete
appunto al giudice di merito, è stato fondato sulla ritenuta osservanza degli oneri
di allegazione e di prova, cui l’imputato non si è sottratto ed ai quali egli ha anzi
precisamente adempiuto, tanto che l’accertamento compiuto nel corso del
giudizio di merito è stato supportato da una motivazione priva di illogicità e
incongruità, ed anzi particolarmente concreta, lineare e dettagliata.
Non si può non rilevare, avuto riguardo alla specificità (omisso medio) del

in violazione di legge relativa all’elemento soggettivo, bensì abbia accertato, nel
modo appena sintetizzato, la concreta insussistenza della fattispecie criminosa
de qua.
La conclusione del tribunale, infatti, è stata argomentata sul rilievo, non
scalfito dal motivo di gravame, che la volontà di non effettuare nei termini il
versamento dovuto (che costituisce un segmento indefettibile del dolo richiesto
dalla fattispecie) presuppone – secondo la struttura tipica dei reati omissivi – la
possibilità di assolvere il dovere di pagamento e, nel caso di specie, la crisi
acuta di liquidità ha comportato, secondo il Giudice del merito, una effettiva
mancanza di volontà dell’omissione in presenza di una sorta di causa di
impossibilità relativa, da valutarsi in relazione a quanto umanamente esigibile
dal soggetto su cui incombe il dovere di adempiere.
Né il Tribunale ha posto in discussione i principi consolidati affermati da
questa Corte in punto di specie del dolo e di accertamento di esso.
Il Tribunale ha ricordato come il dolo fosse generico e non ha messo in
discussione il fatto che l’imputato avesse un obbligo di accantonamento,
evidenziando tuttavia sotto tale ultimo e specifico profilo che, ove pure si
superassero le obiezioni circa i tratti ontologicamente colposi che rivelerebbe un
giudizio fondato sulla “imprudente gestione” delle proprie risorse (facendo
ricorso alla categoria del dolo eventuale, con riferimento alla rappresentazione
dell’evento costituito dal mancato pagamento come risultato possibile a fronte di
un modo di agire illecito), neppure tale percorso argomentativo risulterebbe
convincente nel caso di specie.
Ed infatti, il Tribunale, con logica ed adeguata motivazione, ha ritenuto che il
comportamento dell’imputato fosse, in ogni caso, caratterizzato dalla assenza di
profili di rimproverabilità perché – a fronte di un obbligo tributario che, all’epoca
dei fatti, sorgeva dalla semplice emissione della fattura (a prescindere, quindi,
dall’effettiva riscossione del credito per la prestazione eseguita) ed a fronte dei
sistematici, gravissimi ritardi dei fornitori nel pagamento delle fatture stesse – il
ricorso massiccio al credito bancario e, per certi versi, anche a causa
dell’ulteriore, conseguente aggravamento degli oneri passivi determinati dalle

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ricorso per cassazione proposto, come il giudice di merito non sia affatto incorso

percentuali trattenute dalle banche per lo sconto delle fatture, comportò che il
ricorrente dovette fronteggiare una gravissima carenza di liquidità, sicuramente
non ascrivibile a sua colpa, ma derivante dalla micidiale combinazione dei due
fattori sopraindicati, entrambi non dipendenti da lui, con la conseguenza che fu
costretto a non pagare il debito erariale da un comportamento omissivo e
dilatorio di soggetti che avrebbero dovuto saldare fatture per forniture e
prestazioni ricevute per ingenti importi.
Al cospetto di un tale scrupoloso accertamento il motivo di gravame non

Questa Corte ha recentemente affermato (Sez., 3, 05/12/2013, n. 5467,
deo. 04/02/2014, Mercutello) come siano possibili casi, il cui apprezzamento è
devoluto al giudice del merito e come tale insindacabile in sede di legittimità se
congruamente motivato, nei quali possa invocarsi l’assenza del dolo o l’assoluta
impossibilità di adempiere l’obbligazione tributaria.
E’ tuttavia necessario che siano assolti gli oneri di allegazione e di prova
che, per quanto attiene alla crisi di liquidità, debbono investire non solo l’aspetto
circa la non imputabilità al soggetto tenuto al pagamento dell’imposta della crisi
economica, che avrebbe improvvisamente investito l’azienda, ma anche che
detta crisi non possa essere stata adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso,
da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto.
Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il
contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale
adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le
possibili azioni, se del caso anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale,
dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di
liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi
riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili.
Nel caso specie, adempiuti gli oneri probatori a carico dell’imputato (come
ha dato atto il Tribunale nella sentenza impugnata e neppure contestato da parte
del ricorrente), lo scrutinio compiuto dal Giudice del merito è immune da
censure, che neanche il ricorrente ha concretamente mosso, conseguendo da
ciò, in conformità alle conclusioni rassegnate dal Procuratore generale di
udienza, il rigetto del ricorso.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso del P.G.
Così deciso il 6/02/2014

muove alcun rilievo al Giudice del merito, attestandosi ai limiti dell’aspecificità.

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